Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31347 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31347 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 322/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso, la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv ocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello dell’Aquila n. 857 depositata in data 1/6/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
L’Anas, dovendo procedere alla realizzazione di due rotatorie, comunicava in data 25/6/2013 alla proprietaria dei fondi NOME COGNOME l’intervenuta approvazione del progetto definitivo.
Venivano espropriati alla COGNOME i terreni di cui alle particelle 4188, per mq 2205, poi divenuta particella 4220, con espropriazione di mq 1948; particella 4174, con espropriazione di mq 42; particella 4178 con espropriazione di mq 70 (la ricorrente chiede, invece, nel ricorso per cassazione, l’indennizzo per l’occupazione di mq 997,90).
L’occupazione dei fondi veniva anticipata con provvedimento del 25/1/2013.
Con ulteriore provvedimento del 27/11/2013 si comunicava alla data fissata per l’immissione in possesso, indicata per il 18/12/2013.
Con nota del 15 del 2018, comunicata il 3/4/2018, veniva offerta alla proprietaria la somma di euro 32.763,07, a fronte della valutazione da parte del consulente della COGNOME pari ad euro 304.706,67.
Il decreto di esproprio veniva emesso il 3/12/2020 e comunicato il 28/12/2021, con la previsione dell’indennità definitiva pari ad euro 32.763,07. Si esponeva che il terreno di cui alla particella 4188 era stato frazionato con individuazione, al foglio 28, della particella 4220, espropriata per metri quadri 1948.
Il CTU valutava la porzione espropriata pari a metri quadri 1948 della particella 4220 (ex 4188) di cui al foglio 28, provvedendo alla distinzione di due diverse parti.
La porzione di mq 50 della particella 4220, ricadente in zona artigianale e commerciale Lotto 2.4., veniva stimata in euro 35 m², per complessivi euro 1750,00; mentre la restante parte della particella, pari a metri quadri 1898, veniva stimata in euro 10 al metro quadrato, per la somma complessiva di euro 18.980,00.
Si stimava, poi, l’occupazione in relazione ai singoli terreni: foglio 28, particella 4220, mq 2205, euro 10 al metro quadrato valore dell’indennità di esproprio euro 22.050,00, indennità di occupazione euro 11.025,00; foglio 28, particella 4220, metri quadri 50, euro 35 m², indennità di esproprio euro 1750, indennità di occupazione euro 875,00; foglio 28, particella 4174, mq 42, costo al metro quadrato euro 10,00, indennità di esproprio euro 420, indennità di occupazione euro 210,00; foglio 28, particella 4178, mq 70, costo al metro quadrato 10,00, indennità di espropriazione euro 700,00, indennità di occupazione euro 350,00. Il totale del valore dell’occupazione era di euro 12.460,00.
Il valore complessivo riconosciuto era di euro 41.482,00, di cui euro 12.460 per occupazione legittima, euro 1750 per indennità di espropriazione relativa alla particella n. 4220 per mq 50, euro 18.980,00 per indennità di espropriazione relativa alla particella n. 4220 per metri quadri 1898, euro 8292,00 per deprezzamento del fabbricato.
La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza n. 857 del 1/6/2023, determinava le indennità spettanti alla COGNOME condividendo interamente le risultanze della CTU espletata.
Per quel che ancora qui rileva, con riguardo alla particella n. 4220, sorta dal frazionamento della precedente particella 4188,
confermava la valutazione del CTU, che aveva distinto, all’interno di tale particella, una porzione pari a 50 m quadri, con destinazione urbanistica artigianale-commerciale (lotto 2.4.), e un’altra porzione, pari a mq 1898, con la destinazione a parcheggi pubblici, a servizio del lotto 2.4., e parte a verde pubblico.
Chiariva la Corte territoriale che «i suddetti beni ricadevano e ricadono secondo il PRG del Comune di Casalbordino, per quanto riguarda la part. 4220, sempre in area Zona FD/D1a – RAGIONE_SOCIALE e, nel particolare, la superficie ricompresa nel Decreto Definitivo di esproprio (mq. 1948), per circa 50 mq ricadeva nell’area del Lotto 2.4., Mentre per la rimanente superficie ricadeva nell’area destinata parcheggi pubblici (a servizio del Lotto 2.4) e parte nel verde pubblico».
Con riguardo alle ulteriori particelle le stesse consistevano «in terreni ricadenti in fascia di rispetto stradale e/o parcheggi pubblici e/o verde pubblico».
Con la conseguenza che il valore unitario dei terreni ricompresi in zona commerciale-artigianale era di euro 35,00 al metro quadrato, mentre quello dei terreni ricadenti in zona di rispetto stradale era di euro 10,00 a metro quadrato.
In particolare, con riguardo alle osservazioni del consulente di parte ricorrente, la Corte territoriale, condividendo le conclusioni del CTU, rilevava che «il CTP vagheggiava valori abnormi assimilando ad aree edificabili quelle destinate a parcheggio o a verde illazionando che esse potrebbero essere oggetto di nuova lottizzazione con ‘rimescolamento’ delle aree e spostamento dei parcheggi nelle zone di edificazione viceversa’»; affermazione questa «svincolata dalla reale destinazione urbanistica».
Inoltre, la Corte d’appello confutava anche l’ulteriore obiezione relativa alla superficie effettivamente occupata, che sarebbe stata
maggiore di quella risultante come occupata nei provvedimenti amministrativi adottati, evidenziando che «il CTU lo ha escluso in base ad un’analisi delle foto scattate dai satelliti prima e dopo i lavori».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce (pagina 8 del ricorso per cassazione, con specifico riferimento all’indennità di espropriazione) «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
L’area oggetto di espropriazione è identificata foglio di mappa n. 98, particella n. 4220 (ex 4188), del Comune di Casalbordino, avente una consistenza di mq 1948.
Il CTU ha valutato in euro 35,00 al metro quadrato unicamente la porzione di 50 m², sul totale di 1948 della superficie complessiva.
Al contrario, la restante parte, pari a mq 1898 (1948 mq -50 mq), è stata stimata solo euro 10 al metro quadrato.
Il CTU ha dunque ritenuto che la superficie di mq 1898 della particella 4188 stimata euro 10 al metro quadrato, per un’indennità di esproprio pari ad euro 18.980,00, mentre la residua superficie di metri quadri 50, della particella 4188, stimata euro 35 m², per un’indennità di esproprio pari ad euro 1750,00, ricadeva nel Lotto 2.4.
Al contrario, per la ricorrente, come dedotto già dal ricorso introduttivo del giudizio, l’area oggetto di esproprio pari a mq 1948 «ricade per intero nella zona di PRG destinata a zona commerciale
FD, come si evince anche dall’elaborato grafico del PRG, che si allega al presente ricorso, con evidenziata la zona oggetto di commento».
Ad avviso della ricorrente, infatti, «le aree a parcheggio o a verde all’interno della lottizzazione hanno pari valore delle aree di concentrazione edilizia, tant’è che le stesse potrebbero essere oggetto di nuova lottizzazione con ‘rimescolamento’ delle aree e spostamento dei parcheggi nelle zone di edificazione e viceversa». Con la conseguenza che sarebbe «errato considerare il valore delle aree di lottizzazione destinate a parcheggio o verde inferiore a quello di concentrazione dell’edificazione, in quanto l’uno è connesso all’altro e vicendevolmente interscambiabili» (si cita Cass., Sez.U., 23/4/2001, n. 172).
Nel motivo di ricorso si evidenzia, tra l’altro, «l’ottima posizione delle particelle espropriate, collocate in prossimità del porto di Vasto, della zona industriale di Vasto e della zona industriale di Gissi».
Da ciò l’errore di quantificazione commesso dalla Corte d’appello, in quanto l’intera area espropriata, pari a mq 1948, «doveva essere indennizzato al costo unitario di 85 euro al metro quadrato o quantomeno al minor costo indicato nella perizia del CTU pari a 35 euro al metro quadrato».
La valutazione della Corte d’appello che ha reputato i valori del CTP come «abnormi», per la ritenuta assimilazione ad aree edificabili di quelle destinate a parcheggio a verde, risultava «oggetto di un chiaro errore e di un omesso esame di un fatto dedotto in giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti».
In realtà, per la ricorrente il caso in esame sarebbe quello di «un terreno compreso all’interno di un comparto edificatorio cui il proprietario non aderisca», mentre «all’interno del piano sia designato per la realizzazione di parcheggi».
In tal modo, dunque, il proprietario che non aderisca al comparto può essere espropriato per la realizzazione del comparto, «ma il terreno espropriato dovrà necessariamente essere indennizzato al valore edificabile del comparto, indipendentemente dal fatto che sullo stesso sia localizzato un parcheggio».
Ciò perché – aggiunge la ricorrente – «il terreno, infatti, concorre alla determinazione dell’indice edificatorio complessivo del comparto e pertanto in ragione di tale volumetria deve essere indennizzato».
Del resto, deve tenersi conto anche della possibilità di utilizzazione intermedia tra l’agricola e l’edificatoria (si cita Cass., n. 24005 del 2021).
Con il secondo motivo di impugnazione (riportato a pagina 14 del ricorso per cassazione, con riferimento specifico all’indennità di occupazione) la ricorrente deduce «che la particella 4178 risulta formalmente occupata per soli mq 70, quando in realtà lo è per complessivi metri quadri 997,90».
Tale sconfinamento risulterebbe «nella rappresentazione fotografica di Google Heart del giugno 2016», da cui emerge «chiaramente l’area invasa con camminamenti e percorsi, dall’ente espropriante».
La Corte d’appello avrebbe errato dunque laddove ha affermato che «le aree occupate siano state maggiori rispetto a quelle prese in considerazione nei conteggi dell’indennizzo, laddove il CTU lo escluso in base ad un’analisi delle foto scattate dai satelliti prima e dopo i lavori».
I motivi primo e secondo, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
Infatti, la ricorrente chiede, in realtà, – senza peraltro riportare, almeno in forma sintetica, il contenuto dei documenti richiamati, in violazione del principio di autosufficienza, – una nuova
valutazione dei medesimi elementi istruttori, già congruamente esaminati dalla Corte d’appello, non consentita in questa sede.
5. Con lo specifico riferimento all’indennità di espropriazione non v’è stato l’omesso esame di fatto decisivo, come enunciato nel motivo di ricorso, con riferimento alla destinazione urbanistica della porzione di mq 1898 della particella 4188 di cui al foglio 28 del Comune di Casalbordino.
Il CTU, infatti, ha distinto la particella 4188 del foglio 28 (successivamente particella 4220) in due differenti porzioni: la parte di mq 50, con la destinazione urbanistica ricadente nel lotto 2.4., quindi commerciale-artigianale, per un valore di euro 35 m²; la parte di mq 1898, con la destinazione urbanistica «superficie ricadente nell’area parcheggio e verde pubblico», posta a servizio delle particelle di cui al Lotto n. 2.4.
La Corte d’appello ha, quindi, affermato che i beni ricadevano «per quanto riguarda la particella 4220, sempre in area Zona FD/D1a – Artigianali-Commerciali e, nel particolare, la superficie ricompresa nel decreto definitivo di esproprio (mq 1948), per circa mq 50 ricadeva nell’area del Lotto 2.4, mentre la rimanente superficie ricadeva nell’area destinata parcheggi pubblici (a servizio del Lotto 2.4) e parte del verde pubblico».
Inoltre, la Corte territoriale ha aggiunto che doveva tenersi conto «delle suddette destinazioni urbanistiche e della conseguente non edificabilità delle porzioni ricomprese in zona di rispetto stradale ed edificabilità (o comunque utilizzabilità anche edificatoria nei limiti previsti dallo strumento urbanistico) delle porzioni ricomprese nel comparto C02 del Piano Particolareggiato di Zona FD – CommercialeArtigianale, (le cui ridotte dimensioni non escludono la realizzabilità del relativo valore mediante cessione dei diritti edificatori)».
La Corte d’appello ha preso posizione in ordine alla contestazione del consulente tecnico di parte della ricorrente il quale «vagheggiava valori abnormi assimilando ad aree edificabili quelle destinate a parcheggio o a verde illazionando che esse potrebbero essere oggetto di nuova lottizzazione con ‘rimescolamento’ delle aree e spostamento dei parcheggi nelle zone di edificazione e viceversa».
Tale affermazione, ad avviso della Corte territoriale, risulta «svincolata dalla reale destinazione urbanistica».
V’è stato, dunque, sul punto un pieno accertamento meritale che non può essere rimesso in discussione in sede di legittimità.
Tra l’altro, questa Corte, in più occasioni ha ribadito che, ai fini della determinazione del valore dei terreni espropriati, deve farsi riferimento alla edificabilità di diritto e non a quella di fatto.
Si è ripetutamente affermato che, ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, l’art. 5bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. con modif. nella legge 8 agosto 1992 (ora recepito negli artt. 32 e 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) ha prescelto, quale unico criterio per individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato, quello dell’edificabilità legale, per cui un’area va ritenuta edificabile quando (e per il solo fatto che) essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, senza possibilità legale di edificazione tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente. Né rileva, in tali ultime ipotesi, che la destinazione zonale consenta la costruzione di edifici e attrezzature pubblici, atteso che l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica rimessa inderogabilmente all’iniziativa pubblica non è assimilabile al concetto di edificazione
preso in considerazione dal menzionato art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 agli effetti indennitari, da intendersi come estrinsecazione dello ” ius aedificandi ” connesso al diritto di proprietà (Cass., sez. 1, 23/5/2014, n. 11503).
Ed infatti, l’art. 5bis della legge n. 359 del 1992, ora recepito negli articoli 32 e 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, ha prescelto quale unico criterio per la determinazione del valore dei beni quello dell’edificabilità legale, sicché un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. n. 11503 del 2014; che richiama Cass., n. 7987 del 2011; Cass. n. 9891 del 2007; Cass. n. 38 3/8/2004; Cass., n. 10570 del 2003; Cass., Sez. U., n. 17 2 e 173 del 2001).
Le possibilità legali di edificazione vanno, quindi, escluse tutte le volte in cui lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, con classificazioni che apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione (Cass. n. 1150 del 2014).
Deve tenersi conto, dunque, della edificabilità legale dell’area ablata all’epoca dell’adozione del relativo decreto di espropriazione, in base agli strumenti urbanistici già in essere, non potendosi tenere conto dell’aspettativa di edificabilità futura di un terreno in ragione dell’evoluzione degli strumenti urbanistici (Cass., sez. 1, 17/2/2021, n. 4228).
L’edificabilità deve essere dunque rapportata alla disposizione di piano vigente al momento del procedimento di esproprio.
7.1. Al più, si è ritenuto, che l’edificabilità legale debba essere completata o integrata dalle condizioni che, in concreto, inducono a
conferire ai terreni la natura edificatoria e a determinarne il valore venale (edificabilità di fatto), dovendosi in modo esemplificativo, tenere conto della volumetria edilizia disponibile, delle eventuali cessioni di potenzialità volumetrica operate a favore di aree limitrofe, dell’ubicazione e di altre circostanze (Cass., sez. 1, 7/10/2016, n. 20241).
L’edificabilità di fatto, invece, ricorre in difetto della disciplina legale, in assenza cioè di un vigente piano regolatore generale o in caso di decadenza dal vincolo quinquennale.
8. Si è esclusa, però, l’applicabilità del «metodo perequativo», laddove il proprietario dell’immobile deduca che «stante la possibilità di realizzare un piano di sostituzione edilizia e trasformazione del tessuto urbano su una propria area attraverso le necessarie infrastrutture, in guisa da rendere tangibile un nesso di interdipendenza funzionale fra l’intervento edilizio e quello di infrastrutturazione, non sarebbe legittimo sacrificare il proprietario delle aree destinate ai servizi, senza renderlo partecipe dei vantaggi volumetrici che il piano comporta e che quel sacrificio consente» (Cass., sez. 1, n. 17061 del 2022).
È stato anche respinto il ricorso presentato dal proprietario che censurava la sentenza della Corte d’appello che non aveva inteso applicare il criterio dell’indice medio comprensoriale, in quanto il terreno era ricompreso all’interno di un comparto di natura unitaria di tipo perequativo (Cass., sez. 1, n. 26891 del 2022).
Risulta in termini anche la sentenza di questa Corte per cui non è possibile abbandonare il criterio dell’edificabilità legale «per adottare un sistema di valorizzazione equitativo e perequativo, volto ad omologare il terreno non edificabile vincolato a verde pubblico a quelli ricompresi nella stessa zona» (Cass., sez. 1, n. 9829 del 2021, par. 4).
Altro discorso, invece, è quello – non ricorrente nella specie – che si basa sull’affermazione per cui, ai fini della liquidazione dell’indennità di espropriazione secondo il principio del valore venale pieno, occorre valorizzare, a prescindere dalla natura formalmente edificatoria o meno del terreno, anche i diritti edificatori perequativi, i quali rappresentano un rimedio alla sperequazione derivante dall’applicazione di standard edilizi, che hanno natura reale e diretta inerenza al terreno, di cui assumono una qualità intrinseca e sono soggetti ad IMU, a differenza dei c.d. diritti edificatori compensativi, privi di natura reale e di inerenza al fondo, i quali consistono nell’attribuzione ad un certo soggetto, da parte della Pubblica Amministrazione, di un quantum di volumetria con funzione indennitaria rispetto alla cessione in suo favore di un terreno, ovvero in caso di reiterazione di vincoli espropriativi (Cass., sez. 1, 24/10/2023, n. 29424).
Ed infatti, i diritti «perequativi», che rappresentano un rimedio alla sperequazione derivante dal rispetto degli standard edilizi, originano da una previsione urbanistica che conforma lo statuto della proprietà di beni edificabili situati in un dato comparto distaccando da essa il diritto di edificare in situ , in conformità a quanto previsto dalla legislazione, anche regionale (Cass., n. 29424 del 2023, in motivazione, par. 14).
I diritti «compensativi» sono quelli in cui la pubblica amministrazione attribuisce a un soggetto un quantum di volumetria con funzione indennitaria in seguito alla cessione in suo favore di un fondo ovvero in caso di reiterazione di vincoli espropriativi (Cass., n. 29424 del 2023).
I diritti «incentivanti» nei casi in cui la pubblica amministrazione attribuisce uno quantum di volumetria a chi abbia posto in essere
condotte di interesse pubblico come, per esempio, opere di riqualificazione urbanistica o ambientale (Cass., n. 29424 del 2023).
Nella specie, però, non risulta che vi sia stato, né un negozio di cessione di cubatura tra privati (Cass., Sez.U., 9/6/2021, n. 16080), né un programma di ‘compensazione urbanistica’ (Cass., Sez.U., 29/10/2020, n. 23902) nel quale un’area già edificabile sia poi assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta.
Quanto al preteso errore nella determinazione della superficie dell’area occupata, con riguardo alla particella 4178, che sarebbe stata occupata formalmente per soli mq 70, a fronte di mq 997,90, oggetto di effettiva occupazione, si rileva che la Corte d’appello, con giudizio meritale, fondato sulle risultanze della CTU, le cui conclusioni sono state condivise, ha affermato che «il CTU lo ha escluso in base ad un’analisi delle foto scattate dai satelliti prima e dopo i lavori».
Trattasi di una valutazione che, seppur sintetica, dà atto dello scrutinio degli elementi istruttori da parte della Corte d’appello.
Senza contare, che non trattasi in alcun modo di omesso esame di fatto decisivo, in quanto la Corte territoriale ha affrontato espressamente ogni questione relativa alle superfici effettivamente occupate.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito,
rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 novembre