LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Indennità mobilità in deroga: onere della prova INPS

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 35139/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un ente previdenziale contro la condanna al pagamento dell’indennità di mobilità in deroga. La Corte ha stabilito che, una volta dimostrati i presupposti del diritto da parte del lavoratore, l’onere della prova sull’eventuale esaurimento dei fondi grava sull’ente stesso, in base al principio di vicinanza della prova. Inoltre, è stato ribadito che l’ente non può eccepire il proprio difetto di titolarità passiva per la prima volta in sede di legittimità.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità Mobilità in Deroga: a chi spetta provare che i fondi sono finiti?

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale per molti lavoratori: l’indennità di mobilità in deroga. Con una recente ordinanza, i giudici hanno chiarito definitivamente su chi ricade l’onere di dimostrare l’esaurimento dei fondi stanziati per questa prestazione. La decisione rafforza la tutela del lavoratore, stabilendo che tale prova spetta all’ente previdenziale e non al cittadino che richiede il sussidio.

I Fatti del Caso

Una lavoratrice, che percepiva l’indennità di mobilità in deroga ininterrottamente dal 2007, si è vista negare il pagamento per l’anno 2012 dall’ente previdenziale. Quest’ultimo ha giustificato il diniego adducendo la mancanza di fondi necessari. La lavoratrice ha quindi agito in giudizio e la Corte d’Appello le ha dato ragione, condannando l’ente al pagamento. L’ente ha proposto ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali.

I motivi del ricorso dell’ente previdenziale

L’istituto previdenziale ha contestato la sentenza di secondo grado sostenendo:

1. Difetto di titolarità passiva: L’ente si considerava un mero ‘cassiere’, un ente pagatore per conto dello Stato e della Regione, che sono i veri soggetti responsabili della prestazione. Di conseguenza, riteneva di non essere il soggetto corretto da citare in giudizio.
2. Mancata integrazione del contraddittorio: Coerentemente con il primo punto, l’ente sosteneva che il processo avrebbe dovuto coinvolgere obbligatoriamente anche la Regione e le Amministrazioni statali finanziatrici.
3. Violazione dell’onere della prova: Secondo l’ente, era la lavoratrice a dover dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti per il suo diritto, inclusa l’esistenza di un decreto autorizzativo regionale e la capienza dei fondi.

La Decisione della Cassazione sulla indennità di mobilità in deroga

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni dell’ente previdenziale. I giudici hanno chiarito che le questioni relative alla titolarità passiva e al litisconsorzio necessario, basate su decreti interministeriali e accordi Stato-Regione, costituiscono elementi di fatto che non possono essere sollevati per la prima volta in sede di legittimità.

La Corte ha inoltre ribadito la distinzione fondamentale tra due fasi:

* Fase autorizzativa: Di competenza della Regione, che valuta i requisiti e ammette il lavoratore al beneficio. In questa fase, il lavoratore ha un interesse legittimo.
* Fase erogativa: Successiva al decreto regionale, in cui sorge un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore al pagamento della prestazione. In questa seconda fase, l’unico interlocutore e legittimato passivo è l’ente previdenziale.

L’Onere della Prova sulla Disponibilità dei Fondi

Il punto più significativo della decisione riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha affermato che la Corte d’Appello ha correttamente applicato il principio di vicinanza della prova. Secondo tale principio, l’onere di provare un fatto deve gravare sulla parte che ha maggiore facilità e possibilità di accedervi.

Nel caso specifico, la lavoratrice aveva dimostrato i presupposti del suo diritto, avendo percepito la prestazione per anni, il che implicava l’esistenza di un’autorizzazione originaria. A questo punto, spettava all’ente previdenziale, che gestisce i flussi finanziari e ha accesso diretto alle informazioni sulla capienza dei fondi, dimostrare l’avvenuto esaurimento delle risorse. L’ente non ha fornito tale prova, limitandosi a negare il pagamento. Tentare di addossare questo onere al lavoratore è contrario ai principi del giusto processo.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per riesaminare il merito dei fatti. I giudici di appello avevano correttamente valutato le prove, ritenendo che la continuità nella percezione del beneficio fosse un elemento sufficiente a presumere l’esistenza dell’autorizzazione. La difesa dell’ente previdenziale, invece, si è sostanziata in una richiesta impropria di rivalutazione delle prove, che non è ammessa in sede di legittimità. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale che separa nettamente la fase amministrativa di concessione del beneficio dalla fase di pagamento, attribuendo a quest’ultima la natura di diritto soggettivo da far valere esclusivamente nei confronti dell’ente erogatore.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza a tutela dei beneficiari di prestazioni sociali. Viene stabilito con chiarezza che non spetta al cittadino l’impossibile compito di verificare la capienza dei fondi pubblici. Al contrario, è l’ente erogatore che, se intende negare una prestazione per esaurimento delle risorse, deve fornire in giudizio una prova rigorosa di tale circostanza. Si tratta di una decisione che riequilibra le posizioni delle parti nel processo, garantendo una maggiore protezione al soggetto più debole del rapporto.

A chi spetta l’onere di provare l’esaurimento dei fondi per l’indennità di mobilità in deroga?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare che i fondi sono esauriti spetta all’ente previdenziale erogatore, in base al principio di vicinanza della prova, e non al lavoratore.

È necessario citare in giudizio anche la Regione per chiedere il pagamento dell’indennità?
No. Una volta conclusa la fase di autorizzazione da parte della Regione, la causa per ottenere il pagamento della prestazione deve essere intentata solo nei confronti dell’ente previdenziale, che è l’unico soggetto passivo dell’obbligazione.

Può l’ente previdenziale sostenere di non essere il soggetto obbligato al pagamento?
No, non può farlo per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione. La Corte ha stabilito che, nella fase successiva all’autorizzazione, l’ente previdenziale è il titolare della posizione debitoria e deve pagare il beneficio, a meno che non dimostri con prove concrete l’esaurimento dei fondi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati