Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3861 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3861 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
La Corte di Appello di Napoli rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME (Addetto ausiliare Area F1 in servizio presso l’Ufficio Centro RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva respinto le sue domande, volte ad ottenere la corresponsione dell’indennità di reperibilità passiva per il periodo dal 9.6.2005 al 23.8.2011, nonché il compenso per il lavoro straordinario in relazione agli interventi svolti nel suddetto periodo, nelle occasioni in cui era scattato l’antifurto.
La Corte territoriale evidenziava che in data 19.6.2004 il direttore del Centro RAGIONE_SOCIALE aveva consegnato allo COGNOME le chiavi per l’apertura e la chiusura del Centro, oltre alla chiave elettronica del sistema antintrusione con le relative istruzioni del codice per l’attivazione e la disattivazione, e che in data 9.6.2005 il RAGIONE_SOCIALE aveva inoltrato al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il nulla osta per effettuare il collegamento del combinatore telefonico di chiamata automatica col cellulare di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Aggiungeva che in data 13.6.2005 il direttore del Centro RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva autorizzato lo COGNOME ed il COGNOME ad intervenire sul posto e a svolgere tutte le procedure previste in caso di allarme proveniente dal sistema antintrusione installato presso il Centro RAGIONE_SOCIALE, mentre con comunicazione di servizio del 23.8.2011 il direttore del Centro RAGIONE_SOCIALE aveva esonerato lo COGNOME dal servizio di apertura e chiusura del centro e dalla reperibilità per le ore di chiusura del medesimo.
Escludeva che dai suddetti provvedimenti potesse desumersi l’attribuzione allo COGNOME di un obbligo di reperibilità nelle ore di chiusura del Centro RAGIONE_SOCIALE per poter intervenire e disinnescare il sistema antintrusione e reputava
inconciliabile con la disciplina contenuta nell’art. 8 dell’Accordo Nazionale sottoscritto ai sensi dell’art. 19 comma 5 del CCNL 16.5.1995 un obbligo di reperibilità nei termini allegati dallo COGNOME.
Riteneva infondate le domande relative al compenso per il lavoro straordinario; considerata la richiesta all’ufficio del personale di considerare il servizio effettuato come ore a recupero contenuta negli attestati del direttore da cui risultano gli interventi effettuati dallo COGNOME, ravvisava un principio di prova in ordine all’avvenuto recupero RAGIONE_SOCIALE ore prestate, con inversione dell’onere probatorio.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE è rimasto intimato.
DIRITTO
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 8 dell’Accordo Nazionale Comparto Ministeri sottoscritto ai sensi dell’art. 19 comma 5 del CCNL 16.5.1995, in relazione all’art. 360, comma primo, n.3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale confuso l’obbligo di reperibilità con l’obbligo di eventuale prestazione del lavoro straordinario dell’intervento teso a disinnescare l’allarme.
Evidenzia che ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 66/2003, per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE sue funzioni.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui la reperibilità costituisce una specificazione della disponibilità, configurandosi come una prestazione strumentale ed accessoria, consistente nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato in determinati archi temporali, in vista di un’eventuale successiva prestazione, alla quale corrisponde l’obbligo di riconoscere uno specifico compenso aggiuntivo alla normale retribuzione.
Deduce che risulta accertata la reperibilità dello COGNOME, avendo l’Amministrazione collegato il suo telefono al sistema antintrusione installato dalla medesima Amministrazione, e che il lavoratore non poteva sottrarsi a tale reperibilità.
Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n.4 cod. proc. civ.
Torna a sostenere che la reperibilità è dovuta per il solo fatto che il lavoratore era prontamente raggiungibile e lamenta l’omessa motivazione o la motivazione apparente, in quanto la domanda è stata rigettata per l’insussistenza di un obbligo di intervento (e dunque di un’eventuale prestazione del lavoro straordinario) ed in ragione del fatto che le ore allegate e richieste dallo COGNOME sono di gran lunga esorbitanti rispetto al limite massimo previsto dalla contrattazione collettiva.
Argomenta che la violazione dei limiti massimi avrebbe potuto al più giustificare una riduzione dell’obbligo, ma non può escludere il diritto del lavoratore alla percezione della suddetta indennità.
Il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., dell’art. 2947 cod. civ. e dell’art. 8 dell’Accordo Nazionale Comparto Ministeri sottoscritto ai sensi dell’art. 19 comma 5 del CCNL 16.5.1995, in relazione all’art. 360, comma primo, n.3 cod. proc. civ.
Deduce che lo COGNOME era stato posto in reperibilità, risultando dalla sentenza impugnata risulta che era costantemente e prontamente rintracciabile nel periodo di chiusura del Centro RAGIONE_SOCIALE per espressa disposizione del datore di lavoro, il quale aveva collegato il suo numero al RAGIONE_SOCIALE e al sistema di allarme, autorizzandolo ad intervenire per l’eventuale prestazione di lavoro straordinario.
Sostiene che il lavoro straordinario, conseguente agli interventi prestati e autorizzati dall’Amministrazione, deve essere retribuito, ai sensi dell’art. 8 del CCNL di settore vigente.
Evidenzia di avere dedotto nell’atto di appello che ai sensi dell’art. 8 del CCNL vigente che il lavoro straordinario non può essere sottoposto a recupero, in assenza di una specifica richiesta del lavoratore.
I motivi, da trattarsi congiuntamente per ragioni logiche, sono inammissibili.
Non è innanzitutto configurabile la nullità della sentenza impugnata, né il carattere apparente della motivazione, dovendo rammentarsi che la violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero allorché quest’ultima – in assenza di tale vizio – non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (Cass. n. 22978 del 11/11/2015).
Questa Corte ha infatti chiarito che i vizi dell’RAGIONE_SOCIALE del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’RAGIONE_SOCIALE giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato ‘error in procedendo’ (Cass. 9/7/2014 n. 15676).
Ciò premesso, la motivazione della sentenza impugnata non è omessa né apparente, avendo la Corte territoriale escluso l’obbligo di reperibilità dello COGNOME, in quanto non risultava da alcun provvedimento coevo alla consegna RAGIONE_SOCIALE chiavi; nei termini prospettati dal medesimo (15 ore al giorno nei giorni feriali e 24 ore nei giorni festivi per circa sei anni) ha inoltre ritenuto il suddetto obbligo inconciliabile con la disciplina collettiva invocata, che configura la reperibilità come un istituto di carattere residuale alla quale può farsi ricorso in ipotesi particolari ed entro limiti massimi da ritenersi inderogabili.
I motivi contestano tale ricostruzione senza censurare le suddette rationes decidendi e sollecitano inoltre un giudizio di merito.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione o falsa
applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. SU 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 12 gennaio 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME