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Indennità rischio radiologico: onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9981/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni dipendenti di un’azienda ospedaliera che richiedevano l’indennità di rischio radiologico. La Corte ha stabilito che non è sufficiente affermare di lavorare in una ‘zona controllata’, ma è necessario allegare e provare specificamente la frequenza e la durata dell’esposizione al rischio. La genericità della domanda iniziale ha reso impossibile la valutazione nel merito.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità rischio radiologico: non basta la ‘zona controllata’, serve la prova dei fatti

L’ordinanza n. 9981/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di indennità rischio radiologico: non è sufficiente per un lavoratore affermare di operare in una ‘zona controllata’ per avere diritto al compenso. È indispensabile, fin dal primo atto del giudizio, allegare e successivamente provare in modo specifico e dettagliato la frequenza e la durata dell’esposizione al rischio. In assenza di tali elementi, la domanda è destinata a essere respinta per genericità.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di un gruppo di dipendenti di un’azienda ospedaliera, non inquadrati come medici o tecnici di radiologia, di ottenere l’indennità di rischio radiologico. Tale indennità era stata inizialmente riconosciuta dall’azienda, ma successivamente revocata a seguito di una nuova delibera del Gruppo di Valutazione interno.
I lavoratori avevano quindi adito il Tribunale, ma la loro domanda era stata respinta. La decisione era stata confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello, la quale aveva sottolineato che il diritto all’indennità non deriva automaticamente dall’operare in una ‘zona controllata’, ma richiede una valutazione concreta della frequenza e della tempistica dell’esposizione effettiva al rischio. Contro questa decisione, i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la linea dei giudici di merito e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Il fulcro della decisione non risiede in una nuova valutazione del merito della questione, ma in un aspetto prettamente processuale: la carenza della domanda iniziale dei lavoratori.

Le Motivazioni: L’importanza della specificità dell’atto introduttivo

La Corte di Cassazione ha evidenziato come la ratio decidendi, ovvero la ragione fondante della decisione della Corte d’Appello, fosse la genericità delle allegazioni contenute nel ricorso originario dei lavoratori. Essi si erano limitati ad ‘asserire di operare in via esclusiva nella zona controllata’, senza però ‘precisare la frequenza della loro presenza all’interno della stessa durante l’orario di lavoro’ e senza fornire prove adeguate a riguardo.

Questo vizio iniziale, secondo la Cassazione, è decisivo. I ricorrenti, nel loro appello alla Suprema Corte, hanno commesso l’errore di criticare la valutazione delle prove (come i dati dosimetrici) senza prima aver contestato il vero motivo della reiezione della loro domanda: non aver fornito al giudice, fin dal principio, gli elementi di fatto specifici su cui basare la richiesta. Qualsiasi discussione sulle prove diventa irrilevante se la domanda a monte è formulata in modo vago e generico.

In sostanza, i giudici hanno affermato che l’onere della prova grava sul lavoratore, il quale deve non solo enunciare il proprio diritto, ma anche descrivere in modo circostanziato le condizioni fattuali che lo giustificano. Tentare di ottenere in Cassazione una rivalutazione dei fatti, come hanno fatto i ricorrenti, è un’operazione non consentita, poiché il giudizio di legittimità non costituisce un terzo grado di merito.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Lavoratori

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica. Chiunque intenda agire in giudizio per ottenere l’indennità rischio radiologico, o altri diritti simili basati su specifiche condizioni lavorative, deve prestare la massima attenzione alla redazione dell’atto introduttivo. È cruciale non limitarsi a dichiarazioni generiche, ma descrivere con precisione, fin da subito, tutti gli elementi di fatto rilevanti: quante volte, per quanto tempo e con quali modalità si è esposti al rischio. Una domanda precisa e ben documentata è il presupposto indispensabile per superare le eccezioni della controparte e consentire al giudice di entrare nel merito della questione. In caso contrario, il rischio è quello di vedere la propria richiesta respinta per un vizio di forma, senza che il diritto venga mai effettivamente esaminato.

È sufficiente lavorare in una ‘zona controllata’ per ottenere l’indennità di rischio radiologico?
No, secondo la Cassazione non è sufficiente. Oltre a operare in tale zona, il lavoratore deve allegare e provare in modo specifico la frequenza e la durata della sua esposizione effettiva al rischio.

Perché la Cassazione ha dichiarato il ricorso dei lavoratori inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché non contestava la vera ragione della decisione della Corte d’Appello, cioè la genericità della domanda iniziale. I lavoratori hanno invece tentato di ottenere una nuova valutazione delle prove, cosa non permessa nel giudizio di Cassazione.

Cosa deve fare un lavoratore che intende richiedere l’indennità di rischio radiologico?
Deve presentare un ricorso dettagliato fin dall’inizio, specificando non solo di lavorare in un’area a rischio, ma anche fornendo elementi precisi sulla frequenza e la tempistica della sua esposizione effettiva, per adempiere correttamente al proprio onere della prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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