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Indennità di sostituzione medico: no a paga superiore

Un dirigente medico ha richiesto una retribuzione superiore per aver sostituito un responsabile di struttura complessa per un lungo periodo. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che tale incarico non costituisce svolgimento di mansioni superiori e che al dirigente spetta unicamente l’indennità di sostituzione medico prevista dal Contratto Collettivo Nazionale. La Corte ha inoltre chiarito che il CCNL più recente integra e non sostituisce completamente il precedente in materia.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di sostituzione medico: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31968 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande interesse per il personale sanitario: il trattamento economico spettante in caso di sostituzione di un dirigente medico di livello superiore. La decisione chiarisce che al sostituto spetta la specifica indennità di sostituzione medico e non la retribuzione piena del collega sostituito, poiché non si tratta di ‘mansioni superiori’.

Il caso: Sostituzione prolungata e richiesta di differenze retributive

Un dirigente medico di un’Azienda Sanitaria Provinciale ha svolto, per un lungo periodo (dal 2002 al 2009), le funzioni di responsabile di una struttura complessa sulla base di incarichi di sostituzione. Ritenendo di avere diritto a un trattamento economico pari a quello del dirigente sostituito, ha citato in giudizio l’Azienda per ottenere il pagamento degli emolumenti maturati.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno respinto le sue richieste. Secondo i giudici di merito, la normativa contrattuale (in particolare l’art. 18 del CCNL dell’area dirigenziale medica) stabilisce che la sostituzione di un dirigente avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria. Di conseguenza, non si configura come svolgimento di mansioni superiori, ma come una normale dinamica organizzativa che dà diritto esclusivamente a una specifica indennità, detta appunto ‘sostitutiva’, e non al trattamento economico accessorio del sostituito.

I motivi del ricorso: vizi procedurali e l’indennità di sostituzione medico

Il dirigente ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due ordini di motivi, uno di carattere procedurale e uno di merito.

La questione procedurale: la firma del solo Presidente

Il ricorrente ha sostenuto che la sentenza d’appello fosse inesistente o nulla perché sottoscritta unicamente dal Presidente del collegio giudicante e non anche dal secondo giudice. A suo avviso, ciò significava che la decisione era stata presa da un giudice unico anziché da un organo collegiale, come previsto dalla legge.

La questione di merito: quale CCNL applicare?

Nel merito, il medico ha lamentato l’errata applicazione della normativa contrattuale. Secondo la sua tesi, la Corte di Appello avrebbe dovuto applicare il più recente CCNL 2002-2005 e non il precedente CCNL del 2000. L’applicazione del contratto corretto, a suo dire, avrebbe portato a un calcolo diverso e più favorevole degli importi dovuti.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, confermando la decisione della Corte di Appello.

In primo luogo, ha smontato la censura procedurale. La Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 276 del codice di procedura civile, qualora il Presidente del collegio sia anche il giudice estensore della sentenza (cioè colui che ne redige la motivazione), la sua sola firma è sufficiente a rendere valido il provvedimento. La decisione, quindi, è stata correttamente assunta da un organo collegiale.

In secondo luogo, e venendo al cuore della questione, la Cassazione ha affrontato il tema dell’indennità di sostituzione medico e della successione dei contratti collettivi. I giudici hanno spiegato che il CCNL 2002-2005 non ha abrogato integralmente l’art. 18 del precedente CCNL del 2000, ma lo ha solo parzialmente modificato. Nello specifico, ha aggiornato i criteri per l’individuazione del sostituto e l’importo delle indennità. Tuttavia, il principio fondamentale secondo cui la sostituzione non dà diritto alla retribuzione superiore ma solo all’indennità è rimasto invariato. L’art. 60 dello stesso CCNL 2002-2005 conferma esplicitamente che le parti non modificate dei contratti precedenti restano in vigore. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha correttamente applicato le disposizioni del CCNL 2000, come integrate dal CCNL 2002-2005, riconoscendo al dirigente l’importo aggiornato dell’indennità ma non le differenze retributive richieste.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio importante: nell’ambito della dirigenza medica del Servizio Sanitario Nazionale, l’incarico di sostituzione di un superiore non equivale allo svolgimento di ‘mansioni superiori’ che darebbero diritto a una retribuzione più elevata. Si tratta di una funzione interna al ruolo unico dirigenziale, compensata da una specifica indennità di sostituzione medico. La decisione offre anche un utile chiarimento sulla successione dei CCNL, specificando che i nuovi contratti si integrano con i precedenti, modificandoli solo nelle parti espressamente indicate. Per i dirigenti medici, ciò significa che, in caso di sostituzione, il diritto economico è limitato all’indennità prevista, il cui importo è quello aggiornato dall’ultimo contratto applicabile.

Un dirigente medico che sostituisce un superiore ha diritto alla stessa retribuzione del sostituito?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sostituzione avviene all’interno del ruolo unico della dirigenza sanitaria e non configura lo svolgimento di mansioni superiori. Pertanto, al sostituto non spetta l’intero trattamento accessorio del sostituito, ma solo la specifica indennità sostitutiva prevista dal CCNL.

Quale Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) si applica in questi casi, quello vecchio o quello nuovo?
Si applicano entrambi in modo integrato. La Corte ha chiarito che il CCNL 2002-2005 ha solo modificato alcune parti dell’art. 18 del precedente CCNL dell’8.6.2000 (come i criteri di scelta e l’importo dell’indennità), lasciando in vigore le altre disposizioni. Quindi, la disciplina va letta come un insieme coordinato delle due fonti contrattuali.

Una sentenza d’appello firmata solo dal Presidente del collegio è valida?
Sì, è valida. La Corte ha specificato che quando il Presidente del collegio giudicante è anche il giudice che ha redatto la motivazione della sentenza (estensore), la sua sola firma è sufficiente a rendere valido il provvedimento, come previsto dall’art. 276 del codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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