Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2466 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2466 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5301-2020 proposto da:
UNIVERSITA’ DEGLI RAGIONE_SOCIALE DI BARI NOME COGNOME, in persona del Rettore pro tempore , domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo PEC dei difensori ;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA CONSORZIALE RAGIONE_SOCIALE BARI, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
CORSO NOME;
R.G.N. 5301/2020
COGNOME
Rep.
Ud.23/01/2025
CC
– intimata –
avverso la sentenza n. 1679/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 26/07/2019 R.G.N. 545/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Rilevato che
Il Tribunale di Bari all’esito del giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2126 del 2006 di condanna al pagamento, a titolo di indennità cd. piccola COGNOME, dell’importo di € 24.321,60, oltre accessori e spese, a titolo di retribuzione di posizione variabile per il periodo dal 1.1.1996 al 30.4.2008 in favore della dirigente biologa NOME COGNOME dipendente dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro (di seguito: Università) , addetta in regime di convenzione all’U.O. di Endocrinologia dell’Azienda ospedaliera universitaria consorziale policlinico di Bari (di seguito Azienda o anche Policlinico) rigettava l’opposizione e condannava il Policlinico, chiamato in lite dall’Università di Bari, a manlevare quest’ultima dal pagamento delle predette somme.
Avverso detta pronunzia proponeva appello il Policlinico, contestando sia l’ an del credito che la sussistenza di un rapporto di manleva, nella resistenza dell’Università e della dipendente che chiedevano entrambe il rigetto del gravame.
La Corte territoriale, per quanto qui rileva, così decideva: accoglie l’appello per quanto di ragione e, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda di manleva formulata dall’Università degli Studi Aldo Moro nei confronti dell’COGNOME da Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, confermando nel resto la sentenza.
4. La sentenza di seconde cure – premessa l’ammissibilità della contestazione da parte del Policlinico garante del diritto azionato dalla biologa ( all’indennità di posizione variabile aggiuntiva nella composizione della indennità di perequazione) perché l’obbligazione principale costituisce la premessa necessaria della garanzia invocata dal chiamante, nella specie, dall’Università -escludeva nell’ an la sussistenza del diritto azionato da NOME COGNOME.
La sentenza della Corte territoriale confermava, invece, la pronunzia di primo grado nel rapporto processuale fra l’Università e la Corso, regolato , si ripete, in prime cure con il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’Università, con conseguente stabilizzazione degli effetti del decreto ingiuntivo concesso alla biologa, in quanto l’Università , come pure la Corso, avevano chiesto il rigetto dell’appello proposto dal Policlinico.
4.1. In conseguenza della scelta processuale da parte dell’Università di chiedere solo il rigetto dell’appello, la sentenza qui impugnata evidenzia che non è applicabile il principio estensivo della riforma in appello enunziato da Cass. Sez. U, n. 24707/2015, successivamente ripreso da Cass. n. 21098/2017. Al riguardo si legge nella pronunzia: ‘ A fronte di siffatta netta presa di distanza dell’Università dall’appello del Policlinico, anche nella parte in cui l’impugnazione del chiamato in garanzia investe e nega il diritto della Corso; accertato, cioè, il totale dissenso del garantito dal gravame, deve considerarsi precluso l’effetto estensivo della parziale riforma, che le Sezioni Unite si sono spinte a configurare pure nel caso, di per sé neutro, della contumacia in appello del garantito’.
Avverso detta pronunzia propone ricorso per cassazione articolato in due motivi l’Università degli Studi di Bari, Aldo Moro.
Resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, che deposita altresì memoria.
Resta intimata NOME COGNOME.
Considerato che
Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o l’errata applicazione dell’art. 1 l. n. 200 del 1974; dell’art. 31 d.P.R. n. 761 del 1979; del d.i. del 9.11.1982, all. D; dell’art. 6 del d.m. 31.7.1997, dell’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001; ed inoltre, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione alla pacifica equiparazione della retribuzione del biologo universitario di categoria EP -quale l’originaria istante a quella del personale ospedaliero non medico di qualifica dirigenziale, anche sotto il profilo dell’indennità di posizione variabile stante l’ allegazione, fin dal primo grado di giudizio, degli incarichi dirigenziali attribuiti dall’AUO e della relativa pesatura.
1.1. Con il mezzo l’Università lamenta, nella sostanza, l’erroneità della decisione della Corte territoriale nella parte in cui esclude il diritto della biologa alla percezione della retribuzione di posizione parte variabile dei dirigenti del comparto di sanità, rimarcando la mancata valorizzazione da parte dei giudici territoriali del dato fattuale dell’incarico dirigenziale esistente e documentalmente provato da parte della Corso.
1.2. In via preliminare, va evidenziato che l’Università ha interesse ad impugnare la statuizione della Corte di Appello nella parte in cui nega la sussistenza del credito per cui è causa
perché l’eventuale accoglimento del motivo ed il conseguente accertamento del credito produrrebbero effetti sul rapporto di manleva tra l’Università ed il Policlinico.
1.3. Tanto premesso, va in primis rilevato che la sentenza di appello ha affermato che ‘ l’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (“indennità De Maria”), riconosciuta dall’art. 1 della l. n. 200 del 1974 per remunerare la prestazione assistenziale resa dal personale universitario non medico nelle cliniche e negli istituti di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle Università, deve essere determinata – in caso di equiparazione tra l’originario VIII livello di cui alla l. n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’Università) e il IX livello, poi divenuto 1° livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri) -senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo ‘ , ponendosi espressamente in armonia con il consolidato insegnamento del giudice di legittimità, richiamato in motivazione dalla Corte territoriale attraverso il rinvio a Cass. Sez. U, n. 9279/2016, rv. 639531-001, Cass. Sez. L, n. 7737/2018, rv. 647675-01 ( cfr. infra ).
1.4. E’ sulla scorta di detto principio, calato nella fattispecie all’attenzione, che la sentenza di appello ha negato il diritto della biologa al pagamento della parte variabile della retribuzione di posizione per non avere ella offerto prova circa il diritto all’inserimento della remunerazione aggiuntiva di posizione variabile nel computo dell’indennità cd. COGNOME ( cfr. pag. 4 della sentenza), in relazione alle mansioni ed incarichi effettivamente svolti.
1.5. La censura proposta con il primo motivo è, quindi, inammissibile, in quanto attraverso il richiamo ad una serie di delibere aziendali ( cfr. pag. 12 del ricorso) non ‘localizzate’ negli atti processuali e delle quali non è riportato nemmeno in stralcio il contenuto al fine del rispetto del principio di specificità di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., rimarca che era stato riconosciuto espressamente a ciascun dirigente sanitario non medico universitario interessato – tra i quali la dott.ssa COGNOME -la retribuzione di posizione variabile e che da una serie di note aziendali emerge(rebbe) l’attribuzione per gli anni 1998, 1999 e 2000 alla biologa dell’incarico dirigenziale di peso 3.
1.6. Pur a seguito della pronunzia, da parte della Corte Edu, della sentenza Succi contro Italia del 28.10.2021, questa Corte (cfr. Sez. U. n. 8950/2022) ha avuto modo di puntualizzare che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, corollario del requisito di specificità dei motivi, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., va comunque rispettato, sebbene non debba essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa. Hanno precisato le S.U. che il rispetto del principio di specificità non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel corpo di esso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito.
1.7. Sulla scia della pronunzia delle Sezioni Unite si è ulteriormente chiarito che il principio di autosufficienza è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza,
ritenerlo rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fonda, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (così Cass. n. 12481/2022).
1.8. Ebbene, tanto non è avvenuto nel caso di specie, stante sia la mancata localizzazione che l’indicazione per stralcio e/o riassunto del contenuto degli atti e delibere aziendali.
1.9. A ciò si deve aggiungere per completezza che la prova da offrire per l’accertamento del diritto all’indennità parte variabile della retribuzione di posizione non è solo quella del conferimento dell’incarico, ma anche dell’effettivo svolgimento dello stesso, poiché l’indennità cd. De Maria, ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, è volta all’equiparazione del personale universitario a quello del servizio sanitario nazionale e non va corrisposta in via automatica ma solo a parità di mansioni, funzioni ed anzianità. Ne consegue che nel computo della stessa non va calcolata la retribuzione di risultato spettante per gli incarichi dirigenziali, salvo che per il periodo di effettivo svolgimento degli stessi (cfr. Cass. n. 27755/2020, rv. 659956-01).
Sul punto il Collegio non ha ragioni per discostarsi dal consolidato orientamento espresso da questa Corte, da ultimo, e proprio con riguardo alla dirigenza non medica, in Cass. Sez. L. n. 18967/2024, al cui percorso motivazionale si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.
1.10. Ne consegue che, a fonte dell’affermazione contenuta nella sentenza di appello, secondo cui nel giudizio di merito non
è stata offerta la prova della parità di mansioni/funzioni/incarico, il primo motivo qui in esame è inammissibile, non solo per difetto di specificità, ma anche perché, per come proposto, si traduce in una richiesta di rivalutazione delle prove e dei documenti, dunque nella sollecitazione di un giudizio di merito inammissibile in sede di legittimità.
1.11. Da ultimo, quanto al profilo di doglianza articolato ai sensi del comma 1, n. 5, dell’art. 360 c.p.c., il motivo confonde l’omesso esame di un fatto storico ( nella specie l’avere l’originaria ricorrente effettivamente ricoperto l’incarico dirigenziale) con l’omessa valutazione delle risultanze processuali dalle quali poteva essere tratta la prova del fatto, comunque apprezzato dal giudice del merito, che esula dai ristretti limiti del vizio denunciato (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014 e successive conformi).
1.12. Conclusivamente il mezzo è inammissibile.
Il secondo motivo si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 31, comma 2, d.P.R. n. 761 del 1979; dell’art. 6, comma 6, del d.i. 31.7.1997; dell’art. 7 d.lgs. n. 517 del 1999 con specifico riguardo all’obbligo dell’AO RAGIONE_SOCIALE di fornir e le risorse finanziarie per il pagamento dell’indennità per cui è causa e all’obbligo di manleva dell’AO Policlinico nei confronti dell’Università ricorrente.
2.1. Si insiste che sussiste il diritto della Corso al riconoscimento degli emolumenti per cui è causa e -conseguentemente -alla condanna anche dell’Azienda in quanto tenuta alla manleva al pagamento.
2.2. Il rigetto del primo motivo e la conferma della statuizione della Corte di appello in ordine all’insussistenza del credito principale escludono, come correttamente ha ritenuto la Corte
territoriale, la necessità del vaglio della sussistenza del rapporto di manleva tra Università ed Azienda e comportano l’inammissibilità del secondo mezzo che non si confronta con la ratio decidendi della pronunzia, la quale non nega la sussistenza in astratto di un rapporto di manleva, ma lo esclude nel caso concreto, attesa la ritenuta insussistenza del credito principale.
Il ricorso è, pertanto, inammissibile in entrambe le sue
articolazioni.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo nei rapporti tra l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari. Non occorre provvedere sulle spese quanto al rapporto processuale con la parte rimasta intimata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente, Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13. Roma, così deciso nella camera di consiglio del 23.1.2025.