Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14889 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14889 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18935-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME
– intimato –
avverso la sentenza n. 936/2023 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 11/07/2023 R.G.N. 1559/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Altre ipotesi rapporto
privato –
Indennità preavviso
R.G.N.18935/2023
COGNOME
Rep.
Ud.04/03/2025
CC
RILEVATO CHE
Previo ricorso al Tribunale di Cosenza NOME COGNOME ne otteneva il decreto con il quale veniva ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento della somma di euro 24.282,80 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso conseguente alla repentina interruzione del rapporto lavorativo intercorso tra le parti.
Proposta opposizione al provvedimento monitorio, fondata tra l’altro sulla circostanza che il diritto del Leone era escluso dall’avere questi interamente accettato la CIGS a zero ore per ventiquattro mesi, consapevole del fatto che la crisi aziendale sarebbe sfociata in un licenziamento collettivo, il Tribunale di Cosenza la rigettava sottolineando che le disposizioni di legge e della contrattazione collettiva di comparto non consentivano l’esclusione di un diritto al preavviso (o ad una indennità sostitutiva) laddove, a conclusione del periodo di CIGS, l’azienda datrice di lavoro avesse inteso cessare il rapporto con i propri dipendenti e che, comunque, i due istituti avevano finalità diverse.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 936/2023, confermava la pronuncia di primo grado, sia pure rilevando in astratto la correttezza dei principi giurisprudenziali richiamati dalla società, ma evidenziava, però, che di un eventuale accordo risolutorio tra le parti alla fine del periodo di cassa integrazione non era stata fornita prova per cui al lavoratore non poteva essere precluso il diritto al preavviso (o alla indennità sostitutiva di esso).
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’intimato non svolgeva attività difensiva.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con i due motivi, trattati congiuntamente, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, nonché la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2118 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale, da un lato, dato atto della non cumulabilità tra l’integrazione salariale e l’indennità di mancato preavviso e, dall’altro, della mancanza di prova della consapevolezza, in capo al Leone, che alla fine del periodo di CIGS sarebbe stato licenziato, così incorrendo in una omessa pronuncia sul problema della cumulabilità. La società obietta, poi, che la prova della percezione della integrazione salariale da parte del lavoratore risultava documentalmente e, quindi, il lavoratore non aveva diritto a cumulare i due trattamenti; in via subordinata, deduce che la prova dell’accordo simulatorio emergeva dall’accordo stipulato il 17.9.2014 dal cui verbale si desumeva che era stato previsto un doppio binario: a) licenziamento immediato condizionato all’invio di una mera comunicazione di non opposizione; b) il ricorso alla CIGS a zero ore per ventiquattro mesi a conclusione della quale si sarebbero prodotti gli effetti della procedura di licenziamento collettivo. Non avendo il Leone inviata alcuna comunicazione di non opposizione, doveva quindi intendersi che egli avesse optato per la seconda soluzione in un contesto in cui la prova del mancato invio della comunicazione si evinceva da tutto l’evolversi della vicenda.
I motivi, scrutinati congiuntamente per la loro interferenza, non sono fondati.
In primo luogo, deve evidenziarsi che il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017).
Nella fattispecie, la Corte territoriale ha dato atto della esattezza dell’orientamento giurisprudenziale richiamato sulla non
cumulabilità dell’indennità sostitutiva del preavviso con il trattamento di cassa integrazione, però ha ritenuto che il lavoratore dovesse essere anche a conoscenza del fatto che, alla scadenza del periodo di CIGS, sarebbe stato licenziato.
Una pronuncia, pertanto, sul punto formalmente vi è stata (e ciò esclude la sussistenza del vizio denunciato), ritenendo appunto la Corte distrettuale che il profilo della cumulabilità dei trattamenti dovesse essere correlato a quello della consapevolezza del lavoratore sul successivo recesso, operando le due verifiche su piani logici e giuridici diversi.
In secondo luogo, quanto al secondo motivo di censura, va preliminarmente evidenziato un aspetto di inammissibilità della doglianza per non essere stato riportato, nella sua articolazione, il preciso testo del verbale del 17.9.2014; deve, poi, rilevarsi, con riguardo alle altre critiche della ricorrente, che, in relazione alla ricostruzione del contenuto dell’accordo e alla dimostrazione della sua operatività, l’interpretazione di un atto di autonomia privata così come la valutazione sulla mancanza di prova sul fatto che, ai fini di ravvisare una risoluzione concordata, occorresse comunque una espressa proposta di risoluzione diretta al lavoratore ovvero una formale comunicazione di non opposizione da parte di quest’ultimo, costituiscono accertamenti di merito svolti dalla Corte territoriale, adeguatamente motivati e, pertanto, insindacabili in sede di legittimità.
Non si verte, pertanto, in una ipotesi violazione dell’art. 2118 cc, come denunciato, in quanto il vizio di violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per erronea sussunzione si distingue dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, sottratta al sindacato di legittimità, perché postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso e la censura attiene, infatti, all’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa, senza contestare la valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 19651/2024): nella fattispecie, invece, ciò che in sostanza viene obiettato dalla ricorrente
è appunto la questione in fatto della prova sulla sussistenza di un asserito accordo risolutorio, di cui il lavoratore doveva essere a conoscenza, posto a base del licenziamento del Leone: prova che, come sopra detto, i giudici di seconde cure, secondo il loro prudente apprezzamento, non hanno ritenuto fornita.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 marzo 2025