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Indennità di trasferta: quando spetta al lavoratore?

La Corte di Cassazione ha negato l’indennità di trasferta a un gruppo di autisti spostati in una nuova sede da oltre cinque anni. La Corte ha chiarito che un cambiamento stabile e duraturo del luogo di lavoro costituisce un trasferimento e non una trasferta temporanea, escludendo così il diritto all’indennità, a prescindere da una comunicazione formale.

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Indennità di Trasferta: Quando è un Diritto? La Cassazione Chiarisce

L’indennità di trasferta rappresenta un tema cruciale nel diritto del lavoro, spesso al centro di contenziosi tra dipendenti e datori di lavoro. Quando un cambio di sede lavorativa può essere considerato una trasferta temporanea, che dà diritto a un compenso, e quando invece si tratta di un trasferimento definitivo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questa distinzione, sottolineando l’importanza del carattere temporaneo dell’assegnazione.

I Fatti del Caso: Lavoratori in Trasferta o Trasferiti?

Il caso ha origine dalla richiesta di un gruppo di autisti e conducenti di linea di una società di trasporti. I lavoratori, con “residenza di servizio” originariamente stabilita presso una determinata stazione, sostenevano di essere stati trasferiti di fatto in un’altra sede, un deposito situato a oltre 3 chilometri di distanza. Per questo motivo, avevano richiesto il pagamento dell’indennità di trasferta prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore, ma l’azienda aveva rifiutato.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva respinto la domanda dei lavoratori. Secondo i giudici di merito, sebbene il cambio di sede fosse avvenuto, la nuova sede era diventata il luogo di lavoro stabile e abituale per oltre cinque anni. Questa circostanza, a loro avviso, configurava un trasferimento della residenza di servizio e non una semplice e occasionale trasferta.

La Decisione della Corte: Niente Indennità di Trasferta

I lavoratori hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, un’errata interpretazione della norma contrattuale e vizi procedurali. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello e stabilendo che i lavoratori non avevano diritto all’indennità di trasferta.

Il punto centrale della decisione è la netta distinzione tra l’istituto della trasferta e quello del trasferimento. La Corte ha ribadito che il presupposto per l’erogazione dell’indennità è la temporaneità del mutamento del luogo di lavoro.

Le Motivazioni: la Stabilità del Luogo di Lavoro è Decisiva per l’Indennità di Trasferta

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un’analisi approfondita della ratio della norma contrattuale. L’indennità di trasferta ha lo scopo di compensare il lavoratore per i disagi e le spese derivanti dallo svolgimento della prestazione lavorativa, per un periodo di tempo limitato, al di fuori della sede ordinaria. I presupposti essenziali sono:

1. Temporaneità: Il mutamento del luogo di lavoro deve essere temporaneo e non definitivo.
2. Interesse del datore di lavoro: La prestazione deve essere effettuata nell’interesse del datore di lavoro.
3. Sede diversa da quella abituale: Il lavoratore deve recarsi in un luogo diverso da quello contrattualmente previsto.

Nel caso di specie, i lavoratori avevano operato dalla nuova sede per oltre cinque anni, un periodo di tempo tale da escludere il carattere della temporaneità. La nuova sede era diventata, a tutti gli effetti, il loro nuovo e stabile luogo di lavoro. Questa situazione configura un trasferimento, ovvero un mutamento definitivo della sede di servizio, che non dà diritto all’indennità in questione. La Corte ha specificato che la mancanza di una comunicazione formale di cambio di “residenza di servizio” è irrilevante di fronte alla realtà fattuale di una assegnazione stabile e prolungata nel tempo.

Inoltre, la Corte ha respinto anche le censure di natura processuale, chiarendo che la distinzione tra trasferta e trasferimento costituisce una mera difesa, valutabile d’ufficio dal giudice anche in appello, poiché attiene alle condizioni per l’erogabilità del diritto richiesto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza offre un importante principio guida: la durata e la stabilità dell’assegnazione a una nuova sede di lavoro sono determinanti per distinguere una trasferta da un trasferimento. Per i lavoratori, significa che non è possibile rivendicare l’indennità di trasferta se il nuovo luogo di lavoro è diventato di fatto la sede abituale per un lungo periodo. Per le aziende, la sentenza conferma che la natura di un cambio di sede si valuta sulla base delle circostanze concrete e non solo delle comunicazioni formali. Un’assegnazione che si protrae per anni perde il suo carattere di temporaneità, trasformandosi in un trasferimento a tutti gli effetti, con le relative conseguenze giuridiche ed economiche.

Un lavoratore ha diritto all’indennità di trasferta se viene spostato in una nuova sede di lavoro per un lungo periodo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se l’assegnazione a una nuova sede di lavoro si protrae per un lungo periodo (nel caso di specie, oltre cinque anni), essa perde il carattere di temporaneità tipico della trasferta e si configura come un trasferimento definitivo. Di conseguenza, l’indennità non è dovuta.

Qual è la differenza fondamentale tra “trasferta” e “trasferimento” secondo la Cassazione?
La trasferta è caratterizzata dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore a una sede diversa da quella abituale. Il trasferimento, invece, implica un mutamento definitivo e non temporaneo del luogo di lavoro. L’indennità di trasferta è prevista solo per la prima ipotesi.

Una difesa basata su una diversa interpretazione dei fatti, introdotta in appello, è considerata una “domanda nuova” inammissibile?
No. La Corte ha chiarito che l’argomentazione secondo cui una situazione non costituisce una trasferta ma un trasferimento è una “mera difesa”. Riguarda le condizioni di erogabilità del diritto richiesto e può essere valutata dal giudice anche d’ufficio, persino in appello, senza violare il divieto di “ius novorum” (nuove domande in appello).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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