Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11665 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11665 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
nel procedimento iscritto al n. 22011/2020 R.G. proposto da AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE CENTRO SPECIALISTICO ORTOPEDICO TRAUMATOLOGICO NOME COGNOME –COGNOME , rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
e contro
– controricorrenti –
– intimati –
avverso la sentenza n. 132/2020 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 24.2.2020, N.R.G. 320/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
la Corte d’Appello di Milano, riformando in esito a c.t.u. la sentenza del Tribunale della stessa città, ha riconosciuto il diritto dei controricorrenti, infermieri strumentisti presso la sala operatoria Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico NOME COGNOME (di seguito, ASST), alla percezione dell’indennità radiologica ed alla fruizione dello speciale congedo e ciò sul presupposto che non fosse dirimente il contrario parere della Commissione di valutazione del rischio radiologico di cui all’art. 58, co. 4, del d.p.r. n. 270 del 1987 e che fosse viceversa comprovato l’abituale svolgimento da parte dei lavoratori dell’attività professionale nell’ambito di zona classificata dagli atti aziendali sui rischi come ‘controllata’;
rispetto agli altri lavoratori, l’appello è stato invece disatteso, con conferma quindi del rigetto della domanda pronunciato in primo grado, perché sulla base degli accertamenti peritali era emerso un loro ruolo solo preparatorio delle operazioni o la partecipazione diretta ad un numero assai limitato di interventi;
1. 2.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di dodici motivi, resistiti da controricorso dei lavoratori la cui domanda era stata accolta in appello, mentre i lavoratori la cui domanda era stata rigettata sono rimasti intimati;
è in atti memoria dei controricorrenti e requisitoria scritta del Pubblico Ministero, che ha concluso per il rigetto del ricorso per cassazione
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) per essersi in essa motivato sulla rilevanza da attribuire alla mancata impugnazione del giudizio della Commissione di rischio radiologico in modo soltanto apparente ed inesistente;
il secondo motivo assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 460 del 1988 e dell’art. 58 del d.p.r. n. 270 del 1987, in relazione agli artt. 4 e 5 della legge n. 2248 del 1865 e con esso si sostiene che l’accertamento di quale sia il personale, diverso da medici e tecnici di radiologia, soggetto a rischio radiologico rilevante, al fine dell’applicazione dei conseguenti benefici sarebbe rimesso dall’art. 58 del d.p.r. n. 270 cit. ad apposita commissione presieduta dal coordinatore sanitario e composta dal responsabile dell’unità radiologica, da un rappresentante sindacale e da un esperto qualificato;
1.1 i due motivi vanno disattesi;
1.2
l’indennità di rischio radiologico è stata prevista dall’art. 1 della legge n. 460 del 1988, quale intesa anche da Corte costituzionale 20 luglio 1992, n. 343 e poi, in esito alla legge n. 537 del 1993, art. 8, comma 6, dalla contrattazione collettiva e ad essa, ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 5, si associa il congedo ordinario aggiuntivo di quindici giorni per il c.d. recupero biologico;
quelle così riconosciute sono dunque prestazioni con funzione indennitaria che attribuiscono ai lavoratori benefici interni ai rapporti di lavoro che li coinvolgono;
si tratta quindi di situazioni che, al ricorrere dei corrispondenti presupposti, hanno la piena natura di diritti soggettivi, rispetto ai quali non viene in gioco alcun potere amministrativo discrezionale che giustifichi il riconoscimento di una qualche portata costitutiva alla decisione della Commissione;
ciò è quando sostanzialmente detto dalla Corte territoriale allorquando essa ha appunto escluso una tale generalizzata portata costitutiva e ha ritenuto che « il titolo all’indennità … sorge per effetto dell’applicazione del dipendente interessato ad un’attività che lo esponga professionalmente alle radiazioni ionizzanti nelle dosi superiori a quelle stabilite dalla legge » e ciò esclude non solo l’inesistenza della motivazione tra l’altro non predicabile come vizio rispetto a questioni di mero diritto: Cass. 1 marzo 2019, n. 6145 -ma anche la sua contrarietà a norme dell’ordinamento;
va quindi superato il pregresso indirizzo -di cui a Cass. 30 maggio 2012, n. 8660 -secondo il quale la verifica delle singole situazioni concrete ad opera della Commissione riveste carattere costitutivo, dipendendo dal suo esito il riconoscimento dell’indennità;
del resto, già Cass. 24 agosto 2015, n. 17116 implicitamente ha opinato nel senso qui precisato, allorquando nell’affermare che « il lavoratore che richieda l’indennità di rischio radiologico ed il congedo aggiuntivo, ed intenda contestare l’accertamento della Commissione di cui al D.P.R. 20-maggio 1987, n. 270, art. 58, comma 4, e succ. mod. sulla base del quale questi sono stati negati, ha (…) l’onere di provare in giudizio l’esposizione qualificata richiesta dalla normativa, ovvero l’effettiva esposizione ad un rischio di radiazioni in misura non diversa da quella cui si trova normalmente esposto il personale di radiologia » -ha tracciato un assetto inconciliabile con una portata costitutiva della
valutazione della Commissione stessa, che infatti può essere superata dal contrario accertamento svolto in sede giudiziale;
si deve dunque ritenere che il giudizio negativo della Commissione di cui all’art. 1, co. 2, della legge n. 460 del 198 8, all’art. 58, co. 4, cit. ed all’art. 120, co. 4, d.p.r. n. 384 del 1990, non sia in alcun modo preclusivo rispetto all’azione giudiziale finalizzata a far accertare, nei riguardi del datore di lavoro, l’esistenza dei presupposti per i benefici indennitari di cui alla disciplina sulle radiazioni ionizzanti;
2.
il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 460 del 1988 e degli artt. 5 e 6 della legge n. 724 del 1994, nonché della previsione di cui all’art. 5 del CCNL del 20.9.2001 del comparto sanità e con esso si critica il fatto che la Corte territoriale abbia riconnesso il riconoscimento del diritto al solo accertamento che i ricorrenti svolgessero la loro attività abitualmente in zona controllata, rimarcando come sarebbe stato onere dei lavoratori dimostrare l’equivalenza tra lo svolgimento dell’attività in tale zona e l’assorbimento di radiazioni nella misura rilevante per legge;
il motivo è infondato;
questa S.C. ha infatti già precisato e va qui ribadito, che al di fuori del personale medico e tecnico di radiologia, per il quale soltanto opera la presunzione assoluta di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 460 del 1988, l’indennità di rischio radiologico presuppone la sussistenza del rischio effettivo di un’esposizione non occasionale, né temporanea, analoga a quella del personale di radiologia, sicché il lavoratore che richieda detta indennità, ed il congedo aggiuntivo, ha l’onere di provare in giudizio l`esposizione qualificata in base ai criteri tecnici previsti dal d.lgs. n. 230 del 1995, ovvero lo svolgimento abituale dell’attività professionale in zona controllata o
l’assorbimento annuo delle radiazioni che la stessa comporta (Cass. 17116/2015 cit., in massima);
la pronuncia testé citata, nel ricondurre ad unità apparenti difformità di alcuni altri precedenti, ha altresì precisato che « l’enucleazione dei requisiti per la parificazione del restante personale a quello tecnico e medico di radiologia per l’applicazione degli specifici istituti contrattuali in esame, deve infatti necessariamente correlarsi ai criteri tecnici previsti dalla legislazione in materia, ed in particolare oggi dal D.lgs. 17 marzo 1995, n. 230, recante “Attuazione delle direttive 89/618/ Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, 2009/71/Euratom in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70/Euratom in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili”. Tale legge all’All. III, da ultimo modificato dall’art. 4 del D.lgs. n. 257 del 2001, ha individuato al paragrafo 3.1. le dosi di esposizione che determinano la classificazione in Categoria A per quei lavoratori esposti che, sulla base degli accertamenti compiuti dall’esperto qualificato ai sensi del paragrafo 5, sono suscettibili di un’esposizione superiore, in un anno solare, ad uno dei seguenti valori: a) 6 mSv di dose efficace; b) i tre decimi di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente fissati al paragrafo 2 dell’Allegato IV, per il cristallino, per la pelle nonché per mani, avambracci, piedi e caviglie, con le modalità di valutazione stabilite al predetto paragrafo. Parallelamente, l’Allegato III al successivo paragrafo 4.1., ha qualificato come Area Controllata ogni “area di lavoro in cui, sulla base degli accertamenti e delle valutazioni compiuti dall’esperto qualificato ai sensi del paragrafo 5 del presente Allegato, sussiste per i lavoratori in essa operanti il rischio di superamento di uno qualsiasi dei valori di cui al precedente paragrafo 3.1”. In tal modo, la legge ha posto una sostanziale equiparazione tra lo svolgimento abituale dell’attività
professionale in zona controllata e l’assorbimento annuo delle radiazioni che la stessa comporta, individuata con riferimento al personale qualificato in categoria A, e quindi tra le caratteristiche oggettive e le ripercussioni soggettive della prestazione nociva che, in considerazione dell’unicità dei valori considerati, dovrebbero negli effetti essere convergenti. Il sanitario che agisca per ottenere l’indennità di rischio radiologico ed il congedo aggiuntivo ricorrente può quindi dedurre (ed ha l’onere di dimostrare) la sussistenza dell’uno o dell’altro aspetto della medesima situazione »;
si tratta esattamente di quanto sul piano sostanziale e processuale ha fatto la Corte territoriale, sicché il motivo, come si è detto, va disatteso;
3.
il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 116 e 424 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) e censura la sentenza impugnata per avere dato corso a c.t.u. di natura esplorativa;
il quinto motivo assume invece che la Corte d’Appello avrebbe attribuito al c.t.u. un indiscriminato potere istruttorio, così supplendo alle carenze allegatorie dei lavoratori con ciò applicando falsamente e violando gli artt. 194 e 195 c.p.c. e gli artt. 87 e 90 disp. att. c.p.c.;
3.1
i motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati;
3.2
va intanto detto che il provvedimento che dispone una consulenza tecnica di ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente sostenuto dalla necessità di risolvere questioni implicanti specifiche cognizioni tecniche (Cass. 2 marzo 2015, n. 4185);
la necessità di risolvere questioni tecniche nel caso di specie è certa ed anche le valutazioni quantitative necessarie a formulare un giudizio di ‘abitualità’ sono tali;
va poi considerato l’ulteriore principio, formulato in tema di consulenza c.d. percipiente, secondo cui il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio (Cass., S.U., 1 febbraio 2022, n. 3086);
nel caso di specie, il fatto principale della ‘abitualità’ della presenza in ‘zona controllata’ non poteva che essere ricostruito sulla base degli elementi quantitativi delle operazioni cui i diversi lavoratori avevano partecipato nel corso del tempo e che si erano svolte in quell’ambito soggetto a radiazioni;
il numero delle operazioni, degli addetti, i loro ruoli etc. sono tutti fatti dai quali si ricostruisce in via consequenziale la consistenza dei fatti primari (abitualità della presenza in zona controllata) e come tali rientrano quindi in ciò che poteva essere demandato al c.t.u.; ciò senza contare che l’ampiezza dei poteri istruttori del giudice del lavoro -tale per cui non si può prescindere, ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., dall’acquisizione di quanto indispensabile per una decisione che non si fondi solo sull’onere della prova: Cass. 17 dicembre 2019, n. 33393; Cass. 5 novembre 2018, n. 28134; Cass. 15 maggio 2018, n. 11845 -si riverbera inevitabilmente sulla maggiore ampiezza dei corrispondenti poteri del c.t.u., non potendosi negare che quanto il giudice potrebbe fare da sé (ispezioni; acquisizioni documentali etc.), possa essere demandato dal giudice stesso al perito, nel contraddittorio delle parti;
infine, va considerato come dalla sentenza emerga che i dati sulla classificazione della zona controllata sono stati forniti al c.t.u. dalla stessa ASST, che dunque non può ora dolersi della loro utilizzazione;
4.
il sesto mezzo di impugnazione denuncia la violazione degli artt. 116 e 132 n. 4 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) ed afferma l’esistenza di un vizio motivazionale, per avere la sentenza acriticamente recepito le conclusioni del consulente tecnico senza prendere alcuna posizione sulle doglianze formulate attraverso la relazione di parte;
il settimo motivo a propria volta adduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.);
con esso si torna sul tema della necessità di una sottoposizione non meramente ipotetica al rischio, frutto di esposizioni occasionali, temporanee o saltuarie, sostenendosi l’assenza di un’equiparazione normativa tra zona controllata e rischio radiologico e rimarcando anche sulla base di alcuni dati istruttori e deposizioni ivi riportate come fossero solo alcuni momenti dell’attività infermieristica in sala operatoria a poter comportare la sottoposizione all’erogazione dei raggi;
con l’ottavo motivo si insiste ancora sulla violazione dell’art. 2697 c.c., oltre che degli artt. 115, 167, co. 1 e 416, co. 3, c.p.c., ribadendo la necessità che il riconoscimento del diritto segua alla soddisfazione in modo specifico e rigoroso dell’onere probatorio degli elementi costitutivi della domanda, profili rispetto ai quali non poteva farsi leva sui documenti prodotti dai lavoratori o sulla c.t.u., di cui si ribadisce l’inammissibilità;
4.1
anche tali motivi vanno esaminati congiuntamente e sono da disattendere;
la reiterata denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c. è infondata, in quanto la Corte territoriale non ha in alcun modo posto l’onere probatorio a carico del datore di lavoro, ma lo ha invece ritenuto assolto dalla parte onerata, ovverosia dai lavoratori;
quest’ultima valutazione attiene al merito e non all’assetto degli oneri probatori e dunque l’art. 2697 c.c. non è stato in sé violato (v. già la risalente Cass. 27 luglio 1966, n. 2084);
4.3
si è detto, rispondendo sul terzo motivo del ricorso per cassazione, della coerenza del decisum rispetto ai principi di diritto invalsi presso questa RAGIONE_SOCIALE, in ordine alla rilevanza della lavorazione abituale in zona controllata, così come già si è detto sulla legittimità del ricorso all’indagine peritale;
4.4
nel resto i motivi sono inammissibili;
il sesto motivo -infatti -nel sostenere la mancata disamina delle censure mosse dal c.t.p. del datore di lavoro, non ne riporta il tenore e dunque non inserisce il dato asseritamente trascurato nel contesto di un ragionamento critico concreto, in contrasto con i principi di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.;
i richiami a dati istruttori contrari e favorevoli alla posizione datoriale -di cui al settimo e all’ottavo motivo nonché alle regole sulla valutazione delle prove esprimono poi una difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi probatori, così risolvendosi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; ora anche Cass. 22 novembre 2023, n. 32505);
5.
il nono motivo di ricorso adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 58 del d.p.r. n. 270 del 1987 e dell’art. 100 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.);
esso, muovendo dal presupposto che i diritti conseguenti al rischio radiologico vanno riconosciuti non sulla base delle qualifiche formali dei lavoratori, ma dell’effettiva esposizione alle radiazioni, assume che erroneamente la sentenza impugnata ha accertato la spettanza dei benefici senza però limitare la condanna a un periodo predeterminato nel tempo, « in guisa da negare, pro futuro, il ruolo stesso della Commissione di rischio radiologico riconosciuto dall’art. 58 del D.P.R. 270/1987 »;
5.1
anche tale motivo non può essere accolto;
5.2
nessun elemento della pronuncia o del ricorso per cassazione consente di affermare che la sentenza abbia esteso in modo diretto la propria portata al futuro a ciò non bastando che non sia stato esplicitamente indicato un limite temporale all’accertamento del diritto « con decorrenza dal 1.1.2016 » e gli stessi controricorrenti non disconoscono che la pronuncia è da riferire all’anno 2016, cui hanno fatto riferimento gli accertamenti svolti;
5.3
è del resto estraneo al tema del presente giudizio stabilire se la pronuncia impugnata sia tale da dispiegare effetti anche oltre l’anno cui si riferiscono gli accertamenti, in ragione del suo riguardare un rapporto di durata e della variabilità o meno dei dati rilevanti (v. Cass. 19 aprile 2023, n. 10430; Cass. 18 agosto 2020, n. 17223) o del verificarsi di sopravvenienze (v. Cass. 17 agosto 2018, n. 20765), perché ciò presupporrebbe che sia oggetto di pretesa o di contenzioso tra le parti quanto riguardante annate
successive, il che non risulta, sicché non è questa la sede per dirimere ogni questione al riguardo;
6.
il decimo motivo assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento all’avere la Corte d’Appello compensato le spese del grado anche in relazione ai lavoratori COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME (cui dovrebbe aggiungersi per identica posizione la lavoratrice COGNOME n.d.r.), sebbene la loro domanda fosse stata disattesa su entrambi i gradi del giudizio e risultassero dunque soccombenti, così come non erano state poste a loro carico pro quota le spese di c.t.u.;
l’undicesimo motivo denuncia i medesimi profili sub specie di difetto di motivazione della disposta compensazione, con riferimento ulteriore anche alla violazione degli artt. 132 e 92 c.p.c., nonché all’art. 118 disp. att. c.p.c. ed all’art. 111 della Costituzione;
il dodicesimo motivo è rubricato come « violazione e falsa applicazione degli artt. 91 cod. proc. civ. e D.L. n. 11/2011 (Conv. in L. 27/2012) e dei DM 140/12 e 55/14 », ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e con esso si adduce che la motivazione della Corte d’Appello, nella parte in cui ha disposto la compensazione, sarebbe altresì errata perché nulla ha stabilito in merito ai compensi professionali in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, i cui importi sono indicati dalla ricorrente per cassazione nel contesto del motivo stesso, sulla base di un valore indeterminabile della causa;
6.1
i tre motivi, ancora da esaminare congiuntamente, non possono essere accolti;
6.2
il Collegio ritiene intanto che debba darsi una lettura non parcellizzata della sentenza di appello sotto il profilo delle spese;
in questa logica, l’avere richiamato , nella determinazione delle spese a carico dell’ASST quale parte soccombente, il « grado di complessità » e l’ « attività istruttoria svolta », portano a ritenere che siano stati quegli elementi a giustificare la compensazione disposta nei riguardi dei lavoratori la cui domanda non veniva accolta;
su tale premessa, va poi rilevato che Corte Costituzionale 19 aprile 2018, n. 77 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, co. 2, c.p.c. nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del decretolegge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, non solo nelle ipotesi di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti, già previste dalla norma, ma anche in presenza di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni;
tale assetto giuridico consente di valorizzare le particolarità del caso di specie, che certamente possono essere integrate dal menzionato grado di difficoltà giuridica ed istruttoria;
tali difficoltà sono peraltro palesemente ricorrenti nella controversia concreta, la cui complessità su quei piani è resa manifesta dalle articolate valutazioni peritali già esaminate e dal percorso argomentativo sviluppato, sul piano giuridico, dalla sentenza impugnata;
6.3
quanto alle spese di c.t.u., ritiene il collegio di dover evidenziare come l’incombente fosse sostanzialmente unitario, sicché non si possono, rispetto ad esso, operarsi ex post scissioni al fine di imputare i costi alle diverse parti a seconda degli esiti peritali nei loro riguardi;
va dunque condiviso il fatto che i corrispondenti oneri siano stati posti a carico della parte -ovverosia l’ASST cui senza dubbio,
dato il numero dei lavoratori nei cui riguardi la domanda è stata accolta (quindici) rispetto a quello dei lavoratori per cui essa è stata rigettata (cinque), va imputata in via del tutto prevalente la causazione dell’incombente:
6.4 degli oneri di rimborso spese nei riguardi dei lavoratori che non hanno il
va da sé che, non venendo accolti i motivi riguardanti l’ an visto accogliere la loro domanda, resta assorbito il motivo -dodicesimo – riguardante la quantificazione di tali spese;
7.
le spese del giudizio di cassazione restano regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 10.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori antistatari Avv.ti
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro