Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2875 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2875 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28162-2018 proposto da:
Oggetto
Dirigente medico Sostituzione
Struttura complessa Differenze retributive Applicazione officiosa di norma contrattuale diversa dalla dedotta Violazione art. 112
c.p.c.
R.G.N. 28162/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/01/2024
CC
RAGIONE_SOCIALE, in persona Commissario del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato ope legis in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 517/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 23/05/2018 R.G.N. 80/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di Appello di Catania, in parziale accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME, dirigente medico di primo livello – accertato lo svolgimento, in virtù di incarico ricevuto a seguito delle dimissioni del precedente responsabile, delle mansioni di responsabile della struttura complessa di radioterapia, nel periodo dal 21.5.2001 al 21.12.2006, nelle more dello svolgimento delle procedure selettive per il conferimento dell’incarico, – condannava l’RAGIONE_SOCIALE, i n persona del legale rappresentante pt., al pagamento della indennità prevista dall’art. 18 del c.c.n.l. del 2000 a far tempo dal 15 maggio 2002 (prescritti i crediti retributivi anteriori a tale data, interrotta la prescrizione solo in data 15.5.2007); rigettava, invece, le ulteriori richieste volte ad ottenere l’intero trattamento retributivo spettante al dirigente medico titolare di struttura complessa.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi e assistito da memoria ex art. 380bis 1 c.p.c.
Resiste con controricorso il dirigente medico COGNOME NOME.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., perché nel ricorso ex art. 414 c.p.c., relativamente al dedotto svolgimento di ‘mansioni primariali’ , nulla era stato domandato oltre al trattamento accessorio del dirigente sanitario di secondo livello, in particolare nessuna domanda era stata proposta con riguardo all’indennità di sostituzione ex art, 18 del c.c.n.l.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Parte ricorrente ha allegato il fatto storico: lo svolgimento nell’arco temporale innanzi indicato, in virtù di
conferimento dell’incarico a seguito delle dimissioni del precedente dirigente responsabile, delle mansioni di dirigente di unità operativa complessa, nelle more dello svolgimento della procedura selettiva, e ha chiesto in ragione di ciò il pagamento dell’intero tratta mento retributivo spettante ai dirigenti preposti a tali strutture.
1.3. La Corte territoriale, pur riconoscendo, in ragione dell’espletamento di detto incarico, la fondatezza della pretesa del controricorrente, l’ha però limitata ai minori importi spettanti in ragione della previsione contrattuale di cui all’art. 18 del c .c.n.l. del 2000 (su tale aspetto si tornerà infra) .
1.4. In alcun modo è stato violato l’art. 112 c.p.c., in quanto il poteredovere del giudice di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra solo il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre solo quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (cfr. Cass. Sez. 2, n. 8048/2019, rv. 653291-01 che si pone in scia con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto).
1.5. Nella fattispecie qui all’attenzione , la Corte territoriale non ha in alcun modo alterato né la causa petendi – il dedotto svolgimento delle mansioni di dirigente di struttura complessa – né il petitum il richiesto pagamento di differenze retributive, limitandosi, come ben era in suo potere, all’attribuzione delle spettanze retributive in misura minore ed in ragione dell’applicazione di una disciplina
contrattuale diversa da quella invocata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. nella quale sono stati sussunti i fatti storici dedotti in causa.
1.6. La RAGIONE_SOCIALE del resto, similmente, ha già avuto modo di affermare espressamente che non travalica i limiti delle domande e delle eccezioni delle parti e non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, investito della domanda di accertamento della qualifica spettante al lavoratore in base alle mansioni svolte, gliene attribuisca una inferiore a quella specificamente richiesta, poiché, così operando, viene soltanto ad accogliere una pretesa minore virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio (in tal senso tra le moltissime, si ricordano tra le massimate, Cass. Sez. L., n. 15053/2007, rv. 598695-01, cui ha fatto seguito Cass. Sez. L., n. 8862/2013, rv. 625920-01 e la successiva Cass. Sez. L., n. 22872/2013, rv. 628261-01).
1.6.1. La conclusione qui raggiunta è altresì avvalorata dal rilievo che in materia di pubblico impiego contrattualizzato, come è noto, vige il principio iura novit curia in relazione ai contratti collettivi nazionali ( cfr. , fra le recenti, Cass. Sez. L. n. 7641/2022, rv. 664091-01). Occorre ribadire che la conoscibilità ex officio di un contratto collettivo si atteggia diversamente a seconda che rilevi la previsione di un contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico o del pubblico impiego privatizzato, atteso che, mentre nel primo caso il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell’adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere della prova e sul contraddittorio (che non vengono meno neppure nell’ipotesi di acquisizione giudiziale ex art. 425, comma 4, c.p.c.), nel secondo caso il giudice procede con mezzi propri, secondo il principio iura novit curia (Cass. Sez. 6-L, n. 6394/2019, rv. 653173-01, tra le più recenti e massimate, in cui il principio
affermato è riferito alla dedotta violazione di una norma dell’autonomia).
1.6.2. Tale ultima considerazione conferma, come anticipato, in ragione dei poteri officiosi riconosciuti al giudice, quanto all’accertamento delle norme contrattuali applicabili, la correttezza della soluzione raggiunta.
1.7. Conclusivamente il Collegio ritiene che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato non sussista alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., nell’ipotesi in cui – allegato lo svolgimento di determinati compiti, mansioni e funzioni che nella prospettazione del lavoratore ricorrente fondano il diritto al riconoscimento di differenze retributive maggiori – il giudice condanni sì al pagamento di differenze retributive, ma in misura minore rispetto a quelle oggetto della domanda e in ragione della ritenuta applicazione – come nel caso di specie – di una disposizione contrattuale diversa da quella invocata dal lavoratore. Tanto sulla base del rilievo che nel petitum maggiore è senz’altro ricompreso quello minore e che è compito del giudice l’individuazione della disciplina applicabile.
Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione e la motivazione apparente della decisione, ai sensi del n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. Si sostiene che la missiva del 15.5.2007, con la quale era stato interrotto il decorso del termine di prescrizione era inidonea allo scopo rispetto all’indennità di sostituzione di cui all’art. 18 del CCNL 2000 e ciò in quanto con essa era stato richiesto solo il trattamento economico retributivo proprio della qualifica di Dirigente sanitario di secondo livello.
2.1. Il motivo non può essere accolto.
2.2. In disparte i profili di inammissibilità da cui è affetto il mezzo per difetto di specificità, non avendo la parte ricorrente in cassazione ottemperato all’obbligo di trascrivere o almeno adeguatamente riassumere i passaggi salienti della
missiva del 15.5.2007, né a quello di indicarne i modi e tempi di produzione in giudizio della stessa (cfr. tra le più recenti Cass. Sez. 1, n. 12481/2022, rv. 664738-01), non può che rimarcare il Collegio l’infondatezza della doglianza per le ragioni tutte già compiutamente esposte al punto 1.1. et ss. cui si fa rinvio.
2.3. In estrema sintesi, quand’anche la missiva del 15.5.2007 avesse effettivamente il tenore indicato nel motivo di ricorso, essa sarebbe comunque idonea all’interruzione della prescrizione.
2.4. La richiesta di pagamento delle differenze retributive conseguenti allo svolgimento delle funzioni di dirigente di struttura complessa è, infatti, senz’altro idonea ad interrompere la prescrizione, irrilevante che la clausola contrattuale che il giudice ponga poi a fondamento del riconoscimento della pretesa, sia diversa da quella invocata dalla parte nella lettera di interruzione della prescrizione.
2.5. Per produrre l’effetto interruttivo della prescrizione, un atto deve contenere, infatti, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione della pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che sebbene non richieda l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti – sia idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (fra le tantissime Cass. Sez. 2, n. 15140/2021, rv. 661357-01). Tali elementi sono senz’altro presenti, nel caso di specie, tanto desumendosi dallo stesso motivo di ricorso (cfr. pag. 8 dello stesso).
Con la terza doglianza viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2126, 2729 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Si sostiene che ha errato
la Corte territoriale nel ritenere che il COGNOME avesse svolto l’incarico di dirigente di Struttura complessa, corrette, invece, le conclusioni cui era giunto sul punto il Tribunale che lo aveva negato. Si rimarca l’erroneità della decisione, poiché la pos izione di ‘referente’ rivestita dal controricorrente non può essere ascritta alla declaratoria di dirigente di secondo livello. Si esclude che dall’esame dei documenti in atti possa desumersi lo svolgimento delle mansioni di dirigente di struttura complessa e che dagli stessi emerga altresì che il COGNOME era privo dei requisiti (cinque anni di servizio) per poter aspirare ad un incarico di struttura e/o di alta specializzazione.
3.1. Il motivo non può essere accolto.
3.2. Al di là del formale canale di accesso utilizzato, il n. 3 dell’art. 360 c.p.c., quello che viene nella sostanza richiesto con il mezzo è la complessiva rivalutazione delle prove tutte, al fine di negare lo svolgimento dell’incarico di direzione di struttura complessa, invece accertato dalla Corte territoriale. Il motivo, in estrema sintesi, censura gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di appello, chiedendo alla RAGIONE_SOCIALE di effettuare una rivalutazione del merito del giudizio, evidentemente inammissibile in sede di legittimità.
3.3. A tanto va altresì aggiunto che la doglianza è comunque infondata in ordine alla dedotta necessità del requisito di cinque anni in servizio al fine dello svolgimento dell’incarico di sostituto e ciò in quanto detto presupposto temporale non è affatto previsto dall’art. 18 cit. in tema di sostituzioni.
Con il quarto motivo, infine, viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del c.c.n.l. 2000 perché all’epoca il COGNOME non possedeva i requisiti soggettivi (titolarità di una struttura semplice ovvero di alta specializzazione) per essere nominato sostituto e percepire quindi l’indennità di cui si è detto che, in ogni caso, non può essere erogata, si assume, per un periodo superiore ai dodici
mesi, tale essendo il limite temporale massimo previsto per l’incarico di sostituzione.
Se ne trae la conseguenza che, prescritto il diritto del COGNOME per il periodo anteriore al 15.5.2002, nient’altro allo stesso poteva essere riconosciuto.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Al riguardo ritiene il Collegio di riportarsi integralmente, non essendo emerse ragioni che impongano una rimeditazione, agli insegnamenti sul tema del giudice di legittimità, secondo cui «la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 18 del C.C.N.L. dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente re munerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.» (Cass. n. 21565/2018, che cita, quali precedenti conformi, Cass. nn. 6299/2015; 15577/2015, 584/2016, 9879/2017; successivamente, nello stesso senso, Cass. nn. 10440/2023; 4983/2022; 33136/2019; 7863/2019; 30913/2018)’.
4.3. Il passaggio innanzi riportato, tratto dalla recentissima Cass. Sez. L, n. 25421/2023, si pone altresì in scia con il consolidato orientamento della RAGIONE_SOCIALEC. che, sul tema qui all’attenzione e per q uanto qui di interesse, precisa, quindi, che va disattesa l’interpretazione patrocinata dalla parte ricorrente nel presente giudizio secondo cui l’istituto della sostituzione nell’incarico dirigenziale sarebbe connotato dalla
durata limitata nel tempo, nella misura massima di dodici mesi prevista dalla norma contrattuale, con la conseguenza che alcuna differenza retributiva sarebbe dovuta per lo svolgimento dell’incarico oltre il dodicesimo mese. Tale affermazione è erronea alla luce dei richiamati precedenti del giudice di legittimità, il cui insegnamento va qui ribadito, con rinvio al percorso motivazionale della pronunzia innanzi ricordata Cass. Sez. L. n. 25421/2023, anche ai sensi dell’art. 118 c.p .c. per l’esplicitazione delle ragioni.
4.4. Breviter va solo aggiunta l’irrilevanza (prima ancora della valutazione della fondatezza o meno) delle deduzioni relative alla mancanza dei titoli per lo svolgimento dell’incarico di sostituzione.
4.5. Quello che conta, ai fini del riconoscimento delle differenze retributive pretese, infatti, è solo lo svolgimento dell’incarico di dirigente di struttura complessa, in sostituzione, irrilevanti i presupposti condizionanti la legittimità del conferimento di detto incarico. Insomma, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, le differenze retributive sono comunque dovute anche in caso di difetto dei requisiti estrinseci al conferimento e salvo il limite – qui non rilevante – della totale illiceità de ll’oggetto e della causa dell’obbligazione ( cfr. Cass. Sez. L., n. 30811/2018, rv. 651752-01, ma anche Cass. Sez. L., n. 8690/2018, rv. 648622-01).
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo per la parte ricorrente di versare l’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite alla parte controricorrente, che liquida in € 4.000,00 per compenso, € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
dà atto che sussiste l’obbligo per la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’ 11.1.2024.