Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19754 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19754 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15149/2020 R.G. proposto da:
NOME deceduta, e per lei gli eredi NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n.299/2019 depositata il 4.3.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’ 8.7.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del marzo 1986 COGNOME NOME conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Ascoli Piceno, COGNOME NOMECOGNOME per sentirlo condannare, previa immediata sospensione degli interventi di sopraelevazione dallo stesso eseguiti sull’immobile sito in San Benedetto del Tronto, località Porto D’Ascoli, alla INDIRIZZO a lei appartenente per i piani inferiori al lastrico solare oltre che quanto al circostante giardino, al pagamento dell’indennità di sopraelevazione ex art. 1127 cod. civ., con i relativi interessi e rivalutazione monetaria, nonché al risarcimento di tutti i danni subiti.
Con successivo atto di citazione dell’aprile 1987 COGNOME NOME conveniva lo stesso COGNOME NOMECOGNOME chiedendo la condanna dello stesso al ripristino delle distanze legali delle vedute a prospetto e delle finestre-balconi realizzate sulla porzione di immobile sopraelevata rispetto all’adiacente giardino di proprietà dell’attrice, nonché alla riduzione della volumetria della sopraelevazione entro i limiti di legge e, in subordine, al pagamento di una indennità pari al maggior volume realizzato utilizzando una porzione del giardino dell’attrice, nonché al risarcimento di tutti i danni patiti, con accessori di legge.
Costituitosi, il COGNOME contestava tutte le domande spiegate da parte attrice, chiedendone il rigetto.
Riuniti i giudizi, con la sentenza parziale n. 540/2004, il Tribunale di Ascoli Piceno dichiarava l’obbligo di COGNOME NOME di corrispondere all’attrice l’indennità di sopraelevazione di cui all’art. 1127 cod. civ., e lo condannava al risarcimento dei danni prodotti con i lavori di sopraelevazione, quantificati equitativamente in
€10.000,00 per i danni all’aspetto architettonico dell’edificio ed in €10.000,00 per la realizzazione di vedute e balconi in violazione delle distanze legali rispetto al giardino della Agostini.
Rimessa la causa sul ruolo per quantificare, oltre l’indennità di sopraelevazione, anche eventuali danni derivanti dalla maggiore volumetria realizzata dal convenuto usufruendo dell’indice di edificabilità del giardino di proprietà esclusiva dell’attrice, il giudizio veniva definito con la sentenza definitiva n. 481/2014, con la quale il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda di parte attrice e per l’effetto condannava COGNOME NOME al risarcimento dei danni in favore di NOME per perdita della volumetria connessa alla proprietà del giardino della COGNOME, quantificati in €67.609,30.
Avverso queste sentenze, proponeva appello principale il COGNOME al quale resisteva la COGNOME spiegando peraltro appello incidentale per vedersi riconosciuta la rivalutazione monetaria e gli interessi sull’indennità di sopraelevazione ed il rimborso delle spese della CTP di primo grado.
Con la sentenza non definitiva n. 1149/2016 del 4.10.2016 la Corte d’Appello di Ancona respingeva i motivi n. 1, 2, 3, 6, 7, 8, 9 e 10 dell’appello principale del COGNOME, ed in parziale accoglimento dell’appello incidentale della COGNOME, riconosceva la spettanza sull’indennità di sopraelevazione e sugli eventuali danni da risarcire a causa della sopraelevazione del COGNOME, della rivalutazione monetaria fino alla pronuncia della sentenza e degli interessi legali sulle somme così risultanti dalla sentenza definitiva al saldo, e con separata ordinanza rimetteva la causa in istruttoria per la rideterminazione dell’indennità di sopraelevazione e per la quantificazione degli eventuali danni per la perdita della volumetria edificabile connessa alla proprietà esclusiva del giardino della COGNOME.
Espletata quindi la CTU dall’ing. COGNOME e depositata dalla COGNOME l’ulteriore CTP espletata, con la documentazione di spesa relativa, con la sentenza definitiva n. 299/2019 del 9.1/4.3.2019, la Corte d’Appello di Ancona accoglieva parzialmente l’appello principale rideterminando l’indennità di sopraelevazione dovuta da COGNOME NOME ad COGNOME NOME in € 70.505,26, con gli accessori regolati come già stabilito nella sentenza non definitiva, rigettando invece la domanda di risarcimento danni proposta da NOME per la perdita dell’edificabilità del giardino attribuita alla sopraelevazione del lastrico solare della controparte, e compensava per metà le spese processuali del doppio grado, condannando il COGNOME a rifondere alla controparte la residua metà ed alla rifusione delle spese della CTP di primo grado, pari ad € 5.010,60.
Avverso queste sentenze, NOME ha proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a quattro motivi. COGNOME NOME ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a sei motivi.
In data 22.9.2022, hanno notificato la comparsa di intervento i successori a titolo universale di NOMECOGNOME NOME COGNOME e NOMECOGNOME
La Procura generale ha concluso per l’accoglimento del terzo e del quarto motivo del ricorso principale e per la reiezione degli altri motivi fatti valere dalle parti.
NOME e NOME hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per evidenti ragioni di priorità logica va esaminato prioritariamente il ricorso incidentale di COGNOME NOME.
1A) Col primo motivo del ricorso incidentale, articolato in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il COGNOME prospetta la violazione degli artt. 1127, 769, 1362, 1365 e 1366 сod. civ. nella misura in cui la sentenza non definitiva non avrebbe
correttamente valutato la volontà del donante suo dante causa, inequivocabilmente votata alla rinuncia a qualsiasi pretesa indennitaria per future soprelevazioni.
Il primo motivo del ricorso incidentale, inteso ad ottenere il diniego del diritto di NOMECOGNOME e dei suoi eredi, all’indennità di sopraelevazione ex art. 1127 cod. civ., riconosciuto dalla sentenza definitiva impugnata per l’importo di € 70.505,26 oltre rivalutazione monetaria secondo l’indice FOI generale dal 20.10.1986 alla data di pubblicazione di tale sentenza (4.3.2019), é inammissibile.
La sentenza definitiva impugnata, sul presupposto dell’accertata proprietà del lastrico solare in capo a COGNOME NOME e della proprietà esclusiva del fabbricato sottostante e del giardino in capo ad NOMECOGNOME ha riconosciuto a quest’ultima l’indennità di sopraelevazione seguendo i principi dettati dalla sentenza n. 16794 del 30.7.2007 delle sezioni unite di questa Corte, evidenziando che la rinuncia a tale indennità poteva provenire solo dal soggetto che ad essa avrebbe avuto diritto e non da altri soggetti, che nell’atto di donazione del lastrico solare fatto da NOME NOME a favore del figlio NOME COGNOME, dante causa del COGNOME, non vi era stata alcuna rinuncia espressa a tale indennità da parte di NOME NOME, non desumibile dalla clausola di stile ivi utilizzata (richiamo agli ‘ annessi, connessi, usi, diritti, azioni, ragioni, servitù attive e passive, con diritto di usufruire della scala che conduce al lastrico, accessioni, pertinenze, adiacenze, come si possiede e si ha diritto di possedere, nello stato di fatto e di diritto attuali, nulla escluso ed eccettuato ‘), riferita a situazioni giuridiche già in essere al momento della donazione, e che la mancata rinuncia di NOME NOME all’indennità di sopraelevazione era compatibile con la volontà di liberalità del donante, ben potendo quest’ultimo perseguire quell’intento, pur mantenendo il diritto di percepire l’indennità derivante dall’eventuale futuro utilizzo del lastrico solare
per la sopraelevazione. A tale pur plausibile interpretazione, il ricorrente incidentale contrappone una propria autonoma interpretazione dell’atto di donazione, che valorizzando il fatto, che NOME NOME prima di procedere alla donazione al figlio NOME del lastrico solare si fosse procurato la proprietà esclusiva dello stesso (prima in comproprietà con la moglie) ed avesse già presentato al Comune di San Benedetto del Tronto una domanda di sopraelevazione, ritenga già implicitamente ricompresa nella donazione del lastrico solare, la rinuncia all’indennità di sopraelevazione.
Il ricorrente incidentale non chiarisce sotto quale profilo l’impugnata sentenza avrebbe violato gli articoli 1127 cod. civ. sull’indennità di sopraelevazione e 769 cod. civ. sulla donazione, e non individua specificamente le ragioni per le quali l’impugnata sentenza avrebbe violato gli articoli 1362, 1365 e 1366 cod. civ. sull’interpretazione del contratto, limitandosi a sostenere la sua alternativa interpretazione nel senso che nella donazione del lastrico solare di NOME NOME al figlio NOME NOME ed a sua moglie NOME vi sarebbe stata un’implicita rinuncia all’indennità di sopraelevazione.
E’ quindi sufficiente rammentare, che l’interpretazione del contratto, concretandosi in una operazione di accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, per cui il ricorrente, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è tenuto altresì a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di considerazioni illogiche o insufficienti, non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione
del ricorrente a quella accolta dalla sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. 13.11.2024 n.29331; Cass. ord. 9.4.2021 n. 9461; Cass. 28.11.2017 n.28319; Cass. ord. 15.11.2017 n. 27136).
2A) Col secondo motivo del ricorso incidentale, articolato in riferimento ai numeri 3) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il COGNOME prospetta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al vincolo pertinenziale tra edificio e terreno circostante, nonché la violazione dell’art. 817 cod. civ..
Il secondo motivo del ricorso accidentale attiene all’esclusione del rapporto pertinenziale tra il giardino ed il lastrico solare del Pagnoni, che la sentenza non definitiva impugnata ha motivato, sostenendo che la circostanza che i coniugi NOME NOME e NOME, che avevano acquistato il terreno, lo avevano recintato e vi avevano costruito la loro casa, poteva consentire di configurare un rapporto pertinenziale del terreno rispetto al fabbricato da loro edificato, ma non rispetto al lastrico solare che solo in seguito e da parte del COGNOME, soggetto diverso dagli autori della recinzione, sarebbe stato sopraelevato, in quanto solo per il fabbricato già edificato dai coniugi NOMECOGNOME autori della recinzione, il bene contiguo del giardino era in grado, già prima dell’acquisto del lastrico solare del COGNOME, di assicurare un’oggettiva utilità di servizio.
Tale motivo é inammissibile, in quanto la motivazione insufficiente e contraddittoria non é più censurabile dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., non si attribuisce alla sentenza impugnata un’erronea nozione di pertinenza in relazione alla previsione dell’art. 817 cod. civ., né si individua un fatto storico principale, o secondario, decisivo, oggetto di discussione tra le parti, che non sia stato considerato, e ci si limita a contrapporre un’autonoma valutazione delle risultanze istruttorie volta ad
ottenere un diverso giudizio di fatto sulla sussistenza dell’indicato vincolo di pertinenzialità, con conseguente applicabilità della giurisprudenza di questa Corte, già richiamata nell’esaminare il motivo precedente.
3A) Col terzo motivo del ricorso incidentale, articolato in riferimento ai nn. 3) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il COGNOME si duole di una pretesa difformità rispetto al principio di diritto sulla irretroattività dell’illecito che sarebbe stato espresso dal giudice di primo grado nella sentenza parziale rispetto alle vedute, con violazione dell’art. 2043 cod. civ..
Il terzo motivo del ricorso incidentale riguarda l’avvenuta conferma, da parte della sentenza non definitiva impugnata, della condanna del COGNOME al risarcimento in favore di NOMECOGNOME e quindi dei suoi eredi, dei danni provocati per l’apertura di vedute e balconi della parte sopraelevata sul giardino di proprietà esclusiva della COGNOME, in violazione delle distanze legali per le vedute e balconi, quantificati equitativamente in € 10.000,00, ed al risarcimento dei danni per il pregiudizio arrecato con la sopraelevazione all’aspetto architettonico dell’edificio ex art. 1127 comma 3° cod. civ. (per la parte anteriore alla sopraelevazione in mattoni rossi e per quella sopraelevata in intonaco bianco), quantificati equitativamente in € 10.000,00, posto che il risarcimento danni per la perdita della capacità edificatoria del giardino é stato invece escluso dalla sentenza definitiva della Corte d’Appello di Ancona n.299/2019.
5A) Il quinto motivo del ricorso incidentale formulato in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., alla violazione dell’art. 1226 cod. civ. ed alla motivazione mancante, insufficiente e contraddittoria, attiene alla quantificazione equitativa in €10.000,00 dei danni derivanti ad NOME e quindi ai suoi eredi, dall’apertura illecita di vedute e balconi nella sopraelevazione
compiuta dal COGNOME in violazione delle distanze legali dal giardino di proprietà esclusiva di NOME.
La sentenza non definitiva della Corte d’Appello, pur riconoscendo il lamentato difetto assoluto di motivazione sul punto della sentenza di primo grado, sarebbe incorsa nel medesimo errore, avendo confermato, ritenendolo congruo, l’importo della condanna, utilizzando un criterio equitativo non analitico e tenendo conto che non essendo stata disposta la reintegrazione in forma specifica, l’incidenza delle vedute illecite sulla proprietà di NOME era destinata a protrarsi indefinitamente nel tempo, in tal modo incorrendo nel vizio di omessa, insufficiente, o contraddittoria motivazione, e nella violazione dell’art. 1226 cod. civ., che consente quando sia impossibile, o estremamente difficile provare il danno nel suo esatto ammontare, di ricorrere alla liquidazione equitativa dando conto dell’iter logico-argomentativo e dei criteri seguiti per consentire il controllo giudiziale, ma evitando le liquidazioni meramente arbitrarie.
Il terzo ed il quinto motivo del ricorso incidentale, possono essere esaminati congiuntamente per la parte in cui si riferiscono all’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni per le vedute ed i balconi realizzati in violazione delle distanze legali dal giardino della COGNOME.
Ribadito quanto già esposto sull’incensurabilità della motivazione insufficiente, o contraddittoria, i motivi sono fondati nella parte in cui si lamenta, che sia stata fornita una motivazione meramente apparente in violazione dell’art. 1226 cod. civ..
Può infatti condividersi che il danno derivante dall’imposizione di servitù di veduta e balconi illeciti per violazione delle distanze legali implichi normalmente una diminuzione di valore dell’immobile gravato (in tal senso l’impugnata sentenza ha citato Cass. 15.10.2001 n. 12511 e Cass. 24.2.2000 n. 2095, e più recentemente nello stesso senso pur escludendo che si tratti di
danno in re ipsa Cass. ord. 20.6.2023 n. 17694; Cass. ord. 1.3.2023 n. 6137; Cass. 31.8.2018 n. 21501; Cass. 16.12.2010 n.25475), che assume una particolare consistenza quando, come nella specie, non sia stata ordinata la reintegrazione in forma specifica, ma solo la tutela risarcitoria, e che tale diminuzione non possa essere agevolmente provata nel suo preciso ammontare, giustificandosi quindi il ricorso alla liquidazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., ma la sola motivazione fornita dall’impugnata sentenza non definitiva, attinente alla mera considerazione della mancata reintegrazione in forma specifica, senza alcun riferimento al numero ed all’ubicazione delle vedute e dei balconi della sopraelevazione, alla consistenza della violazione delle distanze legali ed al valore del fabbricato sottostante la sopraelevazione e del giardino già di NOMECOGNOME e quindi senza alcuna indicazione del criterio seguito per quantificare il danno in questione nella non certo simbolica cifra di € 10.000,00, fa sì che la motivazione resa sia meramente apparente, e che la liquidazione compiuta sia del tutto arbitraria e disancorata da qualsivoglia parametro reale e quindi non assoggettabile al necessario controllo di logicità e correttezza.
Infatti, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, nel caso di ricorso ad un criterio equitativo, il giudice del merito deve comunque indicare gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum , esplicitando i criteri di valutazione equitativa che, se pure rimessi alla sua prudente valutazione discrezionale, devono consentire una quantificazione del danno che sia adeguata e proporzionata, in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato. In tale prospettiva, si e’, infatti, sottolineato come la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto,
sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato in motivazione, a rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento.
In ogni caso, quindi, è necessario che il giudicante indichi i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum , al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo (Cass. ord. 23.6.2023 n. 18108; Cass. 1.12.2021 n.37819; Cass. 31.1.2018 n. 2327 ed in motivazione Cass. 13.9.2018 n. 22272).
Quanto alla motivazione apparente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sussiste, – come nel caso di specie per l’intervenuta condanna al risarcimento danni per la realizzazione di vedute e balconi in violazione delle distanze legali-, allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga un’effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del decisum (vedi in tal senso Cass. ord. 28.1.2025 n. 1986; Cass. n.9105/2017; Cass. sez. un. n. 22232/2016). E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. sez. un. n. 22232/2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi
senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017).
Per le restanti censure del terzo motivo del ricorso incidentale, il COGNOME si duole che l’impugnata sentenza non definitiva abbia ritenuto sussistente, a suo carico, l’illecito extracontrattuale relativo alla lesione dell’aspetto architettonico, in difetto degli elementi soggettivi del dolo e della colpa, con la motivazione che gli atti concessori rilasciati in suo favore per la sopraelevazione dal Comune di San Benedetto del Tronto sulla base della L.R. Marche n. 31/1979, poi dichiarata incostituzionale dalla sentenza n.6/2013 della Corte Costituzionale, attenevano all’aspetto pubblico urbanistico-edilizio, e non al rapporto coi terzi, come NOMECOGNOME
Sotto questo profilo il motivo é infondato, sia per il lamentato vizio di omessa motivazione, che per la violazione dell’art. 2043 cod. civ., in quanto la sentenza di secondo grado, confermando la sussistenza delle violazioni dell’aspetto architettonico dell’edificio ex art. 1127 comma 3° cod. civ., accertate in primo grado, ha già individuato, attraverso la funzione selettiva di tale norma, la condotta colposa imputata al COGNOME, che ha posto in essere la sopraelevazione illecita, ed ha poi escluso che il rilascio delle concessioni edilizie per la sopraelevazione da parte del Comune di San Benedetto del Tronto, avvenuto ovviamente facendo salvi i diritti dei terzi, possa avere legittimato la lesione dei diritti di NOME, derivanti dall’osservanza delle norme sull’aspetto architettonico dell’edificio sopraelevato, norme queste non toccate dalla L.R. Marche n.31/1979, poi dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 6/2013 della Corte Costituzionale.
4A) Col quarto motivo il ricorrente incidentale lamenta in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. la conferma, da parte della sentenza non definitiva impugnata, della sua condanna al
risarcimento dei danni provocati ad NOME con l’apertura delle vedute e dei balconi nella sopraelevazione, che egli aveva contestato in appello, sostenendo che il giardino sarebbe stato in comproprietà e non in proprietà esclusiva di NOME, e che non si sarebbe tenuto conto dei balconi preesistenti alla sua sopraelevazione, e deduce che la motivazione addotta sarebbe insufficiente e contraddittoria.
Il motivo deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento nei termini sopra indicati del terzo e del quinto motivo del ricorso incidentale.
6A) Col sesto motivo del ricorso incidentale, articolato in riferimento ai nn. 3) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il COGNOME lamenta il duplice vizio di violazione dell’art. 1127 cod. civ. e di insufficiente motivazione sul danno al decoro architettonico.
Il sesto motivo del ricorso incidentale attiene alla conferma, da parte della sentenza non definitiva impugnata, della condanna del COGNOME al risarcimento del danno per lesione dell’aspetto architettonico del fabbricato, provocato con la sopraelevazione, in relazione alla previsione dell’art. 1127 comma 3° cod. civ., nella misura equitativamente liquidata di € 10.000,00, ed é inammissibile.
A parte la consueta non consentita censura della motivazione insufficiente, o contraddittoria, non si individua nel motivo alcuna specifica violazione del disposto dell’art. 1127 cod. civ., e si vorrebbe ottenere, richiamando la giurisprudenza di questa Corte relativa alla lesione del decoro architettonico, una rivalutazione nel merito delle risultanze istruttorie allo scopo di addivenire ad un diverso giudizio sulla lesione dell’aspetto architettonico, che l’impugnata sentenza, richiamando opportunamente l’art. 1127 comma 3° cod. civ., ha invece distinto dal decoro architettonico, che viene in rilievo ex art. 1120 comma 2° cod. civ. per le innovazioni, richiamando l’orientamento di questa Corte (Cass.
5.3.2013 n. 10048; Cass. 22.1.2004 n. 1025, ribadito di recente da Cass. ord. 23.7.2020 n. 15675), che considera l’aspetto architettonico come la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio, e che in caso di adozione di uno stile diverso nella sopraelevazione comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo percepibile da qualunque osservatore. L’impugnata sentenza, applicando correttamente la nozione di aspetto architettonico dell’art. 1127 comma 3° cod. civ., e non quella di decoro architettonico, che pone l’accento sulla disarmonia rispetto all’originaria fisionomia ed alle linee impresse dal progettista, ha ritenuto, sulla base della CTU espletata e delle foto acquisite, che la realizzazione del fabbricato originario, con muratura listata costituita da mattoni a vista di colore rosso ferrovia, ed invece della sopraelevazione, con intonaco civile di colore bianco, sia stata sufficiente a provare la lesione peggiorativa dell’aspetto architettonico determinata dalla sopraelevazione, incidente negativamente sul valore della preesistente proprietà immobiliare di NOME, ed ha confermato la valutazione equitativa di tale danno in €10.000,00 in rapporto al presumibile valore di mercato della proprietà immobiliare di COGNOME, censita in catasto alla categoria A/3, e tale motivazione di merito, congruamente argomentata e non censurata per violazione dell’art. 1226 cod. civ., si sottrae al sindacato di questa Corte (vedi in tal senso Cass. ord. 23.7.2020 n. 15675).
Occorre ora passare all’esame del ricorso principale.
1) Col primo motivo, articolato in riferimento al n. 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., la ricorrente principale sostiene l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione derivante dall’omesso esame di fatti decisivi dedotti in giudizio dalla ricorrente e discussi tra le parti sia
nel corso delle operazioni di c.t.u. sia nei susseguenti atti processuali, non avendo la Corte d’Appello di Ancona preso in considerazione il fatto per cui la cubatura di cui disponeva la COGNOME in relazione al giardino di sua esclusiva proprietà, pur non essendo sufficiente ad uno sfruttamento diretto, avrebbe potuto essere oggetto di cessione a terzi, consentendo di ampliare la capacità edificatoria di fondo limitrofo.
Il primo motivo del ricorso principale, é inammissibile per la parte in cui si lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza definitiva n.481/2014 della Corte d’Appello di Ancona, non essendo tali vizi più censurabili dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c..
Venendo al dedotto vizio di omessa motivazione per non avere la sentenza definitiva impugnata esaminato il fatto che il volume di edificabilità residua del giardino, di proprietà esclusiva di NOME, potesse essere ceduto onerosamente a terzi (cessione di cubatura) per incrementare diritti edificatori di fondi limitrofi, va premesso che il vizio é esaminabile nel merito e non é inammissibile per ‘doppia conforme’ ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c..
La domanda di risarcimento danni per la perdita della volumetria edificabile connessa alla proprietà del giardino di COGNOME NOME, infatti, accolta in primo grado, é stata rigettata nel giudizio di secondo grado, perché pur riconoscendosi sul piano soggettivo la condotta illecita di COGNOME NOME per avere ottenuto la concessione edilizia relativa alla sopraelevazione (due piani adibiti ad ambulatorio ed un sottotetto poi condonato per uso ufficio) dichiarando falsamente di essere proprietario non del solo lastrico solare, ma anche dall’appartamento al piano terra ed al seminterrato e del giardino, in realtà di proprietà di NOMECOGNOME é stata negata in appello la sussistenza di un nesso causale tra la perdita di volumetria in astratto edificabile in relazione al
giardino (mq 225,32) e la condotta del COGNOME. Si é infatti evidenziato, che il COGNOME ha ottenuto le concessioni edilizie per la sopraelevazione n. 305 del 28.9.2013 e n. 26 del 21.2.1985 dal Comune di San Benedetto del Tronto, sulla base della L.R. Marche n. 31 del 1979 (poi dichiarata incostituzionale dalla sentenza n.6/2013 della Corte Costituzionale), che ai proprietari di immobili ad un solo piano palesemente incompleti, consentiva di sopraelevare senza osservare i limiti di volumetria e distanze del PRG, prescindendo dalla reale residua potenzialità edificatoria del fondo, per cui la determinazione della superficie realizzabile in sopraelevazione non é avvenuta sfruttando la residua edificabilità del giardino, e che nel contempo, prescindendo dall’applicazione della citata legge regionale, il giardino di COGNOME NOME, secondo la CTU espletata, non avrebbe avuto alcuna effettiva possibilità di sfruttamento diretto della volumetria inutilizzata ad esso connessa (mq 225,32) per la necessità di rispettare nelle eventuali nuove costruzioni le distanze da costruzioni e dalle strade prescritte dal PRG, e che non era stata fornita prova dalla COGNOME dell’effettiva e concreta possibilità di cessione remunerata a terzi di quella cubatura, essendosi la COGNOME limitata a contrapporre alla CTU, l’astratta possibilità di sfruttamento della cubatura, senza indicare elementi tali da fare ritenere concretamente praticabile la cessione di cubatura a terzi ai fini dello sfruttamento edificatorio del giardino (vedi pagine 18 e 19 della sentenza definitiva impugnata).
La censura della ricorrente principale sotto questo profilo é inammissibile, perché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che, come sopra riportato, non ha affatto ignorato il fatto che in astratto la cubatura connessa alla proprietà del giardino potesse essere ceduta a terzi, e non indica se e quando la COGNOME avesse fornito prova degli elementi indispensabili per ritenere effettivamente praticabile la cessione a terzi da parte sua della volumetria connessa alla proprietà del
giardino, sulla base dei limiti volumetrici e delle distanze imposte dal PRG (é stata prodotta la sola planimetria urbanistica omogenea come allegato 27 alla CTP, ma occorreva la prova della volontà di asservimento manifestata da NOME al Comune di San Benedetto del Tronto, la presentazione del progetto di un cessionario della volumetria in questione proprietario di un fondo edificabile, che anche se non confinante direttamente, fosse posto in zona urbanistica omogenea con la stessa destinazione, ed un provvedimento discrezionale e non vincolato costituito dal permesso di costruire a favore del cessionario di volumetria del Comune di San Benedetto del Tronto), limitandosi a richiedere che il relativo onere probatorio, a lei facente carico, fosse addossato sul CTU attraverso l’acquisizione di chiarimenti esplorativi.
2) Col secondo motivo di ricorso principale, articolato in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., la COGNOME prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, Legge della Regione Marche n. 31/1979 (Interventi edificatori nelle zone di completamento previste dagli strumenti urbanistici generali comunali), dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza della Corte Costituzionale n. 6/2013.
Il secondo motivo del ricorso principale é infondato, in quanto l’impugnata sentenza non ha fatto applicazione dell’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n.31/1979, dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 6/2013 della Corte Costituzionale, essendosi limitata a considerare il fatto, allegato dalla stessa NOME, che a COGNOME NOME erano state rilasciate dal Comune di San Benedetto del Tronto le concessioni edilizie già citate, per la sopraelevazione del fabbricato di San Benedetto del Tronto, località Porto d’Ascoli, INDIRIZZO sulla base dell’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n.31/1979, senza corresponsione dell’indennità di sopraelevazione ex art. 1127 cod. civ. ad NOME, proprietaria esclusiva del fabbricato sottostante il lastrico solare del
COGNOME e del giardino, e ad escludere che il COGNOME, rendendo false dichiarazioni sulla sua proprietà degli immobili, in realtà della COGNOME, per conseguire le concessioni edilizie, avesse nel contempo provocato ex art. 2043 cod. civ. un danno ingiusto alla COGNOME, facendole perdere la concreta utilizzabilità della volumetria residua, di pertinenza del giardino di proprietà esclusiva della stessa. Tale concreta utilizzabilità é stata determinata sulla base delle volumetrie e delle distanze legali del PRG del Comune di San Benedetto del Tronto, e non sulla base dell’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n. 31/1979 nel frattempo dichiarato incostituzionale. Nel caso in esame le concessioni edilizie per la sopraelevazione n. 305 del 28.9.2013 e n. 26 del 21.2.1985 del Comune di San Benedetto del Tronto, che sono state rilasciate al COGNOME in forza dell’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n. 31/1979, che ha consentito l’edificazione a distanza di tre metri dal confine derogando le distanze altrimenti previste dal PRG e dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, e la concessione edilizia in sanatoria n. 906 del 28.11.1997 (relativa al mutamento di destinazione ad uso ufficio del sottotetto), non sono state fatte oggetto di contestazione, e neppure é stata contestata la distanza legale dal confine della sopraelevazione, e l’effettiva utilizzabilità della volumetria connessa alla proprietà del giardino di NOME, che sarebbe andata persa a causa della sopraelevazione compiuta dal COGNOME sulla base di inveritieri titoli di proprietà dell’immobile sottostante il lastrico solare ed il giardino della COGNOME, é stata correttamente valutata dal CTU, e dalla sentenza definitiva impugnata, sulla base dei limiti volumetrici e di distanza legale del PRG del Comune di San Benedetto del Tronto, e non sulla base dei più favorevoli parametri temporaneamente introdotti dall’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n. 31/1979, che é stato dichiarato incostituzionale ben dopo il rilascio delle concessioni e l’ultimazione della sopraelevazione.
Ne deriva che é inconferente il richiamo della parte ricorrente principale all’efficacia retroattiva della sentenza della Corte Costituzionale n. 6/2013, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n. 31/1979 per avere invaso una materia normativa (distanze ex art. 9 del DM n. 1444/1968) riservata alla competenza statale e derogabile dalle normative locali solo nell’ipotesi dell’ultimo comma di quell’articolo (‘ nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche ‘), richiamo compiuto dalla sentenza n. 24177/2019 di questa Corte, in quanto nella fattispecie in quella sede esaminata si faceva questione giudizialmente della violazione della distanza legale di tre metri dal confine, che l’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n.31/1979 aveva stabilito, in deroga all’art. 9 del D.M. n.144/1968, per cui la questione del diritto di sopraelevare in violazione di tali ultime distanze non era ancora esaurita. Nel caso qui in esame, invece, non viene in rilievo l’applicabilità, o meno della distanza dal confine per le sopraelevazioni più favorevole rispetto al D.M. n.1444/1968, introdotta dall’art. 1 comma 2 della L.R. Marche n.31/1979, dato che i titoli edilizi posti a base della sopraelevazione sono divenuti definitivi e la sopraelevazione é stata ultimata dal COGNOME prima della dichiarazione d’incostituzionalità della norma regionale di maggior favore, e dato che la COGNOME non ha chiesto di accertare che la sopraelevazione della controparte non poteva essere eseguita perché non rispettosa delle più severe distanze dal confine previste dal PRG e dal D.M. n.1444/1968, e posto che la concreta utilizzabilità della volumetria connessa al giardino, asseritamente andata persa a causa della sopraelevazione del COGNOME, é stata valutata in rapporto ai limiti volumetrici e di distanza legale del PRG, e non del non più applicabile art. 1 comma 2 della L.R. Marche n.31/1979.
3) e 4) Col terzo e quarto motivo del ricorso principale, articolati in riferimento ai nn. 4) e 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., la COGNOME prospetta la nullità della sentenza definitiva impugnata, o del procedimento per omessa pronuncia della Corte distrettuale sulla domanda attorea volta ad ottenere il rimborso da parte del soccombente COGNOME sia pure nella misura percentuale del 50% riconosciuta nella sentenza impugnata, delle spese di CTP sostenute dalla COGNOME nel corso del giudizio di secondo grado, nonché la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, esaminabili congiuntamente perché entrambi inerenti alla mancata condanna, nella sentenza definitiva impugnata, del prevalentemente soccombente, COGNOME NOME, al rimborso in favore di NOME (e quindi dei suoi eredi attuali ricorrenti subentrati, NOME e NOME) della metà delle spese della CTP dell’ing. NOME COGNOME espletata in secondo grado, ammontanti per l’intero ad € 1.649,44, sia per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.), sia per violazione del principio della soccombenza (artt. 91 e 92 c.p.c.), devono ritenersi logicamente assorbiti per l’accoglimento parziale del ricorso incidentale, che imporrà al giudice di rinvio di regolare le spese processuali, comprese quelle di CTP, in base all’esito finale della lite.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il quinto motivo, e per quanto di ragione il terzo motivo del ricorso incidentale, assorbiti il quarto motivo del ricorso incidentale ed il terzo e quarto motivo del ricorso principale, respinti gli altri motivi dei ricorsi, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8.7.2025