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Indennità rischio radiologico: la prova in giudizio

Un’azienda sanitaria ha contestato il diritto dei suoi infermieri di sala operatoria all’indennità di rischio radiologico. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che lo svolgimento abituale del lavoro in una “zona controllata” è una prova sufficiente per ottenere il beneficio. La Corte ha inoltre chiarito che la valutazione del giudice può prevalere su quella della commissione interna di valutazione del rischio e che la consulenza tecnica d’ufficio (CTU) è uno strumento valido per accertare l’abitualità dell’esposizione.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità Rischio Radiologico: Habitualità in Zona Controllata è Prova Sufficiente

L’indennità rischio radiologico rappresenta un importante riconoscimento per il personale sanitario che opera in contesti esposti a radiazioni ionizzanti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui criteri per ottenerla, focalizzandosi sul valore probatorio dello svolgimento abituale dell’attività in una “zona controllata”. La decisione analizza il rapporto tra la valutazione del giudice e quella delle commissioni interne, nonché il ruolo della consulenza tecnica (CTU) nel processo.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dalla richiesta di un gruppo di infermieri strumentisti, impiegati presso la sala operatoria di un’importante azienda sanitaria, di vedersi riconosciuto il diritto all’indennità radiologica e a uno speciale congedo. In primo grado, la loro domanda era stata respinta. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva parzialmente riformato la decisione. Sulla base di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), i giudici di secondo grado avevano riconosciuto il diritto ai benefici per quei lavoratori di cui era stata provata l’abituale presenza professionale in un’area classificata dall’azienda stessa come “zona controllata”. Per altri lavoratori, il cui ruolo era emerso essere solo preparatorio o con una partecipazione molto limitata a interventi con uso di radiazioni, la domanda era stata invece respinta.

L’azienda sanitaria, insoddisfatta della sentenza, ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando dodici motivi di contestazione.

Indennità Rischio Radiologico: I Principi della Cassazione

La Corte Suprema ha esaminato e respinto i principali motivi di ricorso dell’azienda, consolidando principi fondamentali in materia. In primo luogo, ha ribadito che il diritto all’indennità e al congedo ha la natura di diritto soggettivo. Questo significa che il suo riconoscimento non dipende da un potere discrezionale dell’amministrazione. Di conseguenza, il parere negativo espresso dalla Commissione interna di valutazione del rischio radiologico non è vincolante per il giudice.

Il tribunale può, e deve, effettuare un accertamento autonomo per verificare l’esistenza dei presupposti di legge. Il diritto sorge direttamente dall’esposizione professionale del lavoratore a radiazioni ionizzanti in dosi superiori a quelle stabilite per legge, e non da un atto costitutivo della Commissione.

Come si prova il diritto all’indennità rischio radiologico?

La Corte chiarisce un punto essenziale per i lavoratori non appartenenti al personale medico e tecnico di radiologia. Per questi ultimi, opera una presunzione assoluta. Per tutti gli altri, invece, è necessario provare un’esposizione al rischio non occasionale o temporanea, ma analoga a quella del personale di radiologia. La Cassazione, rifacendosi a un precedente orientamento (Cass. 17116/2015), afferma che tale prova può essere fornita in due modi equivalenti:

1. Dimostrando l’assorbimento annuo di una dose di radiazioni superiore a determinate soglie tecniche.
2. Dimostrando lo svolgimento abituale della propria attività professionale all’interno di una “zona controllata”.

La legge stessa, nel definire la “zona controllata” come un’area in cui sussiste il rischio di superamento di determinati valori di dose, ha creato una sostanziale equiparazione tra le due condizioni. Pertanto, il lavoratore che dimostra di operare abitualmente in tale zona ha assolto il proprio onere probatorio.

Il Ruolo della CTU e l’Onere della Prova

L’azienda sanitaria aveva criticato l’uso della CTU, definendola di natura meramente “esplorativa” e volta a sopperire alle carenze probatorie dei lavoratori. La Cassazione ha rigettato anche questa censura. Ha spiegato che la CTU non è esplorativa quando ha lo scopo di accertare fatti che, pur richiedendo competenze tecniche, sono stati ritualmente allegati dalle parti.

Nel caso specifico, il fatto principale allegato era l'”abitualità” della presenza in zona controllata. La CTU è stata legittimamente utilizzata per ricostruire questo fatto attraverso l’analisi di elementi quantitativi come il numero di operazioni, gli addetti coinvolti e i loro ruoli. Questi non sono fatti nuovi, ma elementi che permettono di accertare in via consequenziale il fatto primario dell’abitualità. Inoltre, nel rito del lavoro, i poteri istruttori del giudice sono più ampi, e ciò che il giudice potrebbe accertare direttamente (tramite ispezioni o acquisizioni documentali) può essere legittimamente delegato al consulente tecnico, nel rispetto del contraddittorio.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla natura del diritto all’indennità come diritto soggettivo, che non può essere subordinato a decisioni amministrative discrezionali. Il rigetto dei motivi di ricorso si basa sulla constatazione che la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi di diritto consolidati. Ha giustamente ritenuto che la prova dell’attività abituale in una “zona controllata”, così classificata dalla stessa azienda sanitaria, fosse sufficiente a fondare il diritto dei lavoratori. La critica alla CTU è stata respinta perché il suo utilizzo era finalizzato a quantificare e oggettivare un fatto già dedotto in giudizio (l’abitualità dell’esposizione), rientrando pienamente nei poteri istruttori del giudice del lavoro.

La Suprema Corte ha anche ritenuto infondate le censure relative alla presunta violazione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), specificando che la Corte territoriale non ha invertito tale onere, ma ha semplicemente ritenuto che i lavoratori lo avessero assolto. I tentativi dell’azienda di rimettere in discussione la valutazione delle prove sono stati giudicati inammissibili in sede di legittimità, poiché miravano a ottenere un nuovo giudizio sul fatto, precluso in Cassazione.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda sanitaria e l’ha condannata al pagamento delle spese legali. L’ordinanza consolida un principio di grande rilevanza pratica: per il personale sanitario non direttamente addetto alla radiologia, la prova dello svolgimento abituale della propria mansione all’interno di una “zona controllata” è un criterio sufficiente per ottenere l’indennità di rischio radiologico e il relativo congedo. Questa decisione rafforza la tutela dei lavoratori esposti, chiarendo che la classificazione delle aree di rischio effettuata dallo stesso datore di lavoro costituisce un elemento probatorio fondamentale che il giudice può utilizzare per riconoscere i diritti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Il parere della Commissione di rischio radiologico è vincolante per il giudice?
No, il parere della Commissione non è vincolante. La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto all’indennità è un diritto soggettivo e non dipende da un potere discrezionale amministrativo. Il giudice può e deve compiere un accertamento autonomo dei fatti per decidere se il diritto sussiste.

Come può un lavoratore sanitario, non addetto alla radiologia, dimostrare il diritto all’indennità di rischio radiologico?
Secondo la sentenza, il lavoratore può dimostrare il suo diritto provando l’esposizione non occasionale al rischio. Questo può essere fatto in due modi equivalenti: dimostrando l’assorbimento di una specifica dose di radiazioni annua, oppure dimostrando di svolgere abitualmente la propria attività professionale all’interno di un’area classificata come “zona controllata”.

È legittimo utilizzare una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per accertare l’esposizione al rischio radiologico?
Sì, è legittimo. La Corte ha chiarito che una CTU non è considerata “esplorativa” se viene utilizzata per accertare e quantificare fatti già allegati dalla parte, come l’abitualità della presenza in una zona a rischio. Il giudice può demandare al consulente tecnico l’accertamento di elementi quali il numero di interventi, i ruoli svolti e la frequenza, al fine di valutare l’abitualità dell’esposizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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