Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8507 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8507 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 35468/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ricorrente
contro
SOCIETA’ RAGIONE_SOCIALE c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME avverso la sentenza n. 869/2019 della Corte d’ depositata il 22-5-2019,
contro
ricorrente appello di Torino, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12-32025 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato
FATTI DI CAUSA
1.La sentenza n. 4410/2017 depositata il 19-9-2017 del Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione all’esecuzione, proposta da lla
OGGETTO:
agenzia
RG. 35468/2019
C.C. 12-3-2025
Società RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME con riguardo all’importo di Euro 30.000,00 che la società sosteneva di essere obbligata a trattenere per ritenuta d’acconto all’atto del pagamento a NOME COGNOME del l’importo di Euro 150.000,00 a titolo di quota dell’indennità supplementare per mancato gradimento ai sensi dell’ Accordo Nazionale Agenti del 2003 e dell’ Accordo di Esclusiva del Marchio.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, che la Corte d’appello di Torino con sentenza n. 869/2019 depositata il 22-5-2019 ha accolto; in totale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’opposizione all’esecuzione proposta dalla società e ha dichiarato che NOME COGNOME non aveva diritto di procedere all’esecuzione per l’importo di Euro 30.000,00, lo ha condannato alla restituzione del l’importo già ricevuto e alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
La sentenza ha considerato che l’art. 2 dell’Accordo di Esclusiva del Marchio prevedeva alla lett. A), per l’ipotesi di raggiungimento dei limiti di età dell’agente, che ‘gli aventi titolo acquisiscono il diritto a subentrare nei rapporti di agenzia’, purché in posse sso di determinati requisiti soggettivi, tra i quali un’anteriore proposta all’impresa; l’art. 2 alla lett. C) escludeva sia il subentro che l’affiancamento ‘coagenziale con il figlio maggiore di 25 anni, se l’impresa rifiuta il proprio gradimen to’, così divenendo di attualità ‘gli effetti dell’art. 7’ dell’Accordo. A sua volta, ai sensi dell’art. 3, ‘l’impresa’ si impegnava ‘a concedere l’ingresso di un figlio, dopo il compimento del 25° anno, nell’agenzia del padre, in forma di coagenzia’, purc hé nel ricorrere di determinate condizioni in capo al discendente, con rinvio all’art. 7 lett. A) per l’ipotesi di mancato gradimento; l’art. 7, per l’ipotesi di apprezzamento negativo da parte del preponente al subentro del figlio, la obbligava a ‘a corrispondere all’agente cessante una indennità pari
al 60% della media dei corrispettivi liquidati negli ultimi tre anni riconosciuti’.
A fronte di queste previsioni, la sentenza ha escluso la riconduzione dell’istituto a una prestazione indennitaria, in quanto il diritto di credito dell’agente in caso di mancato gradimento al subentro del figlio non era finalizzato a ristorare un danno; ha rilevato che il presupposto dell’indennità era l’imminente cessazione del rapporto con l’agente, il quale pertanto non subiva, per effetto del mancato inserimento in agenzia del figlio, alcuna diminuzione patrimoniale; ha aggiunto che il danno non poteva ravvisarsi neppure nel pregiudizio all’immagine ritenuto dal giudice di primo grado e la ratio della disposizione era da ricondurre all’esigenza di tutelare l’interesse dell’agente, prossimo alla cessazione dal rapporto, a dare continuità all’attività su base familiare. Quindi ha rilevato che la richiesta di subingresso del figlio costituiva per l’agente l’esercizio di un diritto potestativo, che determinava l’insorgenza, in capo all’impresa, di obbligazione alternativa, di aderire alla manifestazione di volontà della controparte o corrispondere l’indennità; ha concluso che la corresponsione dell’indennità costituiva l’adempimento di una prestazione ex contractu, riferibile al nesso commutativo che connota il contratto , per cui l’importo di tale indennità costituiva una componente reddituale, assoggettata a ritenuta d’acconto da parte del solvens.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e hanno depositato memoria illustrativa entrambe le parti.
All’esito della camera di consiglio del 12-3-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicare degli artt. 6 e 53 d.P.R. 917/1986, che sostiene commessa dalla sentenza impugnata nel ritenere che l’indennità per mancato gradimento costituisse una componente reddituale assoggetta a ritenuta d’acconto; rileva che in questo modo la sentenza non ha considerato che l’art. 6 TUIR elenca tassativamente le categorie dei redditi ai fini dell’imposizione fiscale e ai sensi della disposizione non costituiscono reddito imponibile le somme percepite per riparare un pregiudizio di natura diversa dal reddito; evidenzia che la sentenza, seppure abbia bene individuato la ratio dell’indennità nella continuità aziendale su base familiare, non ha considerato che l’indennità ha la funzione di ristorare la frustrazione dell’agente per la mancata continuazione dell’attività di agenzia su base familiare; quindi, sostiene che l’indennità ristori un danno da mancata chance o un danno morale, in ogni caso non reddituale, come confermato dal fatto che viene corrisposta all’agente e non al figlio non gradito, il quale è l’unico ad avere in astratto perso reddito da lavoro, richiamando a sostegno della sua tesi Cass. 3632/2019.
2.Il motivo è infondato.
Non rilevano gli argomenti del ricorrente volti a sostenere che l’indennità in questione sia riconosciuta all’agente per il ristoro del danno da lui subito per il mancato gradimento del figlio da parte della compagnia di assicurazione, perché risulta insuperabile il dato che l’indennità è corrisposta al momento della chiusura del rapporto di agenzia, secondo la specifica previsione dell’art. 7 dell’Accordo di Esclusiva di Marchio. Quindi, il mancato gradimento del figlio assume valenza indennitaria per l’ag ente solo al momento della cessazione del
suo rapporto di lavoro; da tale circostanza in sé si desume, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, che l’indennità corrisposta dalla preponente all’agente cessante costituisca reddito imponibile ai fini Irpef e sia altresì assoggettata a ritenuta di acconto, in quanto strettamente dipendente dal rapporto di lavoro. Si deve dare continuità a Cass. Sez. 5 23-1-2019 n. 1768 Rv. 652634-01, che ha già pronunciato in tal senso, con riguardo a somme che erano state qualificate dal giudice di merito come destinate al ristoro del danno, ma erano state corrisposte a chiusura del rapporto di agenzia e per questo sono state ritenute strettamente dipendenti dal rapporto di lavoro e costituenti reddito imponibile ai fini Irpef (nello stesso senso Cass. Sez. 1 9-6-1997 n. 5095 Rv. 505012-01).
Ne consegue che l’ indennità di cui si discute è da ricomprendere tra le indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia percepite dalle persone fisiche che, ai sensi dell’art. 53 co.2 lett. e) d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 ratione temporis da applicare alla fattispecie, sono considerate a tutti gli effetti redditi di lavoro autonomo e pertanto sono soggette alla ritenuta del 20% prevista dall’art. 25 d.P.R. 29-9-1973 n. 600 da applicare ratione temporis.
3.All’integrale rigetto del ricorso consegue, in applicazione del principio della soccombenza, la condanna del ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione