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Indennità di perequazione: onere della prova

La richiesta di un ricercatore universitario per l’indennità di perequazione è stata respinta dalla Corte di Cassazione. Per ottenere l’indennità, non basta la stessa anzianità, ma è necessario provare lo svolgimento di funzioni e incarichi comparabili a quelli dei colleghi del Servizio Sanitario Nazionale. La Corte ha sottolineato che l’onere di fornire tale prova spetta al richiedente.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di Perequazione per Medici Universitari: La Prova è Decisiva

L’indennità di perequazione rappresenta da sempre un tema cruciale per il personale medico universitario, poiché mira a garantire un trattamento economico equo rispetto ai colleghi del Servizio Sanitario Nazionale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per ottenere questo beneficio non basta dimostrare la stessa anzianità, ma è indispensabile provare la corrispondenza delle funzioni e degli incarichi svolti. Analizziamo insieme la vicenda.

I fatti del caso: la richiesta del ricercatore

Un ricercatore universitario a tempo pieno, con funzioni di dirigente medico in regime di esclusività, aveva citato in giudizio l’Azienda Ospedaliera e l’Università di appartenenza per ottenere il pagamento dell’indennità di perequazione per gli anni dal 2007 al 2010.

In primo grado, il Tribunale aveva accolto la sua domanda, condannando le due istituzioni al pagamento di circa 25.000 euro. La decisione si basava sull’articolo 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, norma storicamente a fondamento di tale diritto.

La decisione della Corte d’Appello e il ricorso in Cassazione

L’Azienda Ospedaliera e l’Università hanno impugnato la sentenza di primo grado. La Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, respingendo la richiesta del ricercatore. A questo punto, il medico ha deciso di portare il caso davanti alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su due motivi principali:
1. Una violazione delle norme processuali, sostenendo che l’appello delle controparti avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.
2. Un’errata applicazione della legge, contestando l’interpretazione della Corte d’Appello secondo cui, per ottenere l’indennità, fosse necessario provare lo svolgimento delle medesime mansioni e il possesso della stessa anzianità di un pari grado ospedaliero.

Le motivazioni della Cassazione sull’indennità di perequazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del ricercatore, confermando la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni degli Ermellini sono dense di principi giuridici importanti, sia sul piano processuale che su quello sostanziale.

Il primo motivo di ricorso: una questione procedurale

La Corte ha dichiarato inammissibile la prima doglianza. Ha chiarito che il giudice ha il dovere di accertare ex officio, cioè di propria iniziativa, la fondatezza di una domanda. Questo significa che il giudice deve verificare se chi chiede un diritto ha effettivamente provato i fatti che ne sono alla base, indipendentemente dalle specifiche difese della controparte. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente verificato se il ricercatore avesse dimostrato di possedere i requisiti per il credito vantato.

Il secondo motivo: l’onere della prova per l’indennità

Questo è il cuore della decisione. La Cassazione ha spiegato che il quadro normativo e contrattuale della dirigenza medica è cambiato radicalmente nel tempo. Il vecchio sistema basato su tre livelli (assistente, aiuto, primario) è stato sostituito da un ruolo unico, con incarichi differenziati per natura e complessità.

Di conseguenza, il criterio per l’indennità di perequazione non può più essere statico, ma deve essere dinamico. Ciò significa che l’equiparazione deve tenere conto di questa evoluzione. Per avere diritto all’indennità, il medico universitario deve dimostrare di avere non solo pari anzianità, ma anche un incarico di pari responsabilità rispetto al collega del Servizio Sanitario Nazionale. Nel caso specifico, il ricercatore non aveva provato di aver svolto attività di dirigente di struttura semplice, requisito ritenuto necessario per fondare la sua pretesa. La contestazione di questa valutazione di fatto è stata ritenuta inammissibile in sede di legittimità, poiché riservata ai giudici di merito.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio chiave: l’onere della prova per l’indennità di perequazione grava interamente sul richiedente. Il medico universitario non può limitarsi a invocare la parità di qualifica e anzianità, ma deve fornire la prova concreta della corrispondenza delle funzioni e delle responsabilità del suo incarico con quelle del personale ospedaliero. Questa decisione sottolinea l’importanza di un approccio dinamico all’interpretazione delle norme, che tenga conto delle evoluzioni legislative e contrattuali del settore sanitario.

Per ottenere l’indennità di perequazione è sufficiente avere la stessa anzianità di un collega ospedaliero?
No, la Corte ha stabilito che non è sufficiente. È necessario dimostrare anche la parità di funzioni e di incarico, tenendo conto dell’evoluzione normativa e contrattuale che ha modificato l’inquadramento dei dirigenti medici.

Chi ha l’onere di provare il diritto all’indennità di perequazione?
L’onere della prova ricade sul dipendente universitario che richiede l’indennità. Deve dimostrare di svolgere attività e avere responsabilità comparabili a quelle del personale medico del Servizio Sanitario Nazionale con pari anzianità e incarico.

Un giudice può rigettare una domanda anche se la controparte non ha sollevato una specifica eccezione?
Sì, il giudice ha il dovere di verificare ex officio (di propria iniziativa) la fondatezza della domanda sulla base dei fatti provati nel processo. Può rigettare la richiesta se mancano le prove dei fatti costitutivi del diritto, anche in assenza di una contestazione specifica dalla controparte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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