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Indennità di trasferta: quando è un trasferimento?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’azienda che aveva erogato l’indennità di trasferta a dipendenti di fatto trasferiti stabilmente. L’ordinanza ribadisce che spetta al datore di lavoro l’onere di provare i presupposti per l’esenzione contributiva, distinguendo nettamente la trasferta temporanea dal trasferimento definitivo della sede di lavoro.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di trasferta: quando nasconde un trasferimento definitivo?

L’erogazione di una indennità di trasferta rappresenta un beneficio economico per il lavoratore chiamato a svolgere le sue mansioni temporaneamente fuori sede. Ma cosa succede quando questa ‘trasferta’ diventa la normalità? Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema, chiarendo la linea di demarcazione tra una legittima trasferta e un trasferimento di fatto, con importanti conseguenze sul piano contributivo.

I fatti del caso

Una società operante nel settore delle costruzioni si era vista contestare dagli enti previdenziali (INPS e INAIL) l’illegittima applicazione dell’indennità di trasferta a un gruppo di suoi dipendenti. Sebbene assunti formalmente presso la sede principale dell’azienda, questi lavoratori erano stati, sin dal primo giorno, destinati a operare stabilmente in un cantiere situato in un’altra regione, in esecuzione di un contratto di appalto a lungo termine.

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione agli enti, ritenendo che si trattasse di un vero e proprio trasferimento e non di una trasferta. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza su altri aspetti, ma aveva confermato la decisione sull’illegittimità della trasferta. L’azienda ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la valutazione delle prove e l’applicazione delle norme in materia.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. Secondo gli Ermellini, l’azienda non ha saputo contestare efficacemente le ragioni su cui si fondava la sentenza d’appello. I motivi del ricorso sono stati giudicati in parte inammissibili perché relativi a punti della sentenza favorevoli alla stessa azienda, e in parte infondati perché non si confrontavano con la complessa motivazione della Corte territoriale.

Le motivazioni: l’onere della prova sull’indennità di trasferta

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un principio cardine in materia: l’onere della prova. La Corte ha ribadito che, a fronte del generale obbligo contributivo su tutte le somme corrisposte al lavoratore, spetta al datore di lavoro dimostrare l’esistenza dei presupposti che legittimano un’esenzione, come quella prevista per l’indennità di trasferta.

La Corte d’Appello aveva correttamente basato la sua decisione non su un singolo elemento, ma su una serie di circostanze convergenti:

1. Contestualità: I lavoratori erano stati assunti e immediatamente destinati al cantiere distante, senza mai operare presso la sede formale.
2. Stabilità: L’incarico era legato a un contratto d’appalto di lunga durata, privo del carattere di transitorietà tipico della trasferta.
3. Mancanza di legame funzionale: Non esisteva un reale legame operativo con la sede di assunzione; il vero centro dell’attività lavorativa era il cantiere.
4. Incongruenze: L’indennità veniva erogata in modo variabile e talvolta il numero di giorni di trasferta non corrispondeva ai giorni lavorati.

Questi elementi, nel loro insieme, hanno dimostrato che non si trattava di un temporaneo disagio da compensare, ma di una stabile e definitiva collocazione lavorativa mascherata da trasferta per eludere gli oneri contributivi.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per le aziende. Non è sufficiente qualificare formalmente un emolumento come indennità di trasferta per beneficiare del relativo regime agevolato. È necessario che sussistano, in concreto, le condizioni di temporaneità e il mantenimento di un legame funzionale con la sede di lavoro originaria. In caso di accertamento, il datore di lavoro dovrà fornire una prova rigorosa e persuasiva di tali presupposti. In assenza di questa prova, le somme erogate saranno considerate a tutti gli effetti retribuzione imponibile ai fini previdenziali e contributivi, con le conseguenti sanzioni.

Quando una trasferta si considera in realtà un trasferimento permanente?
Si considera un trasferimento permanente quando il lavoratore viene destinato a una nuova sede di lavoro sin dal momento dell’assunzione per un periodo di tempo non transitorio e prolungato, perdendo di fatto ogni legame funzionale con la sede di assunzione originaria.

Chi deve provare che un’indennità di trasferta è legittima per ottenere l’esenzione contributiva?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. È quest’ultimo che, per beneficiare dell’esenzione, deve dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti della trasferta, ovvero la sua natura temporanea, le spese effettivamente sostenute e il rispetto dei limiti di legge.

È possibile impugnare in Cassazione una parte della motivazione di una sentenza che è stata favorevole?
No, i motivi di ricorso sono inammissibili se si riferiscono a capi di sentenza che sono stati favorevoli al ricorrente e non sono connessi alla parte della decisione in cui lo stesso è risultato soccombente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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