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Indennità di presenza notturna: quando è dovuta?

La Cassazione ha rigettato il ricorso di una collaboratrice domestica che richiedeva l’indennità di presenza notturna. La Corte ha stabilito che tale indennità non è dovuta se non vi è prova dell’effettivo svolgimento di mansioni di assistenza durante la notte, confermando che la valutazione delle prove è competenza dei giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di Presenza Notturna: Non Basta la Convivenza, Serve l’Assistenza Effettiva

Nel rapporto di lavoro domestico, la questione dell’indennità di presenza notturna rappresenta un punto cruciale che genera spesso controversie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali, stabilendo che per il riconoscimento di tale indennità non è sufficiente la mera convivenza del lavoratore, ma è necessaria la prova di un’effettiva prestazione di assistenza durante le ore notturne. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

Una collaboratrice domestica, dopo aver assistito una persona anziana tra il 2014 e il 2017, otteneva in primo grado una sentenza che le riconosceva oltre 28.000 euro per differenze retributive. Gran parte di questa somma derivava dal calcolo dell’indennità per la presenza notturna.

Tuttavia, la Corte d’Appello di Roma ribaltava parzialmente la decisione, riducendo drasticamente l’importo a poco più di 2.300 euro. La motivazione principale di questa drastica riduzione risiedeva proprio nell’esclusione dell’indennità di presenza notturna. Secondo i giudici d’appello, pur essendo la lavoratrice convivente con vitto e alloggio, non era emersa la prova che avesse effettivamente svolto mansioni di assistenza durante la notte.

Il Ricorso in Cassazione: i motivi della lavoratrice

Insoddisfatta della sentenza d’appello, la lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Errata interpretazione del CCNL: Sosteneva che la Corte d’Appello avesse male interpretato il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i collaboratori domestici e avesse omesso di considerare un fatto decisivo, ovvero le reali condizioni di salute dell’assistita (affetta da demenza senile e non in stato vegetativo), che avrebbero reso necessaria l’assistenza notturna.
2. Vizio procedurale: Lamentava che l’appello del datore di lavoro avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto non contestava specificamente la sentenza di primo grado, ma piuttosto le conclusioni della consulenza tecnica (CTU).

L’Indennità di Presenza Notturna e la Valutazione delle Prove

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo, giudicandolo inammissibile. I giudici supremi hanno chiarito un principio fondamentale della procedura civile: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono riesaminare i fatti e le prove. La valutazione circa l’effettivo svolgimento delle mansioni notturne è una questione di merito, di competenza esclusiva del Tribunale e della Corte d’Appello.

La Cassazione può intervenire solo se vi è stata una violazione di legge, ma nel caso di specie la questione non era l’interpretazione del CCNL, bensì l’accertamento di un fatto: la lavoratrice ha prestato o no assistenza di notte? La Corte d’Appello aveva concluso di no, e questa valutazione, basata sulle prove raccolte, non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

I Requisiti del Ricorso e la Specificità dei Motivi

Anche il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ricordato che chi presenta ricorso per cassazione ha l’onere di indicare in modo specifico le norme di legge che ritiene violate e di spiegare precisamente come la sentenza impugnata le abbia violate. In questo caso, la ricorrente non aveva soddisfatto tale onere di specificità. Inoltre, la Corte ha osservato che l’appello del datore di lavoro non contestava i calcoli della CTU, ma la premessa stessa su cui si basavano: la debenza dell’indennità notturna, che è una questione di diritto e non puramente contabile.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri giuridici solidi. In primo luogo, la netta separazione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. I giudici di primo e secondo grado hanno il compito di accertare i fatti, analizzando le prove (documenti, testimonianze, consulenze). La Corte di Cassazione, invece, ha il compito di assicurare la corretta applicazione della legge (il cosiddetto ius constitutionis), senza poter entrare nel merito della ricostruzione fattuale operata nei gradi precedenti.

In secondo luogo, la Corte ha implicitamente confermato che l’indennità di presenza notturna non è un automatismo legato alla sola convivenza. Essa presuppone una reale necessità di assistenza e lo svolgimento effettivo, anche se discontinuo, di mansioni durante la notte. Se le prove non dimostrano tale effettività, come nel caso di specie secondo la Corte d’Appello, l’indennità non può essere riconosciuta. La mescolanza di motivi di ricorso eterogenei (violazione di legge e vizio di motivazione) rende inoltre il ricorso inammissibile.

Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici sia per i lavoratori domestici che per i datori di lavoro. Per i lavoratori, emerge la necessità di poter provare, in caso di contenzioso, l’effettivo svolgimento delle prestazioni di assistenza notturna per poter rivendicare la relativa indennità. Non è sufficiente dimostrare la convivenza o la potenziale necessità di assistenza. Per i datori di lavoro, la decisione chiarisce che il pagamento di tale indennità è legato a una prestazione concreta e non a una mera disponibilità passiva, fornendo maggiore certezza sui contorni dell’obbligazione retributiva.

L’indennità di presenza notturna è sempre dovuta alla collaboratrice domestica convivente?
No. Secondo la Corte, questa indennità non è dovuta se non viene provato che la lavoratrice abbia effettivamente svolto mansioni di assistenza notturna. La sola convivenza con vitto e alloggio non è sufficiente per il suo riconoscimento.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come la condizione di salute di una persona assistita?
No. La valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti sono di competenza esclusiva dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte di Cassazione può giudicare solo sulla corretta applicazione delle norme di diritto, non sui fatti già accertati.

Cosa succede se in un ricorso per cassazione si mescolano motivi diversi, come la violazione di legge e l’omesso esame di un fatto?
Il motivo di ricorso viene considerato inammissibile. La Corte ha ribadito che non è permessa la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, in quanto si tratta di profili tra loro incompatibili che rendono il ricorso non scrutinabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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