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Indennità di sostituzione: No a retribuzione superiore

La Corte di Cassazione ha stabilito che un dirigente medico che svolge temporaneamente mansioni superiori ha diritto esclusivamente alla specifica indennità di sostituzione prevista dal contratto collettivo, e non alla piena retribuzione del ruolo superiore. Questa regola vale anche se l’incarico si protrae oltre i termini previsti. La Corte ha così riformato la decisione della Corte d’Appello, che aveva riconosciuto differenze retributive, rigettando la domanda originaria del medico.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di sostituzione: Niente retribuzione superiore per il dirigente medico

Un dirigente medico che sostituisce un superiore ha diritto alla retribuzione piena corrispondente al ruolo ricoperto o solo a una specifica indennità di sostituzione? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale per la dirigenza sanitaria, stabilendo che la disciplina collettiva prevale sul principio generale della retribuzione proporzionata alla mansione svolta.

I Fatti di Causa

Un dirigente medico di ruolo presso un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) aveva ricoperto per circa cinque anni le mansioni apicali di Direttore del Servizio Igiene e Sanità Pubblica. Per tale periodo, il medico aveva richiesto in giudizio il pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto per il ruolo superiore effettivamente svolto.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva parzialmente accolto la richiesta, condannando l’ASL al pagamento di oltre 47.000 euro a titolo di differenze sulla retribuzione di posizione minima. Tuttavia, aveva escluso altre voci retributive, come l’indennità di esclusività o di struttura complessa, per la mancanza di un atto formale di conferimento dell’incarico. Insoddisfatte della decisione, sia l’ASL sia il dirigente medico proponevano ricorso in Cassazione.

La questione giuridica e l’indennità di sostituzione

La questione centrale sottoposta alla Suprema Corte riguardava la corretta qualificazione del trattamento economico spettante al dirigente medico che, in assenza di un incarico formale, si trova a svolgere le mansioni di un ruolo dirigenziale superiore. In particolare, si doveva stabilire se al dirigente spettasse la piena retribuzione del ruolo ricoperto, in applicazione dell’art. 36 della Costituzione (diritto a una retribuzione proporzionata), oppure unicamente la specifica indennità di sostituzione prevista dalla contrattazione collettiva di settore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’ASL, ribaltando la sentenza d’appello. Secondo gli Ermellini, il caso in esame non configura un’ipotesi di svolgimento di ‘mansioni superiori’ regolata dall’art. 2103 del codice civile, bensì una ‘sostituzione nell’incarico’, disciplinata in modo specifico dall’art. 18 del CCNL della dirigenza medica.

Il punto chiave della motivazione risiede nella natura del rapporto di lavoro della dirigenza sanitaria, caratterizzata da un ‘ruolo unico’. La sostituzione avviene all’interno di questo livello unico, e pertanto non dà diritto a un inquadramento superiore, ma solo al compenso previsto ad hoc. La contrattazione collettiva ha previsto una speciale indennità di sostituzione per remunerare adeguatamente tale incarico temporaneo. Tale indennità è l’unica somma dovuta, anche nel caso in cui la sostituzione si protragga oltre i termini massimi di sei o dodici mesi previsti dal contratto.

La Corte ha inoltre richiamato il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, secondo cui il trattamento economico stabilito remunera tutte le funzioni attribuite. La disciplina collettiva, delegata dalla legge a regolare il trattamento economico dei dirigenti, ha previsto per la sostituzione una soluzione specifica, che esclude la possibilità di rivendicare un trattamento economico superiore basato sulle mansioni di fatto svolte.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha affermato un principio consolidato: al dirigente medico che sostituisce un superiore spetta esclusivamente l’indennità di sostituzione prevista dal CCNL. Questa indennità è ritenuta una remunerazione adeguata e sufficiente, escludendo il diritto a ricevere la piena retribuzione legata al posto superiore. La sentenza della Corte d’Appello è stata quindi cassata e, decidendo nel merito, la domanda originaria del medico è stata rigettata, in quanto l’Azienda aveva già correttamente corrisposto l’indennità dovuta.

Un dirigente medico che sostituisce un superiore ha diritto alla retribuzione piena del ruolo più elevato?
No, secondo la Cassazione, non ha diritto alla retribuzione superiore ma unicamente alla specifica indennità di sostituzione prevista dal contratto collettivo nazionale di riferimento.

Cosa succede se la sostituzione supera i termini previsti dal contratto collettivo (es. 6 o 12 mesi)?
Anche se la sostituzione si protrae oltre i termini massimi, al dirigente spetta sempre e solo l’indennità di sostituzione e non il trattamento economico superiore. Il superamento del termine non modifica la natura del compenso dovuto.

Perché in questi casi non si applica il principio di giusta retribuzione dell’articolo 36 della Costituzione?
La Corte ritiene che l’indennità di sostituzione, in quanto specificamente prevista dalla contrattazione collettiva per questa situazione, costituisca di per sé una remunerazione adeguata e proporzionata, rendendo quindi non necessaria l’applicazione diretta dell’art. 36 della Costituzione per rivendicare un trattamento economico superiore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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