Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10518 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10518 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
OGGETTO : Licenziamento illegittimo – Art. 63, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, come modif. dall’art. 21, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 75/2017 Riduzione dell’indennità risarcitoria a ventiquattro mensilità -Applicazione anche agli illeciti disciplinari anteriori all’entrata in vigore della novella -Sussistenza -Limiti Necessaria irrogazione del licenziamento nella vigenza del d.lgs. n. 75 del 2017.
sul ricorso 18996 del 2021 proposto da:
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale elettivamente domicilia, in Roma, INDIRIZZO
R.G.N. 18996/2021
Cron. Rep. Ud. 3.4.2025
– ricorrente –
contro
NOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME presso lo studio di quest’ultima elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente-
avverso la sentenza n. 1983/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17.5.2021 R.G.N. 1850/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3.4.2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, per quanto ancora qui rileva, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato in data 17.4.2018 dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di NOME COGNOME in ragione dell’intervenuta decadenza di cui all’art. 55, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001, e condannava la parte datoriale alla reintegra della lavoratrice, nonché al pagamento in suo favore di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sin o a quello dell’effettiva reintegra, oltre interessi e rivalutazione monetaria nei limiti di legge e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con un motivo.
Resiste con controricorso la lavoratrice, depositando altresì memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l ‘Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, come novellato dall’art. 21 del d.lgs. n. 75 del 2017 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
1.1. La parte datoriale sostiene che se la Corte di Appello avesse fatto buon governo delle disposizioni ratione temporis vigenti, avrebbe dovuto quantificare e contenere il risarcimento del danno riconosciuto alla lavoratrice nei limiti delle ventiquattro mensilità, sia per ciò che concerne l’indennità risarcitoria, sia per quanto riguarda il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, giacché tra la data del licenziamento (17.4.2018) e quella di effettiva reintegra (4.6.2021) sono trascorsi 38 mesi.
1.2. La censura evidenzia, in punto di diritto, che l’art. 63, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dall’art. 21, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 75 del 2017, trova senz’altro applicazione nel caso di specie in quanto l’art. 22, comma 13, del d.lgs. n. 75 del 2017 limita l’applicazione agli ille citi successivi alla sua entrata in vigore solo delle norme di cui al capo VII e nello specifico gli artt. da 12 a 17, e non anche del citato art. 21.
Va in premessa rilevato che il motivo non attinge la declaratoria di illegittimità del licenziamento, in quanto la questione devoluta concerne unicamente la misura dell’indennità risarcitoria e dei contributi assistenziali e previdenziali, ne consegue che su detto accertamento (l’illegittimità del licenziamento) è caduto il giudicato.
2.1. Sempre in via di premessa, il Collegio evidenzia che il ricorso (a differenza di quanto dedotto dalla difesa della controricorrente) non è inammissibile per difetto di interesse.
2.2. Nel dettaglio la COGNOME ha sostenuto nel controricorso e ribadito nella memoria ex art. 378 c.p.c. che, poiché la condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria è stata dal giudice di appello disposta ‘ nei limiti di legge ‘ , non occorreva la proposizione del ricorso per cassazione (di qui il sostenuto
difetto di carenza di interesse), poiché la condanna doveva intendersi pronunziata dalla Corte di appello nel limite delle ventiquattro mensilità. Ha altresì rimarcato la sufficienza del ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali al fine di elidere eventuali dubbi sulla portata del dispositivo.
2.3. Al riguardo, il Collegio osserva, invece, che il dispositivo della sentenza di appello così statuisce sul punto ‘condanna l’Agenzia delle Entrate alla reintegrazione di NOME COGNOME nel posto di lavoro nonché al pagamento, in favore della stessa, di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva rei ntegrazione, oltre interessi e rivalutazione monetaria nei limiti di legge (art. 22, comma 36, della l. n. 724 del 1994) e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione’.
2.4. La piana lettura del dispositivo rende palese che l’inciso ‘ nei limiti di legge’ è riferito ai soli interessi e rivalutazione e non anche alla condanna al pagamento delle retribuzioni ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali che, invece, è stata disposta a far tempo dal licenziamento e fino all’effettiva reintegra , con superamento quindi, nel caso di specie, della soglia delle ventiquattro mensilità.
2.5. Conseguentemente sussiste l’interesse dell’Agenzia delle Entrate alla proposizione del presente ricorso, né la questione poteva essere risolta con il procedimento di correzione di errore materiale.
Ai fini del decidere, occorre, quindi in primo luogo verificare se l’art. 63, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dall’art. 21, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 75 del 2017, trovi applicazione ratione temporis nel caso di specie.
Tanto perché, se è vero che il licenziamento è stato irrogato il 17.4.2018, nella vigenza del novellato art. 63, comma 2, cit., gli illeciti disciplinari sono tutti anteriori (si fa rinvio sul punto alle date indicate nelle contestazioni come riportate nella sentenza di appello), sicché al fine di valutare la fondatezza del ricorso occorre porsi, innanzi tutto, la questione della applicazione al caso in esame della novella.
Ebbene, osserva al riguardo il Collegio che la norma in rilievo, di natura sostanziale, senza dubbio non può essere applicata retroattivamente alla luce della regola generale di cui all’art. 11 delle disp. preliminari al c.c.
5.1. Se tanto è vero, resta da chiarire se, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile ratione temporis debba farsi riferimento alla data di adozione del provvedimento espulsivo o, invece, a quella di commissione delle infrazioni.
Al fine di risolvere la questione controversa occorre innanzitutto fare riferimento alla disciplina transitoria dettata dall’art. 22, comma 13, del d.lgs. n. 75 del 2017.
6.1. Ebbene, l’ art. 22, comma 13, del d.lgs. n. 75 del 2017 dispone che le norme di cui al capo VII di tale d.lgs., ovvero gli artt. da 12 a 17, che disciplinano il procedimento disciplinare, si applicano solo alle infrazioni disciplinari commesse successivamente all’entrata in vigore del decreto.
6.2. Tale disposizione, quindi, esclude solo l’applicazione dell e norme che disciplinano il procedimento di irrogazione delle sanzioni agli illeciti disciplinari commessi anteriormente all’entrata in vigore della novella .
6.2.1. Il d.lgs. n. 75 del 2017 non contiene, invece, alcuna disposizione che specifichi se il novellato art. 63 comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001 – che prevede la mera rimodulazione
della indennità risarcitoria nella misura massima di ventiquattro mensilità -si applichi ai licenziamenti irrogati sotto la sua vigenza, pur quando la commissione del l’illecito sia anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 75 cit. , com’è nel caso di specie.
6.3. Ai fini della soluzione della questione, mai indagata dal giudice di legittimità, è utile rammentare quanto statuito da Cass. n. 25717/2018, rv. 650946-01, in conseguenza della novella apportata all’art. 18 dalla cd. l. Fornero.
6.3.1. Nella decisione innanzi richiamata si afferma che ‘ ai sensi del combinato disposto dei commi 47 e 67 dell’art. 1 della l. n. 92 del 2012, nei giudizi aventi ad oggetto i licenziamenti disciplinari, al fine di individuare la legge regolatrice del rapporto sul versante sanzionatorio, va fatto riferimento non al fatto generatore del rapporto, né alla contestazione degli addebiti, ma alla fattispecie negoziale del licenziamento, sicché l’art. 1, comma 42, della l. n. 92 cit., si applica solo ai nuovi licenziamenti, ossia a quelli comunicati a partire dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della nuova disciplina ‘ .
6.3.2. Nello stesso senso, il giudice di legittimità si era del resto già espresso in Cass. n. 16265/2015, rv. 63635101.
6.3.3. Nel percorso motivazionale, della sopraindicata pronunzia vengono esplicitate le ragioni di tale scelta.
6.3.4. Si afferma che, al fine di individuare il regime sostanziale applicabile, occorre far riferimento al momento di perfezionamento della fattispecie negoziale -dunque al momento del licenziamento, al quale la legge àncora la rinnovata disciplina relativa alle disposizioni di carattere sostanziale, senza che abbia rilievo che il fatto contestato sia precedente all ‘entrata in vigore della novella (nel caso ivi all’attenzione la l. n. 92/2012).
Si rimarca altresì che il licenziamento, pur essendo una sanzione, non può essere equiparato ad una pena, nemmeno ad una pena in senso sostanziale (la cui definizione è dovuta alla CEDU a partire dalla nota sentenza Engel contro Paesi Bassi dell’8 giugno 1976), cui per la giurisprudenza di Strasburgo, avallata dalla nostra giurisprudenza costituzionale (cfr., ad es., C. cost. 104 del 2014), si applicano le medesime garanzie previste per la sanzione penale. Ed infatti, si sottolinea, la sanzione espulsiva non si inserisce in un rapporto di soggezione connotato dall’esercizio di un potere pubblico e non può quindi qualificarsi pena neppure in senso lato, di modo che nella materia in esame certamente non opera il principio di irretroattività sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost. che prescrive che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
6.3.5. E’ alla luce delle sopraindicate considerazioni che l’applicazione della novella viene ancorata, quanto alle modifiche dell’art. 18 introdotte dalla legge cd. Fornero, non al fatto generatore del provvedimento espulsivo (l’illecito disciplinare), ma alla fattispecie negoziale del licenziamento disciplinare.
Ebbene, rilevata l’assenza di una disposizione transitoria, è nel solco dei principi enunziati da Cass. n. 16265/2015 e dalla successiva conforme Cass. n. 25717/2018 cui si intende dare continuità, che il Collegio afferma che: l’art. 63, comma 2, del TUPI, come modificato dall’art. 21, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 75 del 2017, nella parte in cui prevede che, in caso di licenziamento illegittimo o nullo, il giudice condanna l’amministrazione alla reintegra e al pagamento di una indennità risarcitoria dalla data del licenziamento a quella della reintegra, in misura non superiore alle ventiquattro mensilità,
oltre che, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, si applica a tutti i licenziamenti irrogati nella vigenza della novella, irrilevante che l’illecito disciplinare sia stato commesso in data anteriore. 8. In applicazione del principio innanzi enunziato, il ricorso va quindi accolto, la sentenza impugnata va cassata in parte qua, e la causa decisa nel merito, non occorrendo altri accertamenti di fatto, in ragione della mera richiesta formulata nel motivo di riduzione dell’indennità risarcitoria nella misura di ventiquattro mensilità, con corrispondente riduzione della condanna al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Conseguentemente, l’Agenzia delle Entrate , ferme le restanti statuizioni, è condannata al pagamento in favore NOME NOME dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 63, comma 2, novellato del TUPI, nel limite massimo di ventiquattro mensilità, oltre che, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Quanto al regolamento delle spese, confermate le statuizioni della sentenza impugnata, la novità della questione giustifica la compensazione di quelle del giudizio di legittimità. 8. Si attesta che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente in cassazione di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art.
13, comma 1 quater).
PQM
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito, ferme le altre statuizioni, condanna l’Agenzia delle entrate al
pagamento, in favore di NOME COGNOME, dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 63, comma 2, come modif. dall’art. 21, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 75/2017, nel limite massimo di ventiquattro mensilità, oltre che, per il medesimo periodo, al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente in cassazione di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione