Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12860 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 12860 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5337-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 433/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 11/12/2018 R.G.N. 436/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
RAPPORTO DI
AGENZIA
R.G.N. 5337/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 20/03/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede quanto alla condanna della società RAGIONE_SOCIALE al pagamento di indennità sostitutiva del preavviso e indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c. in favore di NOME COGNOME, quale agente di commercio nel periodo marzo 2013 – dicembre 2015, riducendo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, la somma dovuta a quella complessiva di € 53.927,55 (€ 48.074,35 a titolo di indennità cd. europea ed € 5.853,20 a titolo di indennità di preavviso), oltre accessori, in luogo della somma di € 131.400 oggetto della condanna di primo grado (rispetto alla somma complessiva di € 231.704,34 richiesta dall’agente, anche per altri titoli, con il ricorso introduttivo del giudizio);
ha osservato la Corte di merito, per quanto ancora rileva, che:
era da escludere nel caso concreto l’incompatibilità tra il rapporto di lavoro autonomo e il ruolo di amministratrice della medesima società;
non era stata raggiunta la prova di un progetto di distrazione della rete di vendita da parte dell’agente, tale da integrare la giusta causa di risoluzione del rapporto di agenzia posta a base del recesso da parte della preponente;
dalla constatazione dell’assenza di condotta così grave da integrare la giusta causa di recesso, atteso che non si era raggiunta la prova che l’agente avesse utilizzato l’elenco dei clienti per contattarli per conto di un’altra società, derivava che spettava alla stessa, come indicato dal Tribunale, sia l’indennità sostitutiva del preavviso che l’indennità di cessazione del rapporto;
-peraltro, andava rivisto l’ammontare del montante provvigionale sul quale calcolare tali indennità, seguendo i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, nel senso che la maturazione del diritto dell’agente all’indennità di cessazione del rapporto è subordinato al concorrere cumulativo delle condizioni previste dall’art. 1751 c.c., ossia a) aver procurato al preponente nuovi clienti o sviluppato sensibilmente gli affari con i clienti precedentemente acquisiti; b) che i rapporti con tali clienti continuino ad assicurare alla preponente sostanziosi vantaggi economici; c) che il pagamento di tali indennità sia equo, tenuto conto delle circostanze del rapporto e delle provvigioni che l’agente perde con riferimento agli affari con i predetti clienti acquisiti e sviluppati durante il rapporto; e che, con specifico riferimento ai principi espressi da Cass n. 25740/2018, andavano escluse dal calcolo dell’indennità le provvigioni ricevute per l’attività di coordinatrice, già compensata a parte, e le attività di reclutamento e affiancamento degli agenti;
utilizzando dati contabili della consulenza di parte ridotti proporzionalmente in relazione alla durata del rapporto di agenzia, l’indennità ex art 1751 c.c. andava ricalcolata sulla media provvigionale del periodo, liquidata nel massimo tenuto conto delle specificità del caso concreto, e andava calcolata l’indennità sostitutiva del preavviso sulla base degli stessi dati algebrici;
per la cassazione della predetta sentenza la società propone ricorso con due motivi, cui resiste con controricorso e ricorso incidentale con unico motivo NOME COGNOME; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2598, n. 3, c.c., in relazione agli artt. 2119 e 1751 c.c. (art 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.); sostiene che dalle prove raccolte doveva ricavarsi la realizzazione di attività concorrenziale per storno, in sé dannosa, a prescindere dagli effetti che potrà provocare;
il motivo è inammissibile nella parte in cui la società ricorrente censura la sentenza gravata con riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c.;
infatti, quantunque la Corte distrettuale abbia integrato l’istruttoria svolta in primo grado, dando ingresso, tra l’altro, alla prova testimoniale in grado di appello, essa è giunta alle medesime conclusioni di mancata prova, nel caso concreto, di realizzazione da parte dell’agente di un’attività di distrazione di clienti o rete di agenti;
deve dunque ravvisarsi ipotesi di pronuncia cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che, quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass.
29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023);
né con il ricorso per cassazione la parte può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017; cfr. anche Cass. n. 16056/2016);
il motivo è infondato nella parte in cui la ricorrente censura la sentenza gravata con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c.;
la giurisprudenza sullo storno di dipendenti e collaboratori richiede che tale storno risulti effettivo, non rilevando il solo tentativo o la mera intenzione;
è stato chiarito che, per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito; a tal fine assumono rilievo innanzitutto le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall’una all’altra impresa, che non può che essere diretto, ancorché eventualmente dissimulato, per potersi configurare un’attività di storno, la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione nell’ambito dell’organigramma dell’impresa concorrente, le
difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione e i metodi adottati per indurre i dipendenti e/o collaboratori a passare all’impresa concorrente (Cass. n. 3865/2020; v. anche Cass. n. 31203/2017); di tali modalità di storno integranti concorrenza sleale non è stata raggiunta la prova nel caso concreto;
con il secondo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale società;
10. il motivo è inammissibile;
11. nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi; pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi. (così Cass. n. 28072/2021, conf. a Cass. n. 15367/2014; cfr. anche Cass. n. 16899/2023);
12. a tali oneri di specificazione del ‘dove, come e quando’ è stata proposta la domanda su cui vi sarebbe stata omessa pronuncia non ha adempiuto parte ricorrente (al contrario, è stata parte controricorrente ad eccepire il rigetto implicito della domanda di condanna al risarcimento dei danni equitativo per concorrenza sleale, assorbita dalla mancata prova della concorrenza sleale, non essendo risarcibile, neppure in via equitativa, un danno da fatto ingiusto non dimostrato);
13. con tempestivo ricorso incidentale, viene dedotta da parte controricorrente violazione e falsa applicazione dell’art. 1750 c.c. e dell’art. 10 AEC 16.2.2009, per erronea quantificazione dell’indennità di preavviso, spettante in 3 mesi a norma dell’art. 1750 c.c., e per erroneità della base calcolo, che non è la stessa di cui all’art. 1751 c.c.;
14. il motivo è fondato;
15. a norma dell’art. 1750 c. c., così come sostituito dall’art. 3 del d.lgs. n. 303/1991 (di attuazione della direttiva comunitaria 86/653), applicabile nella presente fattispecie, per quanto qui interessa (comma 3):” Il termine di preavviso non può comunque essere inferiore ad un mese per il primo anno di durata del contratto, a due mesi per il secondo anno iniziato, a tre mesi per il terzo anno iniziato, a quattro mesi per il quarto anno, a cinque mesi per il quinto anno e a sei mesi per il sesto anno e per tutti gli anni successivi ‘ (v. Cass. n. 16487/2014); a sua volta, l’art. 10 AEC 2009 prodotto e localizzato da parte controricorrente, per la quantificazione della suddetta indennità fa riferimento alle ‘ provvigioni di competenza dell’anno solare (…) precedente quanti sono i mesi di preavviso dovuti ‘;
16. è dunque fondata la doglianza di parte controricorrente in ordine all’utilizzo, nella sentenza gravata, per la determinazione dell’indennità sostitutiva del preavviso
riconosciuta all’agente , della diversa base di calcolo per la determinazione della cd. indennità europea, che conduce a risultati inferiori, con conseguente necessità di ricalcolo di tale voce nel merito;
17. in conclusione, pertanto, i l ricorso principale deve essere respinto; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato per parte ricorrente principale, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali; la sentenza impugnata deve essere cassata in accoglimento del motivo di ricorso incidentale, con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, per procedere al calcolo dell’indennità di preavviso riconosciuta secondo i criteri sopraindicati, nonché per provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione, anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r . n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 20 marzo 2024.