Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13946 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35285/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1314/2019 depositata il 16/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.la snc COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME convenivano davanti al Tribunale di Forlì la RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, nonché i soci COGNOME NOME, COGNOME NOME, e la RAGIONE_SOCIALE e, deducendo che i soci COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano svolto, dal 1 gennaio 2000 al 1 agosto 2007, attività di subagenti della RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e che, una volta receduti dal contratto, non avevano ricevuto le indennità previste dall’accordo economico collettivo, chiedevano la condanna dei convenuti al pagamento di oltre 85.000 euro.
I convenuti contestavano la domanda e chiedevano, in via riconvenzionale, accertarsi che la società attrice aveva violato il patto di non concorrenza previsto nel contratto svolgendo i due suoi soci la loro attività di agenti assicurativi in seno alla società RAGIONE_SOCIALE, condannarsi la società attrice, i soci COGNOME NOME e COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni.
Il tribunale accoglieva in parte la domanda attorea condannando i convenuti in solido al pagamento di 28.915,16 euro a titolo di indennità di risoluzione del rapporto di subRAGIONE_SOCIALE e rigettava la riconvenzionale per mancanza di prova di atti di concorrenza;
su appello della RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOME la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, riformava la decisione di primo grado ritenendo, per un verso, che COGNOME NOME e COGNOME NOME, nel frattempo succeduti alla cessata società attrice, non avessero diritto all’indennità di risoluzione del rapporto, per altro verso, che COGNOME NOME e COGNOME NOME -non anche la RAGIONE_SOCIALE -avessero violato il patto di non concorrenza con conseguente condanna dei medesimi a risarcire agli appellanti il danno liquidato in 54797,60 euro. La Corte di Appello compensava le spese tra gli appellanti e la RAGIONE_SOCIALE;
COGNOME NOME e COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE ricorrono per la cassazione della sentenza della Corte di Appello, con quattro motivi avversati dalla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e NOME e COGNOME NOME con controricorso;
4.le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso viene dedotta la ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1751, comma 6, c.c. in relazione al principio generale di derogabilità della norma di legge con fonte pattizia più favorevole, in relazione all’art. 12 disp. prel. c.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’art 14, comma1, lett. A), dell’art. 16, comma 1, dell’art. 17, comma 1, e dell’artt. 21 e 22 e degli artt. da 28 a 36 dell’accordo nazionale agenti/subagenti RAGIONE_SOCIALE stipulato il 27 novembre 1986′;
con questo motivo viene attaccata la parte della sentenza d’appello con cui è stata negata l’indennità di cessazione del rapporto di cui all’art. 1751 c.c. in quanto non dovuta all’agente recedente salvo giusta causa e salvo che il recesso sia determinato
da condizioni personali che rendano non proseguibile il rapporto stesso.
2.1. Il motivo è fondato.
La Corte di Appello ha disapplicato il sesto comma dell’art. 1751 c.c., dal quale si ricava che le disposizioni dello stesso articolo sono derogabili in senso favorevole all’agente, e l’accordo economico collettivo 27 novembre 1986.
Come già affermato in relazione ad analoga fattispecie da questa Corte con sentenza 28248 del 2017 (punti 12 e 13 della motivazione), l’accordo collettivo 27 novembre 1986, di cui è denunziata la violazione e falsa applicazione, ‘non contiene alcuna previsione destinata espressamente a regolare, con riferimento alle indennità di risoluzione di cui agli artt. 31/36 dell’Accordo medesimo, l’ipotesi del recesso del subagente in assenza di giusta causa. Tuttavia, la volontà delle parti collettive appare comunque ricostruibile, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., sulla base della complessiva interpretazione dell’atto in relazione al quale assume rilievo decisivo la previsione dell’art. 21 il quale riconosce al subagente, pur in presenza di recesso per giusta causa dell’agente, il diritto alle indennità in questione. Con la richiamata previsione le parti collettive hanno ritenuto, in un’evidente ottica di bilanciamento degli opposti interessi delle categorie rappresentate dai soggetti contraenti, che, comunque, in presenza di giusta causa di recesso dell’agente, anche se determinata, ad esempio, da condotta gravemente inadempiente del subagente, le richiamate indennità fossero da corrispondersi; in altri termini, hanno configurato come non sanzionabile, mediante esclusione del diritto alle indennità di risoluzione in controversia, la eventuale condotta del subagente concretante giusta causa di recesso dell’agente; alla luce di tale previsione, non appare in alcun modo giustificata la esclusione del diritto alle indennità in questione nella ipotesi, in
qualche modo simmetrica alla prima, in cui vi sia stato recesso del subagente non assistito da giusta causa, dovendosi ulteriormente osservare che la perdita di tali indennità non sarebbe spiegabile né in un’ottica risarcitoria in favore della parte non recedente, essendo tale finalità riservata all’istituto dell’indennità di mancato preavviso né in un’ottica sanzionatoria, per quanto sopra rilevato in tema di recesso dell’agente per giusta causa’;
3. con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1418, 1751 bis, 2956, 1341 c.c.’ per avere la Corte di Appello condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME al risarcimento dei danni per violazione della clausola contrattuale anticoncorrenziale -clausola dicente ‘in ogni caso di recesso dall’incarico per qualsiasi motivo, ella è tenuta ai sensi dell’art. 2596 c.c. a non svolgere attività commerciale nei confronti di questa RAGIONE_SOCIALE generale’ -trascurando le eccezioni di nullità di tale clausola perché contenuta nel modulo contrattuale unilateralmente predisposto e non specificamente sottoscritta e perché non rispettosa dell’art. 1751 bis c.c. Viene anche dedotto che la clausola non sarebbe neppure una clausola anticoncorrenziale in quanto ‘non vi è traccia alcuna delle parole <>’.
4. Il motivo è fondato.
In disparte la questione del significato da attribuirsi alla clausola questione che avrebbe dovuto essere veicolata con specifico riferimento alla mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale restando escluso che possa rendersi ammissibile la mera contrapposizione tra l’interpretazione offerta dal ricorrente, che oltre tutto priverebbe di senso la clausola stessa in contrasto con l’art. 1367 c.c., e l’interpretazione accolta nella sentenza impugnataè errata l’affermazione della Corte di Appello per cui la
clausola non potrebbe dirsi invalida rispetto all’art. 1751 bis c.c. in quanto ‘l’art. 1751 bis, secondo comma, introdotto dall’art. 23 della legge 29 dicembre 2000, n. 422, secondo cui l’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale, non si applica ai patti stipulati prima della sua entrata in vigore, ancorché i contratti di RAGIONE_SOCIALE cui si riferiscano siano cessati successivamente ‘.
In questo modo la Corte di Appello, guardando al secondo comma dell’art. 1751 bis, c.c., non tiene conto del primo comma, che prevede che ‘Il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo scioglimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di RAGIONE_SOCIALE e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto’. Il primo comma, a differenza del secondo, è stato aggiunto dall’art. 5 del d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, con conseguente applicabilità, ratione temporis, al caso di specie. La clausola (‘in ogni caso di recesso dall’incarico per qualsiasi motivo, ella è tenuta ai sensi dell’art. 2596 c.c. a non svolgere attività commerciale nei confronti di questa RAGIONE_SOCIALE generale’) è all’evidenza non conforme alle previsioni di legge; 6. con il terzo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 183 c.p.c., 194 c.p.c., del principio del contraddittorio per avere la Corte di Appello liquidato alla preponente il risarcimento del danno da violazione del patto anticoncorrenziale, in riferimento alla quantificazione delle provvigioni non incassate, sulla scorta di documenti non presenti nel fascicolo di causa, acquisiti dal CTU e senza i quali la liquidazione sarebbe stata impossibile;
il motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento del secondo;
8. con il quarto motivo di ricorso la società RAGIONE_SOCIALE lamenta violazione dell’art. 91 c.p.c. per avere la Corte di Appello, malgrado che fosse stata rigettata la domanda riconvenzionale nei confronti di essa ricorrente, compensato le spese di lite, con la formula ‘si provvede invece alla compensazione tra appellanti e RAGIONE_SOCIALE‘. Nel corpo del motivo si evidenzia che la sentenza non fa menzione della casistica derogatoria, rispetto al principio di soccombenza, di cui all’art. 92 c.p.c.;
9. il motivo è fondato.
Va premesso che il processo che occupa ha avuto inizio il 23 luglio 2008. Per regola generale posta dall’art. 91 c.p.c. le spese seguono la soccombenza, la compensazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, modificata dall’art. 2, comma 1, lett. a, della l. n. 263 del 2005), può essere disposta -oltre che per soccombenza reciproca-, in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione. Nel caso di specie la Corte di Appello non ha applicato la regola generale ed ha compensato le spese senza la minima motivazione;
10. in conclusione devono essere accolti il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, il terzo motivo resta assorbito. In relazione ai motivi accolti la sentenza deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione. Il giudice del rinvio dovrà decidere anche delle spese del presente giudizio.
PQM
la Corte accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2024.