Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25526 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 25526 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 35709-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la sede di RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE CAMPANIA, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Mansioni pubblico impiego
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/09/2024
CC
avverso la sentenza n. 4256/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/07/2019 R.G.N. 603/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
con sentenza 23 luglio 2019 la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del giudice del lavoro di Torre Annunziata che aveva parzialmente accolto, in misura pari all’indennità di sostituzione ex art. 18 c.c.n.l. 8.6.2000 della RAGIONE_SOCIALE e nei limiti della prescrizione quinquennale (e quindi dal 10.3.2011 al 10.6.2011), la domanda del dirigente medico NOME COGNOME volta al riconoscimento del trattamento economico accessorio per lo svolgimento di attività di dirigente di struttura complessa di oculistica del P.O. di Vico Equense/Sorrento;
la Corte territoriale evidenziava come l’incarico fosse di natura provvisoria nelle more dell’espletamento del concorso per la copertura del posto di dirigente dell’UOC in parola e che il Tribunale, correttamente, aveva ritenuto non provata l’esistenza di un formale atto interruttivo della prescrizione: le due istanze del 14.9.2010 e del 10.6.2014, corredate di un generico timbro senza sottoscrizione del funzionario ricevente, erano prive di riscontro nei registri del protocollo ASL Napoli 3 Sud, sicché non era possibile dire se e quando le note de quibus fossero state in effetti ricevute;
3. avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il dirigente medico sulla base di sette motivi, cui si oppone con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 52 d.lgs. 165/01, dell’art. 2126 cod. civ. e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame della deliberazione n. 765 del 29.12.2005 del Direttore Generale dell’RAGIONE_SOCIALE; secondo il ricorrente, la RAGIONE_SOCIALE gli aveva conferito con la delibera citata l’incarico di responsabile di UOC di nuova istituzione (RAGIONE_SOCIALE) e non un incarico di mera sostituzione di chi in precedenza ne era responsabile, ragion per cui non poteva trovare applicazione l’art. 18 del c.c.n.l. richiamato;
2. con la seconda critica si lamenta violazione dell’art. 18 del c.c.n.l. della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 08.06.2000, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/01, dell’art. 2126 cod. civ. e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito ritenuto, erroneamente, riconducibile la fattispecie all’ipotesi tipizzata della sostituzione ex art. 18 c.c.n.l., cit.: nel caso in esame non v’era luogo a parlare di sostituzione per la semplice ragione che, prima della nomina del COGNOME, non esisteva affatto l’RAGIONE_SOCIALE né dunque un precedente titolare da sostituire;
con il terzo mezzo si deduce «violazione dell’art. 18 del c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE medica e veterinaria del 08.06.2000, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001; carente motivazione; violazione dell’art. 69, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.»; secondo il ricorrente, nel caso in cui l’incarico di sostituzione si protragga oltre i dodici mesi al dirigente incaricato spetta non solo l’indennità di sostituzione ex art. 18 comma 7 cit. ma tutte le altre voci, indennità, emolumenti ecc. proprie del titolare URAGIONE_SOCIALEORAGIONE_SOCIALEC.;
i primi tre motivi che, per la stretta connessione logica e giuridica possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati;
al di là della ‘doppia conforme’ che rende qui inammissibile la censura ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., giova rilevare che questa Corte ha chiarito che «in materia di pubblico impiego contrattualizzato, la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del S.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 18 del c.c.n.l. dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 cod. civ. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito, ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici, se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.» (Cass. n. 21565/2018, che cita, quali
precedenti conformi, Cass. nn. 6299/2015; 15577/2015, 584/2016, 9879/2017; successivamente, nello stesso senso, Cass. nn. 10440/2023; 4983/2022; 33136/2019; 7863/2019; 30913/2018 e, da ultimo, Cass., Sez. L, Ordinanza n. 2875 del 31/01/2024);
né vale richiamare, come fa il ricorrente, la diversa interpretazione (a suo tempo avallata in una sentenza di questa Corte: Cass. n. 13809/2015, rimasta isolata) secondo cui, una volta decorsi i dodici mesi di durata massima, la sostituzione sarebbe «’al di fuori’ della previsione di cui all’art . 18, commi 4 e 7, c.c.n.l.» e dovrebbe riprendere pieno vigore il principio della «necessaria corrispondenza tra le funzioni svolte e la retribuzione percepita»;
infatti, l’argomento non è idoneo a superare il rilievo che, con l’art. 18, comma 7, del c.c.n.l., le parti sociali hanno individuato come congrua retribuzione per il sostituto dirigente la sua normale retribuzione integrata dall’indennità mensile come ivi determinata; se tale congruità vale per il primo anno ( rectius : per i primi dieci mesi dopo i due mesi in cui «non è corrisposto alcun emolumento»), non si vede per quale motivo l’indennità non dovrebbe essere congrua anche per l’ulteriore successiva dura ta dell’incarico;
certamente, la durata ultrannuale dell’incarico provvisorio viola la previsione del c.c.n.l., ma la mancata tempestiva conclusione, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, della procedura per la nomina del titolare non può essere considerata un inadempimento contrattuale nei confronti del sostituto dirigente prorogato, quanto
piuttosto la violazione di un dovere della pubblica amministrazione nei confronti di tutti i potenziali aspiranti a quell’incarico;
e se è vero che nella proroga sine die dell’incarico provvisorio, retribuito solo con l’indennità mensile, si annida il pericolo di un abuso nei confronti del dirigente (gravato da una responsabilità alla quale ordinariamente sarebbe correlato un compenso superiore), ancor più evidente sarebbe il pericolo di abuso, nei confronti di tutti gli altri aspiranti, nel caso in cui il conferimento dell’incarico provvisorio prorogato oltre l’anno venisse normalizzato sul piano retributivo, aggirando le norme imperative che, anche nell’interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione, prescrivono adeguate procedura competitive per la scelta del dirigente titolare;
in questo contesto, si è più volte precisato in precedenti pronunce (per tutte, Cass., Sez. L, Ordinanza n. 31387 del 02/12/2019) che nel pubblico impiego privatizzato, ove il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva, non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore;
non a caso il CCNL 8.6.2000 all’art. 18, nello stabilire quale debba essere la retribuzione del dirigente chiamato a dirigere la struttura semplice o complessa in attesa dell’espletamento delle necessarie procedure concorsuali o selettive, esclude che il preposto possa pretendere il trattamento economico fondamentale ed accessorio connesso alla maggiore complessità della struttura, trattamento che può essere rivendicato solo a condizione che
l’incarico venga conferito nel rispetto delle procedure previste dalla legge e dal contratto, previa verifica delle competenze gestionali e professionali richieste per l’espletamento della funzione dirigenziale;
è, pertanto, da escludere che il trattamento economico previsto dai c.c.n.l. per i dirigenti medici di struttura complessa possa essere rivendicato dal ricorrente il quale, pacificamente, al di fuori delle procedure concorsuali e selettive disciplinate dagli stessi c.c.n.l., è stato preposto ad una struttura seppure definita complessa dall’atto aziendale; e ciò perché l ‘art. 18 c.c.n.l. cit. dev’essere logicamente interpretato nel senso che ‘sostituto’ è, ai sensi della citata disposizione, non solo chi sia chiamato a subentrare provvisoriamente al titolare della struttura in caso di impedimento ma anche chi sia chiamato a coprire il posto di nuova istituzione rimasto temporaneamente vacante in attesa della nomina, mediante procedura concorsuale, del titolare della struttura;
5. con il quarto mezzo si denuncia (art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.) violazione degli art. 2934, 2943 e 2948 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché errata dichiarazione di intervenuta prescrizione quinquennale, e, ancora, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e vizio di ultrapetizione;
secondo il ricorrente, la RAGIONE_SOCIALE si era limitata ad eccepire la prescrizione quinquennale senza nulla replicare in ordine alla allegazione della intervenuta spedizione delle istanze del 14.9.2010 e del 10.6.2014, sicché non poteva né il giudice di primo
grado né quello d’appello, in mancanza di eccezione specifica sull’idoneità delle stesse a integrare validi atti interruttivi, escluderne ogni valenza in tal senso, incorrendo così in un vizio di ultrapetizione;
6. con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 53 d.P.R. n. 445/2000 e degli artt. 2934, 2943, 2948 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. nonché carenza motivazione;
secondo il ricorrente, non era contestato che le missive 14.9.2010 e 10.6.2014 fossero state trasmesse e che vi fosse un timbro di protocollo, seppure mancante di firma del funzionario e del numero di registrazione: la manchevolezza dei dati in questione non poteva che riflettersi in pregiudizio della stessa RAGIONE_SOCIALE. nella cui sfera di controllo rientrava l’attività di protocollazione;
i motivi quarto e quinto sono inammissibili e comunque infondati;
la valutazione dell’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione – quando (ed è il caso di specie) non si tratti degli atti previsti espressamente e specificamente dalla legge come idonei all’effetto interruttivo, come nei casi indicati nei primi du e commi dell’art. 2943 cod. civ. – costituisce apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici ed errori giuridici (cfr. Cass. 5.2.2024 n. 3255; Cass. sez. lav. 21.11.2018, n. 30125; Cass. 24.11.2010, n. 23821; Cass. 18.9.2007, n. 19359);
su tale scorta è sufficiente rimarcare quanto segue: il dictum della Corte d’appello non è inficiato da alcun errore di diritto, essendosi la Corte partenopea limitata a evidenziare, con
motivazione congrua ed immune da vizi logici, che non v’era prova della avvenuta ricezione delle missive de quibus ; in ogni caso è innegabile che le censure si risolvono in una diversa (inammissibile) valutazione delle risultanze processuali e della ricostruzione della fattispecie operate dai giudici di secondo grado, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (cfr. Cass. ord. 7.12.2017, n. 29404).
in relazione, poi, alla previsione del n. 5 ( recte : n. 4) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ., la pronuncia della Corte d’appello, avendo compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo, non è inficiata da alcuna forma di ‘anomalia motivazionale’ destinata ad acquisire significato alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte;
è il caso di ribadire che le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che una sentenza può dirsi nulla, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., soltanto in tre casi: quando la motivazione manchi del tutto ‘sinanche come segno grafico’; quando sia insuperabilmente incomprensibile, ed infine quando contenga affermazioni irriducibilmente contrastanti; non è, invece, censurabile in sede di legittimità la semplice ‘insufficienza’ della motivazione;
nel caso di specie non ricorre nessuna ipotesi di mancanza totale di motivazione, incomprensibilità o insuperabile contraddittorietà: il senso della motivazione sottesa dalla sentenza impugnata è infatti ben chiaro: l’atto, per raggiungere lo scopo
interruttivo, deve essere portato a conoscenza del destinatario e la prova di tale acquisizione non è fornita dalla «mera apposizione di un timbro, privo di sottoscrizione del funzionario ricevente, senza riscontro alcuno nei registri di protocollo, (circostanza che) non è idonea a dare prova dell’avvenuta consegna» (pp. 6 -7 sentenza impugnata);
con il sesto mezzo si deduce violazione dell’art. 18, comma 7, c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 08.06.2000, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; in via subordinata, e per effetto dell’efficacia interruttiva delle istanze del 14.9.2010 e del 10.6.2014, al ricorrente andava riconosciuta quanto meno l’indennità sostitutiva fin dal 2005 (non già dal 10.3.2011 al 10.6.2011, come incongruamente ritenuto dai giudice di secondo grado);
il motivo, che è strettamente collegato al quarto e al quinto, in quanto suppone non solo il giudicato sulla debenza dell’indennità di sostituzione ex art. 18 c.c.n.l. cit. ma anche il previo riconoscimento dell’efficacia interruttiva delle richieste di pagamento del ricorrente, va disatteso per effetto della reiezione dei precedenti;
con il settimo, e ultimo, mezzo si lamenta violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/01 e dell’art. 18, comma 7, del c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 08.06.2000, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché error in procedendo e violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame di un punto oggetto del contendere e rilevante ai fini del decidere;
il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che, per il periodo successivo al giugno 2011, l’RAGIONE_SOCIALE fosse stata declassata a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ma ciò non rispondeva al vero perché la delibera n. 736 del 27.06.2011 approvava solo il piano attuativo aziendale il quale non era stato poi messo in esecuzione: ne era riprova il certificato di servizio 15.10.2019, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO, da cui si evinceva che il ricorrente svolgeva funzioni di responsabile UOP «dal 2002 a tutt’oggi»; tale capo di pronuncia del primo giudice era stato puntualmente appellato dal COGNOME ma la Corte napoletana, inspiegabilmente, non aveva esaminato la censura, non avvedendosi dunque dell’inesattezza dell’assunto del Tribunale;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità, perché il ricorrente non riporta lo stralcio dell’appello che conterrebbe la censura sul contestato declassamento della struttura da RAGIONE_SOCIALE né trascrive, ancorché nei passaggi salienti, la delibera 736 del 27.6.2011, cit., contenente, a parere del COGNOME, solo un piano attuativo aziendale senza effetto di immediato declassamento della struttura U.O.C.;
anche qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo , rispetto al quale la Corte di Cassazione è giudice del «fatto processuale», l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 cod. proc. civ., sicché la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti
processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (v., ex multis , Cass. 6 dicembre 2018, n. 31671; Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 4 luglio 2014, n. 15367; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21226; si veda anche Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077);
né vale (ancora) dolersi dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, posto che la censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. non è conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5, come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della ‘doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a) del medesimo d.l. n. 83/2012 ed applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge (Cass. n. 7478/2024);
tanto basta per la reiezione del ricorso, con addebito al ricorrente (parte soccombente) delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 13.09.2024.