Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12145 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12145 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33897/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE SANZIOINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 598/2019 depositata il 03/04/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. -A partire dagli anni ’30 dello scorso secolo era intercorso tra il Consorzio dei Comuni per l’Acquedotto del Monferrato e la società concessionaria RAGIONE_SOCIALE Monferrato un complesso rapporto riguardante prima la costruzione dell’acquedotto da parte della società e poi la sua gestione in regime di concessione.
Tale rapporto è stato regolato in tutti i suoi aspetti dal R.D.L n.1345 del 28 agosto 1930 e dal Regolamento adottato con D.M. 27 ottobre 1930.
Tra la società ed il Consorzio è poi insorta controversia in merito alla data di scadenza della concessione (di durata sessantennale dal collaudo delle opere) e su molteplici altri profili.
1.2. -Con la sentenza non definitiva n.1120/2017, oggetto della presente impugnazione, la Corte di appello di Torino ha ripercorso le vicende giudiziarie che hanno visto le parti contrapposte.
Il giudizio era iniziato davanti al TAR del Piemonte, a seguito di un primo ricorso datato 29 luglio 2002 proposto dal Consorzio e di un secondo ricorso datato 4 giugno 2003, sempre proposto dal Consorzio per l’accertamento di crediti risarcitori vantati dal Consorzio in conseguenza del mancato rilascio degli impianti alla scadenza della concessione per l’esercizio dell’acquedotto del Monferrato. Nel corso di questo secondo giudizio, era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art.13 del R.D.L. n.1345/1930 e della relativa legge di conversione, che la Corte Costituzionale aveva accolto con sentenza n.221 del 2005.
Riuniti i due ricorsi, il TAR aveva declinato la giurisdizione in favore del giudice ordinario e le cause riunite erano state riassunte
dinanzi al Tribunale di Casale Monferrato, divenuto nelle more, Tribunale di Vercelli.
Il Tribunale di Vercelli aveva sollevato conflitto negativo di giurisdizione e la Corte di Cassazione a Sezioni Unite aveva dichiarato la giurisdizione ordinaria con ordinanza n.17111/2011.
Riassunto il giudizio, il Tribunale di Vercelli, innanzi tutto, aveva dato atto che la data di scadenza della concessione era stata già definitivamente accerta accertata in sede giurisdizionale amministrativa nel 22 novembre 1994 e che l’acquedotto stato riconsegnato al Consorzio il 31 dicembre 2002.
Aveva poi respinto le domande risarcitorie che il Consorzio aveva svolto lamentando la mancata tempestiva riconsegna dell’impianto e tutte le altre domande del Consorzio.
Il Tribunale di Vercelli aveva ritenuto, quindi, inammissibili le domande riconvenzionali svolte dalla società RAGIONE_SOCIALE Monferrato che riguardavano:
Il pagamento di opere realizzate dalla concessionaria previa autorizzazione del Consorzio ex art.12 D.M. 27 ottobre 1930;
ii) il pagamento di opere realizzate dalla concessionaria in assenza di tale autorizzazione ex art.2041 c.c.;
iii) il pagamento del compenso per il servizio di lettura, bollettazione ed incasso della tariffa di fognatura e depurazione svolto dalla Società per il periodo 1999 -2002.
Aveva, infine, compensato integralmente le spese di lite.
La società RAGIONE_SOCIALE aveva interposto appello principale dinanzi alla Corte piemontese con atto di citazione notificato il 21 ottobre 2015, chiedendo la parziale riforma della prima decisione, e il Consorzio si era costituito, chiedendo il rigetto dell’appello principale e proponendo appello incidentale.
1.3. -Con la sentenza non definitiva n.1120/2017 la Corte piemontese ha accolto l’appello principale della società concernente
la declaratoria di inammissibilità delle domande riconvenzionali ed ha proceduto al loro esame.
All’esito, la Corte di merito ha respinto la domanda di indennizzo sub i) per le opere – secondo la ricorrente – autorizzate ma prive di formale autorizzazione, perché ha affermato che l’art.12 del DM 27 ottobre 1930 riconosce il diritto all’indennità per le opere ulteriori non comprese nel progetto, «solo ove la costruzione delle opere aggiuntive sia stata autorizzata dal Consorzio» previamente (fol. 20) ed ha, quindi, disatteso la tesi della società secondo la quale dovevano ritenersi assentiti i lavori per i quali il Consorzio non aveva sollevato obiezioni, anche ove eseguiti senza formale e previa autorizzazione.
La Corte territoriale, inoltre, ha respinto per difetto di prova la domanda sub ii) di arricchimento senza causa relativa alle opere ulteriori realizzate senza autorizzazione. La società aveva svolto questa domanda sostenendo che il Consorzio dal 2003 aveva di fatto beneficiato di una quota di investimenti effettuati dalla società, assumendo che ciò – a suo parere – emergeva dal confronto tra la struttura tariffaria relativa al 2002 applicata dalla società e quella applicata dal Consorzio dopo la restituzione dell’acquedotto, in quanto la struttura tariffaria successivamente applicata avrebbe mantenuto componenti che consentivano il recupero delle quote di ammortamento e remunerazione del capitale sugli investimenti effettuati dalla società sino al 31 dicembre 2002, recupero di cui si sarebbe avvantaggiato il Consorzio. Tale assunto è stato disatteso dalla Corte di appello, la quale ha affermato che nulla poteva essere dedotto circa il vantaggio che il Consorzio avrebbe tratto dalle opere in questione sulla scorte delle tariffe, perché: -) le tariffe considerano gli oneri connessi alle infrastrutture del servizio idrico, tra cui gli ammortamenti sui cespiti e la remunerazione del capitale investito per la realizzazione dell’intero acquedotto, e non solo per le opere
ulteriori non autorizzate; -) l’appellante non aveva indicato come potesse essere dedotto dalle tariffe l’arricchimento del Consorzio in relazione al profilo di specifico interesse; -) stesso ragionamento valeva in relazione all’elemento della diminuzione patrimoniale che la società avrebbe subito per effetto dell’esecuzione delle opere; -) l’atto di appello non conteneva argomentazioni da cui desumere a quanto potesse corrispondere il relativo onere.
La Corte di appello ha, tuttavia, disposto con separata ordinanza il prosieguo istruttorio in relazione alla domanda sub i) volta ad ottenere la parte di indennizzo relativa alle opere per le quali era rilevabile una formale autorizzazione dal Consorzio.
Quindi, la Corte piemontese, sempre nella sentenza non definitiva, ha respinto la domanda della società, volta a conseguire il pagamento del compenso per il servizio di lettura, bollettazione ed incasso della tariffa di fognatura e depurazione svolto dalla Società per il periodo 1999 -2002, sub iii) sul rilievo che era circostanza pacifica che mai era stata stipulata la convenzione tra le parti: in particolare, ha rimarcato che la domanda era fondata sull’art.15, secondo comma, della legge n.36/1994, secondo il quale nell’ipotesi di pluralità di gestori (uno per il servizio acquedotto ed uno per il servizio di fognatura e depurazione), la tariffa era riscossa dal primo, e che tuttavia in tal caso, ai sensi dell’art.15, terzo comma, della legge 3671994 i rapporti tra i diversi gestori dovevano essere definiti mediante apposita convenzione, nel presente caso non stipulata. Ha aggiunto che la domanda in esame non era stata proposta anche sub specie di arricchimento senza causa.
Infine, la Corte di merito ha respinto integralmente l’appello incidentale proposto dal Consorzio.
1.4. -Con la sentenza definiva n. 598/2019, la Corte territoriale ha respinto anche la domanda sub i) relativa alle opere ulteriori che sarebbero state preventivamente autorizzate, risultanti dai doc. da
37 a 41. Il giudice di secondo grado, dopo avere preso in esame gli esiti della disposta CTU, ha condiviso le conclusioni del consulente che non ha proceduto al calcolo dell’indennità assumendo che il difetto della relativa base documentale ne rendeva impossibile il computo.
In particolare, la Corte di appello ha respinto la domanda rammentando che l’indennità richiesta ex art.12 del DM 27 ottobre 1930, avrebbe dovuto essere determinata avendo riguardo a quanto previsto dall’art.24, lett. a) (valore industriale dell’impianto e del relativo materiale mobile ed immobile) del TU 15 ottobre 1925 n.2578 sulla municipalizzazione dei pubblici servizi. Quindi, ha affermato che la domanda di riconoscimento dell’indennità ex art.12 del DM 27 ottobre 1930 per le opere ulteriori realizzate a seguito di previa autorizzazione non poteva trovare accoglimento perché, in adesione a quanto espresso dal CTU e contrariamente a quanto argomentato dalla società, la Relazione Generale «Consistenza dei beni consistenti il sistema acquedottistico al servizio dei comuni appartenenti al consorzio per l’acquedotto del Monferrato esistenti alla data del 31.12.1999» del giugno 2001, di cui al doc. 33, prodotta a tal fine, non conteneva tutti gli elementi necessari per poter determinare il valore industriale dell’impianto e del relativo materiale mobile ed immobile perché conteneva indicazioni di tipo generale, utilizzabili solo a fini descrittivi…. (fol. 10/12 sent. def. imp.).
Conclusivamente, la Corte di merito ha dichiarato compensate le spese di lite per entrambi i gradi ed ha posto definitivamente a carico della società le spese della CTU disposta nel grado di appello.
1.5. –RAGIONE_SOCIALE ha impugnato con ricorso per cassazione la sentenza non definitiva con sei mezzi e la sentenza definitiva con quattro mezzi, il tutto illustrato con memoria. Il Consorzio ha replicato con controricorso e memoria.
È stata disposta la trattazione camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Le censure svolte dalla società riguardano, dalla prima alla sesta, la sentenza non definitiva con cui la Corte di appello ha respinto tutte le domande proposte dalla società ‘ad eccezione di quella riguardante l’indennità pretesa per opere realizzate previa autorizzazione del Consorzio’; le censure dalla settima alla decima concernono la sentenza definitiva con cui, anche la domanda indennitaria relativa alle opere ‘preventivamente autorizzate’ è stata respinta.
Le censure denunciano:
Nullità della sentenza non definitiva per motivazione apparente, nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che presupposto dell’indennizzo fosse la ‘previa’ autorizzazione espressa delle opere senza specificare – secondo la ricorrente -o illustrare le ragioni in diritto e l’iter logico della decisione assunta.
II) Violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. nella parte in cui la Corte di merito, interpretando l’art.12 del Regolamento in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale applicabili, ha ritenuto che presupposto dell’indennizzo fosse la ‘preventiva’ autorizzazione espressa dell’opera.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art.12 delle preleggi sempre nella predetta interpretazione dell’art.12 del D.M. 27/10/1930.
IV) Violazione e falsa applicazione dell’art.2041 c.c. nella parte in cui la Corte di appello ha respinto la domanda di arricchimento senza causa proposta dalla società con riferimento alle opere ulteriori realizzate senza autorizzazione.
Violazione e falsa applicazione dell’art.15 della legge n.36/1994 e dell’art.12 disp. preleggi al c.c., nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto non dovute le somme chieste per l’esecuzione del servizio di riscossione della tariffa fognatura e depurazione, sulla base dell’assunto che i rapporti riguardanti il
riparto delle spese di riscossione della tariffa fognatura e depurazione dovessero essere definiti mediante apposita convenzione.
La ricorrente deduce che l’erronea interpretazione si fonda sulla ritenuta applicabilità dell’art.15, comma 3, della legge n.36/1994, mentre nel caso di specie – a suo parere -andava applicato l’art.15, comma 2, della legge n. 36/1994; sostiene che la circostanza della mancata stipula di un accordo che regolamentasse i rapporti tra i gestori, come previsto dall’art.15, comma 3, legge cit. non poteva far venir meno l’obbligo del Consorzio di remunerazione o quanto meno di rimborso della società per l’attività svolta.
VI) Nullità della sentenza non definitiva perché priva di motivazione o con motivazione apparente nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto non dovute le somme chieste per l’esecuzione del servizio di riscossione della tariffa fognatura e depurazione, sulla base dell’assunto che i rapporti riguardanti il riparto delle relative spese di riscossione dovessero essere definiti mediante apposite convenzioni.
VII) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. con riferimento agli artt. 3 e 12 del Regolamento, nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto corretta la qualificazione, ad opera del consulente tecnico d’ufficio, di alcune opere preventivamente autorizzate quali attività di manutenzione. Omessa motivazione.
VIII) Violazione e falsa applicazione dell’art.24 del r.d. 15 ottobre 1925, n.2578 (TU della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province), dell’art.13 del d.P.R. n.902 del 4 ottobre 1986 e violazione dell’art.1362 c.c., in relazione all’art.12 del Regolamento. La ricorrente deduce, richiamando Cass. n.13406/2019, che la sentenza nel fare propri i criteri arbitrariamente enucleati dal CTU, ha violato l’art.24 del r.d. n.2578/1925 e l’art.13 del d.P.R. n.902/1986 ed ha erroneamente interpretato il Regolamento.
IX) Violazione e falsa applicazione dell’art.194 c.p.c. e nullità della sentenza nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che ‘correttamente’ il CTU si era astenuto dal quantificare l’indennità ai sensi dell’art.12 del Regolamento ‘in difetto di elementi documentali’ e ha ritenuto non necessaria una integrazione della consulenza, pur potendo il consulente tecnico acquisire la eventuale documentazione che avesse ritenuto necessaria a determinare il valore industriale delle opere ‘previamente ‘ autorizzate. A parere della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre la rinnovazione o una integrazione della CTU, come richiesto dalla società all’udienza del 21/3/2018 e in sede di precisazione delle conclusioni.
X) Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con riferimento alla dichiarazione del CTU, secondo cui non sarebbe stato possibile calcolare l’indennità sulla base della Relazione Generale.
3. -I primi tre motivi, sotto diversi profili, attengono all’interpretazione dell’art.12 del D.M. 27/10/1930 che stabilisce «(1) Le altre condutture ed impianti, che eventualmente la società avrà costruito, oltre le opere comprese nel progetto, come facenti parte dell’acquedotto per il Monferrato, e per quanto è anche previsto nell’art.7, saranno consegnati, se la loro costruzione fu autorizzata dal Consorzio stesso, insieme con l’acquedotto al Consorzio stesso, che dovrà in tal caso corrispondere, limitatamente a tali condutture ed impianti, alla Società, le indennità previste dall’art.24 del testo unico 15 ottobre 1925, n.257, sulla municipalizzazione dei pubblici servizi. (2) Agli effetti del presente articolo la Società s’intende fin da ora autorizzata dal Consorzio alla costruzione delle condutture ed impianti necessari per aumentare l’attuale dotazione di acqua nelle città di Alessandria, Asti e Casale.».
Essi vanno trattati congiuntamente e disattesi.
Si ricorda, al riguardo, che il sindacato attribuito alla Corte di cassazione in tema di interpretazione di atti amministrativi adottati con decreto ministeriale, privi di funzione normativa, come nel caso in esame, è limitato alla sola verifica dei denunciati vizi di motivazione (ora nei limiti di cui al novellato art. 360, n. 5, cod. proc. civ.), e malgoverno delle regole di ermeneutica contrattuale in quanto analogicamente applicabili (v. Cass. n.5480/1999 e più di recente Cass. n. 28825/2020 e Cass. n. 25971/2017), mentre non rilevano i criteri di interpretazione della legge dettati dall’art.12 delle preleggi al c.c. Nella specie non si rinvengono le denunciate violazioni di legge e, quanto alla disciplina di cui al D.M. 27/10/1930, la ricorrente si è limitata sostanzialmente a contrapporre la propria interpretazione delle disposizioni contenute in tale atto amministrativo a quella accolta nelle sentenze d’appello impugnate, circa il carattere necessariamente preventivo dell’autorizzazione, ma non ha indicato, se non sommariamente, le regole dell’ermeneutica contrattuale violate e, soprattutto perché l’autorizzazione potesse, a suo parere, non solo essere successiva ma, addirittura, essere ritenuta implicita in ragione dell’assenza di contestazioni.
Tanto premesso, va osservato che, contrariamente a quanto denunciato, la decisione sul punto non solo non è apparente, ma è congruamente motivata, senza che si ravvisi la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, in quanto: sulla base del criterio letterale, è rimarcato che il riferimento all’autorizzazione, che dà diritto all’indennità, necessariamente presuppone che questa dovesse precedere l’esecuzione della costruzione (‘ se la loro costruzione fu autorizzata) , di modo da consentire al Consorzio di fare le opportune valutazioni di sua competenza e ciò trova riscontro nell’uso del passato remoto passivo (‘fu autorizzata’); sulla base del criterio del comportamento complessivo anche posteriore delle parti (art.1362 c.c.), è evidenziato che la stessa
società aveva prodotto in giudizio una serie di previe autorizzazioni scritte del Consorzio, smentendo in fatto il suo contrario assunto; sulla base del criterio sistematico di cui all’art.1363 c.c., è evidenziato che il comportamento successivo implicitamente assentivo, nel quale – secondo la società – avrebbe dovuto ravvisarsi l’autorizzazione, confligge con il dato testuale che richiede esplicitamente la autorizzazione e non si limita a prendere in considerazione la consegna, peraltro autonomamente disciplinata dall’art.11 del Regolamento, consegna che, in assenza di previa autorizzazione, risulta ininfluente ai fini del riconoscimento dell’indennizzo richiesto, anche a prescindere dalle carenze sul piano della forma.
Risulta assorbita la terza censura, in quanto il tema dell’applicazione dell’art.12 delle preleggi non pertiene alla fattispecie in esame per le ragioni già esposte.
4. -Il quarto motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi , relativa alla mancanza di prova del dedotto arricchimento senza causa invocato con la domanda ex art.2041 c.c., non desumibile – secondo la Corte di merito – dal mero raffronto delle strutture tariffarie prima applicate dalla società e poi dal Consorzio.
La ricorrente insiste nella sua prospettazione, sollecitando un diverso apprezzamento di elementi fattuali, inammissibile in sede di legittimità; inoltre, introduce a fini probatori argomenti ed elementi desunti dalla Relazione Generale che risultano dedotti in termini del tutto nuovi, alla stregua del ricorso e della sentenza, come eccepito anche dal controricorrente, senza che la ricorrente si sia fatta carico -come suo onere – di illustrare quando e come tutto ciò sia stato sottoposto al giudice del gravame con riferimento al tema in esame.
5. -Il quinto ed il sesto motivo vanno disattesi perché sono infondati e non colgono nemmeno la ratio decidendi.
La ricorrente deduce la violazione dell’art.15, comma 2, della legge n.36/1994 e la motivazione apparente, sostenendo che le somme richieste dalla società al Consorzio erano dovute quale corrispettivo per l’esecuzione del servizio di riscossione della tariffa fognatura e che l’obbligazione nasceva dalla legge, mentre la circostanza che tra le parti non fosse stata stipulata la convenzione prevista dall’art.15, comma 3, della legge n.36/1994 non faceva venire meno l’obbligo del Consorzio di remunerare l’attività svolta.
Tale interpretazione non trova conferma nel dato normativo.
L’art.15 della legge n.36/1994 (Disposizioni in materia di risorse idriche) stabilisce che «(1) In attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 12, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato come definito all’articolo 4, comma 1, lettera f), della presente legge. (2) Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione. (3) Con apposita convenzione, sottoposta al controllo della regione, sono definiti i rapporti tra i diversi gestori per il riparto delle spese di riscossione.» .
Dal dettato normativo si evince che il secondo comma disciplina la riscossione della tariffa relativa al servizio idrico nel caso in cui il servizio idrico integrato sia frazionato tra diversi gestori ‘per effetto di particolari convenzioni e concessioni’ e stabilisce che la riscossione compete al gestore del servizio di acquedotto, tenuto a sua volta al riparto della tariffa tra i diversi gestori nel termine indicato. Il terzo comma, quindi, puntualizza, quanto ai criteri di riparto della tariffa così riscossa, che i rapporti tra i diversi gestori devono essere definiti con ‘convenzione’ sottoposta al controllo della regione.
A differenza di quanto assume la ricorrente, la norma va applicata in maniera unitaria in quanto il secondo comma si occupa esclusivamente di individuare il soggetto cui compete la riscossione della tariffa – tariffa che rimane unica anche in presenza di più gestori per effetto di convenzioni e concessioni – e a porre a carico di colui che provvede all’incasso l’onere di riparto tra gli altri gestori. Tuttavia, solo il terzo comma provvede a definire il criterio di riparto della tariffa riscossa attraverso il rinvio mobile alla ‘convenzione’ sottoposta al controllo della regione, che è, quindi, il criterio legale di riparto, in quanto previsto dalla legge, per la determinazione del quantum dovuto.
Nel caso di specie, è pacifico che la concessione era cessata dal 22 novembre 1994, di guisa che non ricorrevano i presupposti applicativi di cui al comma 2, e, soprattutto, che la convenzione di cui al comma 3 non era stata stipulata: pertanto la fattispecie, in assenza di convenzione, esulava dal campo di applicazione dell’art.15 cit., come rettamente affermato dalla Corte di merito, che non ha mancato di rimarcare che, in proposito, la società non ha svolto la domanda per arricchimento senza causa.
-Il settimo motivo, con cui le censure si appuntano sulla sentenza definitiva, è inammissibile.
La distinzione tra opere di manutenzione ordinaria o straordinaria ed opere relative alla costruzione di nuovi tratti non compresi nel progetto originario (che non risulta nemmeno essere stato prodotto (v. fol. 8 sent def. imp.) rientra nella parte descrittiva della motivazione, in cui sono esposte le conclusioni del CTU e le osservazioni delle parti, ma non assume alcun decisivo rilievo nella statuizione di rigetto, tanto è vero che la Corte territoriale, dopo l’esposizione, precisa «Ciò premesso, l’unica domanda ancora oggetto del giudizio non può essere accolta per le seguenti ragioni» che espone diffusamente ai fol. 10/12 e che consistono nella ravvisata mancanza di rilevanza della Relazione
Generale a causa delle significative carenze documentali, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, circa la sufficienza degli elementi da essa desumibili ai fini della determinazione del valore industriale dell’impianto e del relativo materiale mobile e immobile. Ne consegue che la Corte piemontese ha ritenuto che, in difetto di elementi documentali più specifici, non fosse effettivamente possibile calcolare il valore industriale delle opere in questione, che si trovavano nel sottosuolo e ne ha dedotto che correttamente il CTU si era astenuto dal procedere al computo, rimanendo ininfluente in punto di motivazione la distinzione tra opere di manutenzione e non.
7. Anche i motivi ottavo, nono e decimo sono inammissibili.
La critica non coglie nel segno perché la Corte territoriale ha chiaramente evidenziato le ragioni per cui, sulla scorta della Relazione Generale, non era possibile ricostruire, in relazione alle singole opere, le relative autorizzazioni ed i relativi finanziamenti, essendo unicamente indicati i quantitativi totali annuali finanziati ogni anno dalla società, dal consorzio e dai comuni consorziati senza riferimenti al luogo di posa delle tubazioni ovvero ai tratti in cui si faceva riferimento. La Corte di merito ha rimarcato che l’insufficiente contenuto intrinseco della Relazione generale si evinceva, come osservato dal CTU, in considerazione della mancanza dei progetti relativi alle singole opere, nonché dei relativi collaudi, da considerarsi necessari per la determinazione del valore industriale dell’opera che presupponeva la verifica della corretta esecuzione dei lavori nonché la conoscenza della loro contabilità e dei costi sostenuti. Ha rimarcato le carenze rilevanti della Relazione in ordine alla scala dei disegni e all’assenza di quotature e a tutta un’altra serie di elementi non puntualmente evincibili dalla Relazione in regione dei quali ha ritenuto che correttamente il CTU avessero ravvisato un difetto di elementi documentali specifici atti
a consentire il calcolo del valore industriale delle opere in questione.
Le censure, sia ove prospettano la violazione di legge, sia ove lamentano l’omesso esame di fatti decisivi, non fanno altro che sollecitare una diversa valutazione ed apprezzamento della Relazione generale, senza confrontarsi con la ratio decidendi , se non per sollecitare una ulteriore consulenza tecnica finalizzata all’acquisto di elementi necessari a determinare il valore industriale delle opere di chiaro contenuto esplorativo in quanto la doglianza non confuta sotto alcun profilo la statuizione mediante l’indicazione di fatti di cui sia stato omesso l’esame, né prende in diretto esame gli elementi la cui carenza è stata ritenuta determinante dalla Corte di appello nel rigettare la domanda (mancanza dei progetti, mancanza di elementi certi circa ubicazione e metratura delle opere, mancanza della contabilità e dei costi, mancanza dei collaudi eccetera) che era onere dell’attrice in riconvenzionale provare.
Va rammentato che «L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nell’attuale testo modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo.» (Cass. n. 223972019).
Va rimarcato, altresì, che «Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga -in maniera concisa ma logicamente adeguata -gli elementi in fatto ed
in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto.» (Cass. n. 29730/2020; Cass. n. 3601/2006) e che «L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicita -mente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.» (Cass. n. 16056/2016; Cass. n. 19011/2017; Cass. 29404/2017).
Nel caso in esame, nessun fatto decisivo, tale dovendosi ritenere un fatto storico costitutivo, estintivo o modificativo, viene esposto dalla ricorrente che possa essere ricondotto all’archetipo del vizio motivazionale dedotto e, a tal fine, apprezzato.
8. -In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
-Rigetta il ricorso;
-Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in relazione alla parte resistente in euro 15.000,00=, oltre euro 200,00 per spese generali;
-Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater , del d.P .R. 30 maggio 2002, nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima