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Indennità di perequazione: prova per biologi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’università riguardante il diritto di una biologa all’indennità di perequazione. La decisione sottolinea che per ottenere la componente variabile di tale indennità, non è sufficiente il conferimento formale di un incarico dirigenziale, ma è necessaria la prova rigorosa dell’effettivo svolgimento delle relative mansioni. L’inammissibilità è derivata dalla violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di Perequazione: La Prova delle Mansioni è Decisiva

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di retribuzione del personale universitario operante in ambito sanitario: per ottenere l’indennità di perequazione, e in particolare la sua componente variabile, non basta la nomina formale, ma è indispensabile dimostrare l’effettivo svolgimento delle mansioni dirigenziali. La vicenda, che ha visto contrapposte un’università e un’azienda ospedaliera, offre importanti spunti sull’onere della prova e sulla corretta redazione degli atti processuali.

I Fatti del Caso: La Richiesta della Biologa Universitaria

La controversia nasce dalla richiesta di una biologa, dipendente di un’università ma operante presso un’azienda ospedaliera universitaria consorziale, di ottenere il pagamento di una somma a titolo di indennità, nota come “piccola De Maria”. Tale indennità ha lo scopo di equiparare la retribuzione del personale universitario a quella del personale ospedaliero.

Inizialmente, la lavoratrice aveva ottenuto un decreto ingiuntivo contro l’ateneo. L’università si era opposta, chiamando in causa l’azienda ospedaliera per essere tenuta indenne (in manleva) da qualsiasi pagamento. Il Tribunale aveva respinto l’opposizione, condannando però l’azienda ospedaliera a manlevare l’università.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

L’azienda ospedaliera ha impugnato la decisione di primo grado. La Corte d’Appello ha parzialmente riformato la sentenza: pur confermando il diritto della biologa nei confronti dell’università (divenuto definitivo per la mancata impugnazione da parte di quest’ultima sul punto), ha respinto la domanda di manleva. La Corte territoriale ha infatti ritenuto che non fosse stata fornita la prova del diritto della lavoratrice all’indennità, negando di conseguenza l’obbligo di garanzia a carico dell’azienda ospedaliera.

L’università ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando sia la negazione del diritto della biologa, sia il rigetto della domanda di manleva.

L’Onere della Prova per l’Indennità di Perequazione

Il cuore della questione giuridica risiede nella natura dell’indennità di perequazione. La giurisprudenza consolidata, richiamata anche in questa ordinanza, stabilisce che l’equiparazione retributiva non è automatica. Per ottenere la componente variabile della retribuzione di posizione, legata a incarichi dirigenziali, il lavoratore deve dimostrare non solo di aver ricevuto formalmente l’incarico, ma anche di averne effettivamente svolto le funzioni e le mansioni correlate. L’onere della prova grava quindi sul dipendente che avanza la pretesa economica.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’università inammissibile per due ragioni principali, entrambe di natura prevalentemente processuale.

In primo luogo, il motivo di ricorso relativo al diritto della biologa è stato ritenuto carente del requisito di “autosufficienza”. L’università, nel suo atto, si era limitata a richiamare una serie di delibere e note aziendali senza né trascriverne il contenuto essenziale, né indicare con precisione la loro collocazione negli atti processuali. Questa modalità impedisce alla Corte di Cassazione, che giudica solo sulla base degli atti forniti nel ricorso, di valutare la fondatezza delle censure. La Corte ha colto l’occasione per ribadire che la prova da offrire non riguarda solo il conferimento dell’incarico, ma anche e soprattutto il suo effettivo svolgimento.

In secondo luogo, e come diretta conseguenza, anche il motivo relativo alla manleva è stato giudicato inammissibile. La Corte ha spiegato che la richiesta di essere tenuti indenni presuppone l’esistenza di un debito principale. Poiché il primo motivo, volto a dimostrare l’esistenza del credito della biologa, era stato respinto, veniva a mancare il fondamento stesso della domanda di manleva. Il ricorso non si confrontava adeguatamente con la ratio decidendi della Corte d’Appello, che aveva escluso l’obbligo di garanzia proprio in ragione della ritenuta insussistenza del credito principale.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione conferma due principi di estrema rilevanza pratica. Da un lato, nel merito, chiarisce che il diritto a componenti retributive variabili, come quelle legate all’indennità di perequazione per ruoli dirigenziali, deve essere supportato da prove concrete e specifiche sull’attività effettivamente svolta. La semplice attribuzione formale di un incarico non è sufficiente. Dall’altro lato, sotto il profilo processuale, l’ordinanza evidenzia l’importanza cruciale del principio di autosufficienza nel ricorso per cassazione. Un ricorso che non espone chiaramente tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per la decisione rischia di essere dichiarato inammissibile, precludendo l’esame nel merito delle questioni sollevate.

Per ottenere l’indennità di perequazione, è sufficiente che un dipendente universitario abbia ricevuto un incarico dirigenziale in ambito sanitario?
No. Secondo la Corte, non basta il conferimento formale dell’incarico. È necessario fornire la prova dell’effettivo svolgimento delle mansioni e funzioni dirigenziali connesse a quell’incarico per avere diritto alla componente variabile della retribuzione di posizione.

Cos’è il principio di autosufficienza del ricorso e perché è stato decisivo in questo caso?
È un principio processuale secondo cui il ricorso in Cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari per essere compreso e deciso, senza che i giudici debbano cercare atti o documenti nei fascicoli dei gradi precedenti. In questo caso, il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’Università ha fatto riferimento a documenti senza riportarne il contenuto essenziale o indicare precisamente dove trovarli, violando tale principio.

Perché la domanda di manleva dell’Università contro l’Azienda Ospedaliera è stata respinta?
La domanda di manleva è stata respinta in appello perché, in quel giudizio, era stata negata l’esistenza del diritto della biologa. In Cassazione, il motivo relativo alla manleva è stato dichiarato inammissibile perché, essendo stato rigettato il motivo principale sul credito, veniva a mancare il presupposto stesso della manleva, ovvero un debito accertato da cui essere tenuti indenni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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