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Indennità di reperibilità: quando è davvero dovuta?

Un dipendente pubblico, il cui cellulare era collegato al sistema di allarme dell’ufficio, ha richiesto il pagamento dell’indennità di reperibilità e del lavoro straordinario per il periodo 2005-2011. La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei gradi precedenti, ha respinto il ricorso. È stato stabilito che la mera disponibilità a intervenire, anche se autorizzata, non costituisce un obbligo formale di reperibilità, il quale deve essere previsto da un provvedimento specifico e non può essere desunto da semplici circostanze di fatto.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di Reperibilità: La Semplice Disponibilità Telefonica non Basta

L’indennità di reperibilità è un tema cruciale nel diritto del lavoro, specialmente in un mondo sempre più connesso. Ma cosa succede quando un dipendente è semplicemente rintracciabile tramite il proprio cellulare, collegato a un sistema di allarme aziendale, senza un ordine di servizio formale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla distinzione fondamentale tra mera disponibilità e un vero e proprio obbligo di reperibilità.

Il Caso: Un Dipendente Collegato all’Allarme dell’Ufficio

Un dipendente pubblico, addetto ausiliare presso un Centro Operativo, ha citato in giudizio la propria Amministrazione per ottenere il pagamento dell’indennità di reperibilità per un lungo periodo, dal 9 giugno 2005 al 23 agosto 2011. Sosteneva di aver diritto a tale compenso perché il suo numero di cellulare era stato collegato, con l’autorizzazione di un superiore, al combinatore telefonico del sistema antintrusione della sede di lavoro. Di conseguenza, in caso di allarme, veniva contattato per intervenire e risolvere la situazione, svolgendo di fatto lavoro straordinario.

Il Tribunale prima e la Corte di Appello poi avevano rigettato le sue richieste. I giudici di merito hanno evidenziato che non esisteva un provvedimento formale che istituisse un obbligo di reperibilità a suo carico. La semplice consegna delle chiavi e il collegamento del suo numero all’allarme, pur autorizzandolo a intervenire, non configuravano automaticamente un obbligo contrattuale in tal senso. Il dipendente ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte: Niente Indennità di Reperibilità Senza Obbligo Formale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione della Corte di Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che i motivi del ricorso non erano idonei a contestare la logica giuridica della sentenza impugnata, ma miravano piuttosto a una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita in sede di legittimità.

La Corte ha ribadito che, per avere diritto all’indennità di reperibilità, non è sufficiente essere semplicemente rintracciabili o autorizzati a intervenire. È necessario che sussista un preciso obbligo imposto dal datore di lavoro, formalizzato e inserito nel quadro normativo e contrattuale di riferimento.

La questione del Lavoro Straordinario

Anche la richiesta di pagamento per il lavoro straordinario svolto durante gli interventi è stata respinta. La Corte di Appello aveva notato che, negli attestati relativi agli interventi, era contenuta la richiesta di considerare le ore prestate come “ore a recupero”. Questo, secondo i giudici, costituiva un principio di prova dell’avvenuto recupero delle ore, invertendo così l’onere probatorio. Sarebbe spettato al lavoratore dimostrare di non aver mai usufruito di tali recuperi, prova che evidentemente non è stata fornita.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri principali.

In primo luogo, la distinzione tra disponibilità di fatto e obbligo giuridico. La Corte territoriale aveva correttamente escluso l’obbligo di reperibilità in quanto non risultava da alcun provvedimento formale coevo alla consegna delle chiavi. Il fatto che il dipendente fosse raggiungibile e autorizzato a intervenire non era sufficiente a trasformare questa disponibilità in un obbligo vincolante.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che la reperibilità, secondo la disciplina collettiva applicabile (CCNL Ministeri), è un istituto di carattere residuale, da utilizzare in ipotesi particolari e con limiti massimi inderogabili. La pretesa del lavoratore di essere considerato in reperibilità per 15 ore al giorno nei giorni feriali e 24 ore nei festivi per circa sei anni è stata ritenuta “inconciliabile” con tale disciplina. Un obbligo così esteso e oneroso non può essere desunto implicitamente, ma deve derivare da un atto formale che ne definisca modalità e limiti.

Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché, invece di contestare queste precise rationes decidendi, si limitava a sollecitare un riesame dei fatti, trasformando il giudizio di legittimità in un inammissibile terzo grado di merito.

Conclusioni

Questa pronuncia offre importanti implicazioni pratiche sia per i datori di lavoro che per i lavoratori. Per i datori di lavoro, sottolinea la necessità di formalizzare sempre l’istituto della reperibilità con atti scritti e chiari, che ne specifichino la durata, le modalità e il compenso, nel rispetto dei limiti previsti dai contratti collettivi. Affidarsi a prassi informali o alla mera disponibilità del dipendente può generare contenziosi dall’esito incerto. Per i lavoratori, chiarisce che la sola rintracciabilità e l’autorizzazione a intervenire non sono sufficienti per rivendicare l’indennità di reperibilità. È necessario poter dimostrare l’esistenza di un obbligo specifico e vincolante imposto dall’azienda. In assenza di tale formalizzazione, il rischio è che la propria disponibilità non venga riconosciuta come una prestazione lavorativa da retribuire.

Avere il proprio numero di telefono collegato al sistema di allarme del posto di lavoro dà automaticamente diritto all’indennità di reperibilità?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il semplice collegamento del proprio cellulare a un sistema di allarme e l’autorizzazione a intervenire non sono sufficienti. È necessario un provvedimento formale del datore di lavoro che istituisca un obbligo specifico di reperibilità.

Perché la Corte ha respinto la richiesta di compenso per lavoro straordinario?
La richiesta è stata respinta perché i giudici hanno ravvisato negli attestati degli interventi un “principio di prova” che le ore prestate fossero state recuperate. Di conseguenza, l’onere di provare il mancato recupero è stato invertito e posto a carico del lavoratore, che non ha fornito tale prova.

Qual è la differenza tra essere rintracciabile e avere un obbligo di reperibilità?
Essere rintracciabile è una condizione di fatto. Avere un obbligo di reperibilità è una condizione giuridica che deriva da un preciso ordine del datore di lavoro, prevede limiti e modalità specifiche (solitamente fissati dal CCNL) e dà diritto a una specifica indennità. La sentenza chiarisce che la prima non implica automaticamente la seconda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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