LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Indennità di posizione: discrezionalità dell’ente

Un dirigente di un ente locale ha perso il ricorso per ottenere la massima indennità di posizione. La Cassazione ha confermato che la graduazione della retribuzione è un atto discrezionale dell’amministrazione, non sindacabile nel merito dal giudice se non in caso di palese irrazionalità. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché mirava a una rivalutazione dei fatti.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di posizione e discrezionalità della P.A.: la Cassazione fissa i paletti

L’ordinanza n. 19264/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel pubblico impiego: la determinazione dell’indennità di posizione per i dirigenti e i limiti del controllo del giudice sulle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione. La Suprema Corte ha ribadito che, in assenza di palese irrazionalità, le decisioni dell’ente sulla graduazione delle retribuzioni accessorie non sono sindacabili nel merito, trasformando il giudizio di legittimità in un terzo grado di giudizio.

La vicenda: la richiesta del dirigente pubblico

Un dipendente di un Comune, con il ruolo di responsabile dell’area economico-finanziaria e funzioni dirigenziali, aveva agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del diritto a percepire l’indennità di posizione nella misura massima prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), oltre all’indennità di risultato per gli anni dal 2003 al 2006.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto le sue richieste. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza, sottolineando la discrezionalità dell’ente locale nel graduare la retribuzione di posizione in base ai criteri di ‘pesatura’ delle diverse posizioni organizzative, stabiliti con una propria delibera. Secondo i giudici di secondo grado, non erano emersi elementi di palese irrazionalità o arbitrarietà nell’applicazione di tali criteri da parte del Comune. Di conseguenza, la richiesta del dirigente è stata respinta, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione della Cassazione sull’indennità di posizione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del dirigente inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno chiarito che le censure mosse dal ricorrente non denunciavano reali violazioni di legge, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e dei criteri adottati dal Comune, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

Il ricorso, secondo la Corte, si trasformava surrettiziamente in un tentativo di ottenere un terzo grado di merito, chiedendo alla Cassazione di sostituire la propria valutazione a quella, discrezionale, dell’ente e del giudice d’appello.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi consolidati. In primo luogo, ha ribadito che il ricorso per cassazione non può limitarsi a denunciare una presunta violazione di legge per sollecitare una rivalutazione dei fatti storici. Il controllo di legittimità è circoscritto alla verifica della corretta applicazione delle norme di diritto, non a riesaminare il merito della controversia.

In secondo luogo, la Corte ha specificato che la ‘pesatura’ delle posizioni dirigenziali, necessaria per determinare la parte variabile dell’indennità di posizione, è un’attività che rientra nella discrezionalità dell’amministrazione. Il sindacato del giudice può intervenire solo se i criteri adottati sono palesemente irrazionali o applicati in modo arbitrario e incoerente. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente escluso tali vizi.

Infine, per quanto riguarda l’indennità di risultato, la Cassazione ha ricordato che la sua erogazione non è automatica, ma presuppone una procedura specifica che include la fissazione di obiettivi e la successiva verifica del loro raggiungimento. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile anche su questo punto per difetto di ‘autosufficienza’, non avendo il ricorrente trascritto gli atti necessari a dimostrare che la questione fosse stata erroneamente decisa dalla Corte d’Appello.

Conclusioni: i limiti del sindacato giudiziale

Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato: le scelte organizzative e gestionali della Pubblica Amministrazione, come la graduazione delle retribuzioni accessorie, godono di un’ampia discrezionalità. Il lavoratore che contesta tali scelte deve dimostrare non una mera divergenza di valutazione, ma una palese irrazionalità o arbitrarietà. In mancanza di tale prova, il giudice non può sostituirsi all’amministrazione. La decisione sottolinea inoltre l’importanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, un requisito formale ma sostanziale per consentire alla Corte di decidere sulla base degli elementi forniti dal solo atto di impugnazione.

Un giudice può modificare la decisione di un ente pubblico sulla misura dell’indennità di posizione di un dirigente?
No, il giudice può intervenire solo se i criteri usati dall’ente per graduare l’indennità sono palesemente irrazionali o applicati in modo arbitrario. Non può sostituire la propria valutazione a quella discrezionale dell’amministrazione.

Cosa può fare un dirigente se l’ente pubblico non effettua la ‘pesatura’ delle posizioni organizzative?
Secondo la giurisprudenza citata, il dirigente non può chiedere direttamente l’adempimento di tale obbligo, ma può agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno da perdita di chance di percepire la parte variabile della retribuzione.

L’indennità di risultato è sempre dovuta se si svolge una funzione dirigenziale?
No, non è correlata al solo svolgimento della funzione. La sua erogazione richiede l’instaurazione di una procedura specifica che prevede la fissazione di obiettivi precisi e la successiva verifica del loro grado di raggiungimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati