Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9981 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9981 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15152/2019 R.G. proposto
da
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrenti – contro
Oggetto: Indennità di rischio radiologico – Personale diverso da medici e tecnici di radiologia – Riconoscimento Presupposti
R.G.N. 15152NUMERO_DOCUMENTO2019
Ud. 08/03/2024 CC
RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME , in persona del Direttore Generale pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza di Corte d’appello Bologna n. 950/2018 depositata il 06/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 950/2018, depositata in data 6 novembre 2018, la Corte d’appello di Bologna, decidendo nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE, ha respinto il gravame proposto dagli odierni ricorrenti avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 684/2016, la quale aveva, a propria volta, respinto la domanda dei lavoratori volta a conseguire, tra l’a ltro, la domanda di condanna dell’Azienda alla corresponsione della indennità di rischio radiologico, che la stessa Azienda appellata aveva in precedenza riconosciuto e, a seguito di una nuova delibera del RAGIONE_SOCIALE, revocato.
La Corte territoriale, nel disattendere il gravame, ha affermato che il riconoscimento dell’indennità non poteva essere ricondotto alla mera circostanza dell’operare in zona ‘controllata’ , secondo la definizione di legge, occorrendo invece valutare la frequenza e la tempistica di esposizione effettive.
Ha quindi evidenziato la genericità delle allegazioni dell’originario ricorso dei lavoratori, il quale non specificava l’entità della frequenza nella zona controllata, peraltro non adeguatamente provata.
La Corte territoriale, quindi, ha disatteso le contestazioni degli appellanti in ordine all’attendibilità del dato dosimetrico individuale utilizzato dal giudice di prime cure, evidenziando che la decisione di basava su una pluralità di dati idonei a fornire parametri effettivi, così come ha negato rilevanza alla circostanza del precedente riconoscimento dell’indennità, escludendo che lo stesso potesse integrare una prassi aziendale e ritenendo giustificata la revoca del riconoscimento alla luce dei nuovi criteri con i quali era stato valutato il rischio di esposizione.
La Corte, infine, ha condiviso la valutazione del giudice di prime cure in ordine all’assenza di un vincolo di giudicato derivante da altra decisione della stessa Corte d’appello su vicenda affine, evidenziando l’assenza di un giudicato esterno, alla luce del carattere individuale e circoscritto dell’accertamento concernente il rischio di esposizione.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna ricorrono ora NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
Le parti hanno entrambe depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio consistente nella omessa valutazione dell’abitualità della prestazione lavorativa dei ricorrenti in zona controllata che sarebbe risultante da documenti oggetto di discussione tra le parti.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la ‘carenza assoluta di motivazione/motivazione apparente’ nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso l’abitualità della prestazione lavorativa dei ricorrenti in zona controllata.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
I ricorrenti censurano la decisione della Corte felsinea in quanto la stessa avrebbe respinto la loro domanda per mancanza di prova, senza tuttavia procedere ad accertamenti istruttori, il cui espletamento sarebbe stato negato senza motivazione e con motivazione contraddittoria.
I motivi di ricorso sono, nel complesso, inammissibili.
2.1. Quanto al primo motivo, si deve osservare che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2016, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
2.2. Quanto al secondo motivo, lo stesso sarebbe inammissibile per le medesime considerazioni appena svolte, ove fosse effettivamente riconducibile all’art. 360, n. 5), c.p.c.
In realtà, lo stesso, al di là del formale richiamo operato in ricorso, deve essere ricondotto all’art. 360, n. 4), in relazione al 132 c.p.c., in quanto viene a dedurre il vizio di motivazione inesistente o apparente.
Il motivo, tuttavia, nella sua genericità, si traduce nel concreto in una critica alla valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte di merito, dovendo conseguentemente trovare applicazione il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.3. Quanto al terzo motivo, lo stesso non coglie l’effettiva ratio della decisione impugnata, la quale ha osservato, in primo luogo, che gli odierni ricorrenti avevano omesso di allegare adeguatamente gli elementi idonei a consentire di valutare la loro presenza in zona controllata come abituale.
La Corte d’appello, infatti, ha rimarcato (pag. 6 della motivazione) che nell’originario ricorso ex art. 414 c.p.c., gli odierni ricorrenti
avevano ‘asserito di operare in via esclusiva nella zona controllata, senza peraltro precisare la frequenza della loro presenza all’interno della stessa durante l’orario di lavoro e comunque non hanno provato tale (generica) allegazione’ .
Detta ratio -come detto -non è stata impugnata dai ricorrenti, le cui doglianze sono invece rivolte esclusivamente alla valutazione delle prove enunciata dalla Corte territoriale.
In tal modo, tuttavia, i ricorrenti hanno omesso di considerare che qualunque rilevanza del profilo istruttorio postulava proprio quella adeguata allegazione iniziale ritenuta invece insufficiente dalla Corte territoriale, senza che nel ricorso ora in esame tale giudizio sia stato sottoposto a critica con un’adeguata riproduzione in ossequio al canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. del contenuto dell’originario ricorso.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.700,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 8 marzo 2024.