Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24050 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24050 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29616-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2082/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/08/2020 R.G.N. 3508/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
Oggetto
Diffida accertativa
R.G.N. 29616/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 18/06/2025
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’opposizione a precetto formulata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME precetto intimato in seguito a diffida accertativa della D.T.L. di Avellino con cui si imputava alla datrice di lavoro ‘la mancata considerazione, ai fini del calcolo del TFR spettante al dipendente (…), delle somme previste in busta paga a titolo di indennità di trasferta’, per un importo pari ad euro 7.109,00;
in sintesi, la Corte ha preliminarmente disatteso ‘l’eccezione di nullità del precetto per mancata o incompleta trascrizione del titolo’, osservando che, ai sensi dell’art. 480, comma 2, c.p.c., l’esigenza di individuazione del titolo può risultare comunqu e soddisfatta attraverso altri elementi contenuti nel precetto stesso e che ‘nel caso di specie, l’indicazione della diffida accertativa posta a base del precetto, atto di cui tra l’altro l’appellante aveva ricevuto regolare notifica in precedenza, è certa mente sufficiente a tale scopo’;
la Corte ha poi ritenuto nel merito che, ai sensi dell’art. 2120 c.c., i compensi vanno esclusi dal calcolo del trattamento di fine rapporto ‘solo in quanto sporadici ed occasionali’, mentre nella specie, come risultava dai cedolini paga, ‘l’indennità di t rasferta veniva corrisposta regolarmente all’appellato, in misura pressoché identica ogni mese’ e, inoltre, gli spostamenti del COGNOME costituivano un elemento strutturale e non occasionale della prestazione e non potevano rientrare nel concetto di trasferta;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con tre motivi; ha resistito con controricorso l’intimato; la società ha comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati secondo le rubriche formulate dalla stessa parte ricorrente; 1.1. il primo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 480, co. 2, C.P.C. in relazione all’art. 360 co. 1, n°3 C.P.C., per avere la Corte territoriale respinto l’eccezione di nullità dell’atto di precetto notificato, pur in assenza di alcun riferimento al titolo esecutivo ed alla sua notifica’; si critica poi la sentenza impugnata per non aver rilevato che nel precetto difettava ‘ogni riferimento al provvedimento che ne avrebbe dichiarato l’esecutorietà’;
1.2. il secondo motivo deduce: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2120, co.2° C.C., con riferimento all’art.360, co. 1 nn° 3 e 5 C.P.C., per avere la Corte territoriale ricompreso nel calcolo del T.F.R. le somme corrisposte al lavoratore a titolo di trasferta, violando e non applicando il disposto normativo, con motivazione carente e quanto meno perplessa ed omettendo di valutare fatti decisivi per il giudizio’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art.51, co. 5 e 6 D.P.R. 22/12/1986 N°917 (Testo Unico delle Imposte Dirette -TUIR) nonché dell’art. 7 quinques D.L. 193/2016, convertito in L.1/12/2016 N°225, quale norma interpretativa, co n riferimento all’art. 360 co.1 nn°3 e 5 C.P.C.,
per avere la Corte territoriale omesso di applicare le precitate norme, nonché per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con motivazione carente o quanto meno perplessa’;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è infondato quanto all’eccezione di nullità del precetto perché in esso non era contenuto ‘alcun riferimento al titolo esecutivo ed alla sua notifica’;
per risalente insegnamento l’erronea indicazione degli elementi formali prescritti dall’art. 480, comma secondo, c.p.c. non determina la nullità del precetto, “qualora l’esigenza d’individuazione del titolo esecutivo risulti soddisfatta da altri elementi contenuti nel precetto stesso” (Cass. n. 6536 del 1987);
in continuità Cass. n. 1928 del 2020 ha ribadito che l’omissione di taluni elementi formali del precetto ‘non comporta l’invalidità dell’intimazione qualora sia stato comunque raggiunto lo scopo dell’atto e, cioè, il debitore sia stato messo in condizione di conoscere con esattezza chi sia il creditore, quale sia il credito di cui si chiede conto e quale il titolo che lo sorregge’;
in conformità a tale insegnamento ha operato la Corte territoriale che ha ritenuto soddisfatta l’esigenza di individuazione del titolo ‘dalla l’indicazione della diffida accertativa posta a base del precetto’, diffida di cui la società aveva piena conoscenza; si tratta di argomentazione adeguata rispetto alla quale chi ricorre contrappone un diversa valutazione di merito e non avendo la società neanche dedotto in base a quali elementi potesse sorgere dubbio su chi fosse il creditore, quale fosse il credito e quale il titolo che lo sorreggesse;
inammissibile, invece, la doglianza con cui si eccepisce la mancanza nel precetto del ‘provvedimento che ne avrebbe dichiarato l’esecutorietà’;
non solo perché non si riportano i contenuti dell’opposizione dai quali risulti che tale nullità, non esaminata dalla Corte territoriale, era stata ritualmente introdotta nel giudizio, non essendo certo sufficiente la generica deduzione circa la ‘omessa co mpleta individuazione del titolo’, ma anche perché tale pretesa nullità, peraltro relativa alla diversa ipotesi dell’opposizione a decreto ingiuntivo, avrebbe dovuto essere fatta valere nelle forme della opposizione agli atti esecutivi (cfr. per tutte Cass. n. 24226 del 2019);
2.2. parimenti inammissibile il secondo motivo;
si invoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite con le note pronunce nn. 8053 e 8054 del 2014, in particolare non individuando un fatto storico decisivo che avrebbe dato origine alla controversia e che sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale, non potendo certo considerarsi tale la disciplina contrattuale collettiva asseritamente regolante la fattispecie;
inoltre, non viene adeguatamente specificato come e quando la questione sia stata sottoposta al giudice di primo grado e come la medesima sia stata devoluta in appello, risultando dalla stessa sintesi dei motivi di appello, riportata alla pag. 7/8 del ricorso per cassazione, che di tale questione non vi è traccia, tanto che la Corte territoriale di essa non ne fa menzione;
2.3. allo stesso modo è inammissibile il terzo motivo per il suo carattere di novità, non risultando la questione della disciplina del trattamento contributivo e fiscale affrontata nella sentenza impugnata;
va ribadito che, secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto come quello devoluto ai giudici del merito ai fini della computabilità o meno dell’indennità di trasferta nel calcolo dell’indennità di anzianità e del t.f.r (tra molte Cass. n. n. 27643 del 2013) – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019), di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017);
3. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’Avv. NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.500,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18 giugno