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Indennità dirigente pubblico: quando va restituita?

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un dirigente pubblico alla restituzione di somme percepite a titolo di indennità di posizione e risultato. La decisione si fonda sulla mancanza dei presupposti normativi e contrattuali per l’erogazione di tale indennità dirigente pubblico, nonché sulla condotta fraudolenta del dirigente stesso nell’autorizzare i pagamenti. Viene inoltre respinta la richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa, data la sua natura sussidiaria.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità Dirigente Pubblico: Quando le Somme Percepire Vanno Restituite?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della legittimità dell’indennità dirigente pubblico, stabilendo principi chiari sulla necessità di restituire le somme percepite in assenza dei presupposti di legge. Il caso riguarda un dirigente a cui un Comune ha richiesto la restituzione di indennità di posizione e di risultato erogate per anni, ritenendole non dovute. Analizziamo la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa: Le “Autoliquidazioni” Contestate

Un Comune otteneva un decreto ingiuntivo per recuperare le somme che un proprio dirigente si era liquidato tra il 2010 e il 2015 a titolo di indennità di posizione e di risultato. Secondo l’ente, tali pagamenti erano illegittimi perché mancavano i presupposti fondamentali, come la preventiva costituzione del fondo per la dirigenza e gli atti necessari a destinare le risorse al trattamento accessorio.

Il dirigente si opponeva al decreto, ma la Corte d’Appello dava ragione al Comune, confermando l’obbligo di restituzione. Il caso è quindi approdato in Cassazione, con il dirigente che ha sollevato diversi motivi di ricorso per annullare la decisione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla indennità dirigente pubblico

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del dirigente, confermando la sentenza d’appello e, di conseguenza, l’obbligo di restituire le somme indebitamente percepite. La Corte ha esaminato e respinto tutti i motivi di doglianza, ritenendoli in parte inammissibili e in parte infondati.

Le Motivazioni della Corte

Il rigetto si basa su un ragionamento giuridico solido e articolato. Vediamo i punti chiave:

1. Mancanza dei Presupposti Normativi: Il punto centrale della decisione è che l’erogazione del salario accessorio, come l’indennità dirigente pubblico, non è automatica. Essa è strettamente subordinata all’esistenza dei presupposti fissati dalla legge e dalla contrattazione collettiva. In questo caso, l’assenza di un fondo specifico regolarmente costituito rendeva i pagamenti privi di una valida causa giuridica.

2. Condotta Fraudolenta: La Corte ha dato peso al fatto che gli stessi provvedimenti amministrativi che autorizzavano i pagamenti erano stati predisposti dal dirigente stesso. Questa “azione fraudolentemente persuasiva” ha viziato alla radice la legittimità delle erogazioni, rendendo ancora più evidente l’indebita percezione delle somme.

3. Inammissibilità dei Motivi di Ricorso: Molti dei motivi sollevati dal dirigente sono stati giudicati inammissibili perché non si confrontavano adeguatamente con la ratio decidendi (la ragione fondamentale) della sentenza d’appello. Il ricorrente, secondo la Corte, non è riuscito a smontare il nucleo del ragionamento dei giudici di merito, fondato proprio sulla combinazione tra mancanza di presupposti e condotta dolosa.

4. Natura Sussidiaria dell’Azione di Arricchimento: È stato respinto anche il motivo con cui il dirigente chiedeva, in subordine, un’indennità compensativa per il lavoro svolto, basata sull’arricchimento senza causa dell’ente. La Corte ha ribadito che questa azione ha carattere residuale: può essere utilizzata solo quando non esistono altri rimedi legali. Poiché il dirigente avrebbe potuto agire in via ordinaria per l’adempimento del contratto (se ne avesse avuto diritto), l’azione di arricchimento era preclusa.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce un principio fondamentale nel pubblico impiego: la retribuzione accessoria non è un diritto incondizionato. La sua erogazione deve seguire un iter procedurale rigoroso e basarsi su presupposti normativi e contrattuali chiari e preesistenti. Qualsiasi deviazione da questo percorso, specialmente se determinata da un comportamento scorretto del dipendente, rende i pagamenti indebiti e soggetti a ripetizione.

Per i dirigenti pubblici, questa decisione serve come monito sull’importanza di assicurarsi che ogni elemento della propria retribuzione sia pienamente conforme alla legge. Per le amministrazioni, rafforza il dovere di vigilare sulla corretta gestione dei fondi e di agire per il recupero di somme erogate senza titolo.

Un dirigente pubblico può trattenere le indennità accessorie se mancano i presupposti formali per la loro erogazione, come la costituzione di un apposito fondo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in assenza dei presupposti normativi e contrattuali che legittimano il salario accessorio, le somme percepite sono considerate indebite e devono essere restituite all’amministrazione.

La condotta del dirigente che predispone autonomamente gli atti per la liquidazione delle proprie indennità ha rilevanza legale?
Sì, ha una rilevanza decisiva. La Corte ha qualificato tale comportamento come un’azione “fraudolentemente persuasiva”, considerandola un elemento fondamentale per affermare l’illegittimità dei pagamenti e l’obbligo di restituzione.

È possibile chiedere un indennizzo per “arricchimento senza causa” se il diritto alla retribuzione viene negato?
No, in questo caso non è stato possibile. La Corte ha ribadito che l’azione di arricchimento senza causa è un rimedio “residuale”, utilizzabile solo quando non esistono altre azioni legali specifiche. Poiché il dirigente avrebbe potuto far valere il suo presunto diritto con un’azione ordinaria di adempimento, la via dell’arricchimento senza causa era preclusa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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