Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21959 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21959 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19940-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE – SOCIETA’ CON SOCIO UNICO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6142/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/02/2022 R.G.N. 3235/2014; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Somministrazione
a termine – art.
32 L. 183/2010
R.G.N.19940/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Napoli ha respinto l’appello di RAGIONE_SOCIALE, confermando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato concluso 18.1.2015 con NOME COGNOME e aveva dichiarato costituito un rapporto di lavoro subordinato e tempo indeterminato a decorrere dalla data suddetta, condannando Poste al risarcimento del danno. La Corte territoriale ha considerato generica la causale dell’apposizione del termine relativa alla sostituzione di lavoratori assenti e, comunque, non dimostrate le esigenze sostitutive.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sul motivo di appello con cui si censurava la decisione di primo grado per avere condannato la società al risarcimento del danno liquidato non in base all’art. 32 della legge 183 del 2010 bensì in misura pari alla retribuzione globale di fatto dalla messa in mora fino alla sentenza del tribunale.
Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, legge 183 del 2010 per non avere la Corte
d’appello fatto applicazione di tale disposizione al fine della liquidazione del danno relativo al periodo intermedio.
È preliminare l’esame del secondo motivo di ricorso, che consente di portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita assunta dai giudici di appello, con il rigetto dell’impugnazione e la conferma del regime sanzionatorio applicato dal tribunale; elementi che denotano l’insussistenza del vizio di cui all’art. 112 c.p.c. oggetto del primo motivo di ricorso.
Il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto.
Come ripetutamente statuito da questa Corte, in tema di risarcimento del danno per i casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, l’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” che va dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione (v. Cass. n. 3056 del 2012; n. 151 del 2015; n. 19295 del 2014).
Con indirizzo costante, si è affermato che, in tema di somministrazione di lavoro, l’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (come autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 13, della legge
28 giugno 2012, n. 92) è applicabile a qualsiasi ipotesi di conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto l’accertamento della nullità di un contratto di somministrazione di lavoro, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione (Cass., n. 17540 del 2014; n. 8148 del 2018).
6. La sentenza d’appello non si è attenuta a tali principi di diritto e, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, la stessa deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nell’adunanza camerale del 6 maggio 2025