Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7046 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 7046 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
1.Il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto le domande proposte nei confronti della ASP di Reggio Calabria da NOME COGNOME e volte ad ottenere in via principale il riconoscimento delle differenze retributive costituite dall’indennità di esclusività, dall’indennità di direzione di struttura complessa e dalla retribuzione di posizione minima unificata connesse all’incarico di dirigente responsabile di struttura complessa svolto dal settembre 2011, ed in via subordinata la condanna al pagamento delle somme ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.
Il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente potesse avere titolo unicamente all’indennità di sostituzione prevista dall’art. 18 del CCNL, che non era stata proposta; ha inoltre respinto la domanda ex art. 2041 cod. civ. per difetto del requisito della residualità.
COGNOME, dirigente medico presso la ASP di Reggio Calabria, aveva dedotto di avere svolto dal 2011 al 2015 l’incarico di direttore di struttura complessa in forza di un ordine di servizio del Direttore Generale.
La Corte di Appello di Reggio Calabria ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME avverso tale sentenza.
La Corte territoriale ha ritenuto che la domanda avente ad oggetto l’indennità di esclusività, l’indennità di direzione di struttura complessa e la retribuzione di posizione minima unificata costituisse una domanda diversa, quanto al petitum e alla causa petendi , da quella relativa all’indennità di sostituzione.
Considerato che a fronte della diversità del tema di indagine è precluso al giudice di dare seguito all’altra quando sia chiesta l’una , ha evidenziato che nel caso di specie l’COGNOME aveva introdotto il tema di indagine in appello, chiedendo surrettiziamente la modifica dei termini della questione in violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., in assenza di domanda nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.
Ha poi escluso che a fondamento della modificabilità del tema di indagine possa essere invocato l’orientamento basato sull’applicazione dell’art. 183, comma primo, n. 6 e sull’ammissibilità della domanda complanare, essendo tale tematica estranea al rito del lavoro, caratterizzato dalle ben più rigide preclusioni previste dall’art. 420 cod. proc. civ.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.
La ASP di Reggio Calabria è rimasta intimata.
DIRITTO
Con l’unico motivo, il ricorso denuncia violazione dell’art. 113, comma primo, e dell’art. 115, comma primo, cod. proc. civ.; violazione dell’art. 18 del CCNL; falsa applicazione degli artt. 420 e 437, comma secondo, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3; violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
Lamenta l’omessa pronuncia sull’indennità di sostituzione prevista dall’art. 18 del CCNL 8.6.2000, nonché l’omessa valutazione della circostanza che lo svolgimento dell’incarico dirigenziale era avvenuto in forza dell’ordine di servizio n. 168 del 19.9.2011.
Critica la sentenza impugnata per avere considerato nuova la domanda di pagamento dell’indennità prevista dall’art. 18 del CCNL senza verificare la corretta qualificazione del rapporto.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui l’art. 18 del CCNL deve trovare applicazione anche nel caso in cui l’assegnazione sia avvenuta nell’immediatezza della riorganizzazione della struttura, e non solo nel caso in cui sia stata disposta per rimediare a una temporanea assenza o in attesa della designazione del titolare per effetto di una procedura concorsuale.
Sostiene che la specificazione effettuata nel giudizio di appello, secondo cui il compenso richiesto doveva rinvenirsi nell’art. 18 del CCNL, costituisce una mera difesa, e non una mutatio libelli ; richiama Cass. n. 23195/2021, che in una fattispecie analoga, a fronte di una domanda volta ad ottenere tutti i compensi spettanti aveva escluso la novità della domanda volta ad ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva, in quanto il fatto costitu tivo non era stato alterato nei suoi elementi materiali, in quanto il ricorrente si era limitato a specificare il titolo in base al quale le somme richieste dovevano essere almeno in parte riconosciute.
La censura proposta ai sensi dell’art. 360, comma primo, n . 5 cod. proc. civ. è inammissibile, dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
È parimenti inammissibile la censura proposta ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., in quanto pur denunciando formalmente la violazione degli artt. 113, 115, 420 e 437 cod. proc. civ., nonché dell’art. 18 del CCNL , si duole nella sostanza dell’omessa pronuncia sulla domanda relativa all’indennità di sostituzione.
Questa Corte ha in proposito chiarito che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la
decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo ” error in procedendo ” – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello; pertanto, alla mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ” ex actis ” dell’assunta omissione, consegue l’inammissibilità del motivo. (Cass. n. 29952/2022).
La censura relativa alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., correttamente proposta ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., è fondata, in applicazione dei principi espressi da questa Corte in una fattispecie analoga (Cass. n. 2875/2024, la cui motivazione è da intendersi richiamata anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. ).
Si è in particolare rammentato che il potere-dovere del giudice di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra solo il limite del rispetto del ‘ petitum ‘ e della ‘ causa petendi ‘, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ‘ ultra ‘ o ‘ extra ‘ petizione ricorre soltanto quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (‘ petitum ‘ o ‘ causa petendi ‘ emetta un provvedimento richiesto (‘ petitum immediato’), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (‘ petitum ‘ mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 8048/2019, in linea con il consolidato orientamento di legittimità sul punto).
È stata dunque esclusa un’alterazione della causa petendi (il dedotto svolgimento delle mansioni di dirigente di struttura complessa) o del petitum (il richiesto pagamento di differenze retributive) in quanto la Corte territoriale si era limitata, come ben era in suo potere, all’attribuzione delle spettanze retributive in misura minore ed in ragione dell’applicazione di una disciplina contrattuale diversa da quella invocata nel ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., nella quale aveva sussunto i fatti storici dedotti in causa.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che non travalica i limiti delle domande e delle eccezioni delle parti e non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, investito della domanda di accertamento della qualifica spettante al lavoratore in base alle mansioni svolte, gliene attribuisca una inferiore a quella specificamente richiesta, poiché, così operando, viene soltanto ad accogliere una pretesa minore virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio ( ex plurimis , Cass. n. 15053/2007, cui ha fatto seguito Cass. n. 8862/2013 e la successiva Cass. n. 22872/2013).
Tali conclusioni sono avvalorate dal rilievo che in materia di pubblico impiego contrattualizzato vige il principio iura novit curia in relazione ai contratti collettivi nazionali (cfr. tra le recenti Cass. n. 7641/2022).
Si è dunque ribadito che la conoscibilità ex officio di un contratto collettivo si atteggia diversamente a seconda che rilevi la previsione di un contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico o del pubblico impiego privatizzato; mentre nel primo caso il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell’adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere del la prova e sul contraddittorio (che non vengono meno neppure nell’ipotesi di acquisizione giudiziale ex art. 425, comma 4, cod. proc. civ.), nel secondo caso il giudice procede con mezzi propri, secondo il principio iura novit curia (Cass. n. 6394/2019, in cui il principio affermato è riferito alla dedotta violazione di una norma dell’autonomia).
In materia di pubblico impiego contrattualizzato si è dunque esclusa la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nell’ipotesi in cui, allegato lo svolgimento di determinati compiti, mansioni e funzioni che nella prospettazione del lavoratore ricorrente fondano il diritto a differenze retributive maggiori, il giudice condanni al pagamento di differenze retributive, quantificandole in misura minore rispetto a quelle oggetto della domanda e in ragione della ritenuta applicazione di una disposizione contrattuale diversa da quella invocata dal lavoratore.
Tanto sulla base del rilievo che nel petitum maggiore è senz’altro ricompreso quello minore e che è compito del giudice l’individuazione della disciplina applicabile.
Non è dunque conforme a tali principi la sentenza impugnata, che pur non avendo rilevato l’introduzione di nuovi elementi di fatto da parte dell’ COGNOME, ha ritenuto nuova la domanda avente ad oggetto l’indennità di sostituzione per lo svolgimento dell’incarico di dirigente responsabile di struttura complessa rispetto a quella riguardante l’indennità di esclusività, l’indennità di direzione di struttura complessa e la retribuzione di posizione minima unificata per lo svolgimento del medesimo incarico, e non ha fatto applicazione del principio iura novit curia rispetto alle disposizioni del CCNL.
Il ricorso va pertanto accolto per quanto di ragione; la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Reggio Calabria in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della