Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14741 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14741 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21544/2023 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME
– intimato – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5149/2023 depositata il 13/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rieti NOME COGNOME deducendo di avere stipulato il 7.2.2004 (quale promissario acquirente, con immediata immissione nel possesso) un contratto preliminare, avente ad oggetto alcuni terreni in Rieti, INDIRIZZO di proprietà del convenuto (promittente venditore), oltre ad una concessione edilizia rilasciata dal Comune il 31.12.2001, relativa ad un fabbricato per civile abitazione. L’attore a ggiungeva che, con sentenza n. 436/2007, resa a definizione del giudizio n.371/2005 R.G. instaurato dal COGNOME, il Tribunale di Rieti aveva dichiarato risolto tale contratto per il suo inadempimento, condannandolo al rilascio dei terreni, sui quali egli aveva nel frattempo realizzato un fabbricato, a sua cura e spese, e che, pertanto, una volta che il COGNOME era tornato nella disponibilità dei terreni, in seguito alla procedura di rilascio, egli aveva maturato il diri tto al pagamento della somma di € 245.000,00, ex art. 936, comma 2, c.c. o, in subordine, ex art. 1150, comma 3, c.c. o, in ulteriore subordine, ex art. 2041 c.c.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 315/2019 rigettava tutte le domande, in difetto dei relativi presupposti.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione.
La Corte condivideva le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado che, partendo dall’esame della fattispecie concreta (costruzione sul terreno altrui di un edificio da parte del promissario acquirente, condannato al rilascio a seguito della risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del medesimo) e dai
principi enunciati dalla S.C. in materia di indennità spettante al terzo per la costruzione eseguita con i suoi materiali, ai sensi dell’art. 936, comma 2, c.p.c. e di indennità spettante al possessore per miglioramenti ai sensi dell’art. 1150 c.c., aveva escluso l’applicabilità di tale ultima disposizione, in forza del principio secondo cui il promissario acquirente di un immobile oggetto di un contratto preliminare non è possessore del bene, anche se è stato già anticipatamente immesso nella detenzione qualificata dello stesso (Cass. S.U. n. 7930/2008).
Principio non superato da quanto dedotto a sostegno del terzo motivo di appello, giacché la risoluzione del contratto, stante l’efficacia retroattiva tra le parti della relativa pronuncia, non aveva inciso nel senso indicato di trasformare l’appellante da detentore qualificato a possessore, divenendo il medesimo, al contrario, terzo rispetto al bene, con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 936 c.c . (in termini, Cass. 26.6.201 8 n. 16804).
Quanto all’art. 936, comma 2, c.c. il giudice di primo grado, dopo avere riportato nel dettaglio le risultanze delle prove orali assunte (interrogatorio formale dell’attore e dichiarazioni testimoniali) ed avere evidenziato come l’Oddi avesse prodotto soltanto poche fatture e documenti di trasporto aventi ad oggetto esigui importi in raffronto all’entità della domanda e riguardanti materiale di ferramenta non riconducibile alla costruzione del fabbricato e come alcuni documenti (non solo il contratto del 13.3.2004, ma anche alcune fatture e lettere) riportassero il COGNOME quale committente dei lavori, aveva ritenuto non assolto dall’attore l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la propria qualità di terzo costruttore, ai fini e per gli effetti dell’art. 936 c.c.,
e l’assunzione del relativo onere economico, rigettando la domanda principale.
Tale conclusione secondo la Corte d’Appello non era del tutto condivisibile, in quanto in parte contrastante con la ricostruzione dei fatti offerta in primo grado dallo stesso COGNOME.
Risultava provata dunque la qualità di committente de ll’opera da parte del l’Oddi e pertanto doveva riconoscersi il suo diritto al pagamento dell’indennizzo da parte del proprietario del fondo che abbia esercitato il diritto di ritenzione delle opere fatte dal terzo con materiali propri, effetto automatico alla scadenza del termine di sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione con facoltà di scelta tra il pagamento del valore dei materiali e prezzo della mano d’opera oppure dell’ aumento di valore recato al fondo (Cass. 8.1.1996 n. 50; v. anche Cass. 8.3.2011 n. 5420, in motiv.)
Nella specie, tuttavia, l’Oddi non aveva offerto elementi sufficienti per quantificare l’indennità da accessione richiesta, in base al valore di uno dei parametri indicati dal ridetto art. 936 c.c. In particolare, quanto al parametro del costo, il medesimo non aveva provato -come affermato dal giudice di primo grado e non specificamente contestato nell’appello – di avere effettivamente sostenuto il costo per materiali, noli e mano d’opera per la realizzazione del fabbricato (composto da piano interrato, piano terra e primo piano, allo stato rustico), quantificato dal proprio consulente in € 245.000,00 e poi ridotto dal consulente d’ufficio in € 110.400,00, oltre Iva, sulla base per lo più dei prezzi (ritenuti rispondenti a quelli di mercato) e del costo orario riportati nel contratto di appalto del 13.3.2004, nonché dei prezzi di mercato
comprese nel contratto), in relazione ai due computi metrici estimativi redatti dall’ausiliario. In ordine al parametro dell’incremento patrimoniale (aumento di valore arrecato al fondo), nulla aveva dedotto né nel giudizio di primo grado, laddove aveva quantificato l ‘ indennità con esclusivo riferimento ai costi, sollecitando l’espletamento della c.t.u. su questo solo aspetto e non prendendo alcuna posizione sulla precisa quantificazione del maggior valore del terreno operata dal COGNOME nella comparsa co nclusionale (pp. 3 e 4), né nell’atto di appello, laddove si è limitato a lamentare la errata ricostruzione dei fatti e il mancato riconoscimento della qualità di ‘terzo costruttore’ ex art. 936 c.c. da parte del primo giudice
L ‘infondatezza della domanda ex art. 936 c.c. (mancanza degli elementi necessari per liquidare l’indennità che pure spetterebbe, in astratto, al terzo, in base ad uno dei parametri indicati nella citata disposizione) comportava anche i l rigetto dell’azione di arricchimento senza causa, stante il suo carattere sussidiario e residuale (art. 2042 c.c.).
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 936, comma 2 c.c.
Le doglianze del ricorrente avverso la pronuncia impugnata si appuntano sull’esegesi dell’art. 936 c.c., nel sen so che la Corte distrettuale ha erroneamente ritenuto che l’indennità prevista dal secondo comma a favore del terzo ‘costruttore’ sia condizionata
dal concreto ed effettivo pagamento dei costi di edificazione dell’opera da parte del terzo stesso. Inoltre, il secondo Giudice avrebbe erroneamente ritenuto che, ai fini della norma codicistica ora indicata, non fosse sufficiente ad integrare il requisito dell’incremento patrimoniale del fondo sul quale l’opera è stata realizzata, la quantificazione di tale aumento proposta dal convenuto COGNOME e non contestata dall’attore COGNOME
La sentenza impugnata pur riconoscendo a pag. 11 capitolo 4 che all’attore spetterebbe l’indennità di accessione da egli pretesa, ne ha respinto la relativa richiesta, ritenendo che l’Oddi non avesse provato di avere effettivamente sostenuto i costi di edificazione del fabbricato in argomento, per come quantificati dal CTU.
La pronuncia qui impugnata ha affermato che le opere esistono e che COGNOME ne è il committente (cfr. pag. 11 sent.). Da ciò consegue che il ricorrente ha visto consolidarsi nella propria sfera patrimoniale un’obbligazione pecuniaria avente ad oggetto i costi dell’opera.
A pagina 11 della sentenza impugnata, la Corte distrettuale afferma che non sarebbe stato provato in giudizio l’aumento di valore arrecato al fondo in conseguenza dell’opera realizzata e, ciò nonostante, il richiamo da essa stessa fatto (pag. 11 sent.), alla comparsa conclusionale depositata in primo grado dal convenuto COGNOME nella quale, a pagina 3 e 4, precisa la Corte, viene indicato l’incremento in questione nella misura di euro 110.400,00 (si allega comparsa conclusionale suddetta). La ricostruzione di controparte circa tale elemento non è stata contestata dall’attore, in quanto ritenuta congrua, con ogni conseguenza di legge in merito al ‘principio di non contestazione’ .
1.1 Il motivo è fondato.
La Corte d’Appello ha compiuto un duplice errore nel rigettare la domanda ex art. 936 c.c. proposta dal ricorrente.
Il primo errore è stato quello di rigettare la domanda per mancata prova del costo dei materiali e della manodopera nonostante abbia accertato la sussistenza del diritto dell’Oddi all’indennizzo , risultando provato che egli aveva commissionato l’opera costruita sul fondo del COGNOME. Il secondo errore è stato quello di ritenere precluso l’utilizzo dell’altro parametro di determinazione dell’indennizzo perché il ricorrente aveva chiesto solo il pagamento dei costi e della manodopera e non aveva fatto riferimento all’aumento di valore dell’immobile .
In proposito, deve osservarsi come l’obbligo di pagamento dell’indennizzo posto a carico del proprietario del fondo sorge dall’esercizio del diritto di ritenzione delle opere fatte dal terzo con materiali propri ex art. 936 c. c., che si verifica automaticamente per la scadenza del termine di sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione e l’ obbligo di pagamento così come il diritto all’indennizzo da parte del terzo, quali effetti dell’avvenuta incorporazione, non vengono meno ove il terzo non provi il ‘ quantum ‘ in relazione ad entrambi i parametri entro i quali la scelta medesima può operare, ossia il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera, oppure l’aumento di valore arrecato al fondo (Cass. n. 5420 dell’8 marzo 2011; Cass. n. 50 dell’8 gennaio 1996).
Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: In tema di accessione, il proprietario che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 936 c.c., non abbia chiesto, entro sei mesi dal giorno in cui
ha avuto notizia dell’incorporazione, la rimozione delle opere fatte sul suo fondo dal terzo con materiali propri, deve corrispondere a quest’ultimo l’indennizzo di cui all’art. 936, comma 2 c.c., senza che possa essere rigettata la domanda volta a conseguirlo per il solo fatto che il terzo non abbia pienamente provato il suo ammontare, essendo sufficiente la prova dei fatti costitutivi del diritto all’indennizzo per attivare, in capo al giudice, i poteri istruttori d’ufficio, quali la consulenza tecnica e il giuramento suppletorio, volti a determinarne il “quantum” (Cass. Sez. 2, 16/05/2023, n. 13359, Rv. 667953 – 01).
Nella specie non è più in contestazione il fatto costitutivo del diritto del ricorrente all’indennizzo come del resto la stessa Corte d’Appello ha affermato sulla scorta del fatto che il COGNOME non avrebbe più potuto chiedere la rimozione, essendo decorso il termine semestrale per la scelta fra ritenzione e rimozione.
Peraltro, nella specie, risulta provato anche il costo dell’opera essendosi disposta una CTU in tal senso. La Corte d’Appello, pertanto, qualora avesse ritenuto non soddisfacente l’esito della suddetta consulenza nella determinazione dell’indennizzo in applicazione di uno dei due parametri indicati dall’art. 936 c.c. aveva il potere/dovere di disporne altra ma non poteva rigettare la domanda dell’Oddi per mancanza di prova del quantum da indennizzare ex art. 936, secondo comma, c.c.
La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche