Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16817 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16817 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
fine di ottenere il pagamento del dovuto;
l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’Università e dal Policlinico è stata rigettata dal Tribunale di Messina, ma poi la Corte d’Appello di quella stessa città, pronunciando sull’impugnazione proposta dagli enti, ha ridotto l’importo riconosciuto da euro 79.533,35 ad euro 42.063,87 , oltre accessori;
la Corte d’Appello, per quanto ancora interessa, riteneva la legittimazione passiva dell’Università e del Policlinico, ma, nel determinare l’indennità di equiparazione, affermava che doveva escludersi la retribuzione di posizione minima, parte fissa e part e variabile, dell’area dirigenziale della sanità e ciò in quanto si trattava di emolumento che poteva essere riconosciuto solo se collegato all’effettivo svolgimento di un incarico direttivo/dirigenziale, che nel caso di specie il ricorrente non aveva mai ottenuto;
2.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, resistiti da controricorso dell’Università e del Policlinico, che ha anche proposto ricorso incidentale ed a quest’ultimo ha opposto repliche il ricorrente principale con proprio controricorso;
sono in atti memorie del ricorrente principale e del Policlinico;
CONSIDERATO CHE
1.
con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 437 e 345 c.p.c., oltre che dell’art. 111 Cost. e si rileva che nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo le P.A. non avevano contestato l’assenza di incarichi dirig enziali, che dunque non poteva essere messa in discussione in appello, al fine di non considerare la retribuzione di posizione nell’ambito dei calcoli di equiparazione;
il motivo è infondato;
gli emolumenti da considerare a fini equiparativi e quindi per determinare l’importo dell’indennità perequativa riguardano fatti costitutivi del diritto, che era onere di chi agiva e quindi del lavoratore, addurre e provare; neanche emerge, come eccepito delle difese delle controparti, che vi fosse stata esplicita affermazione in ordine all’incarico dirigenziale, sicché non vi è luogo a parlare di mancata contestazione e del tutto legittimamente – a fronte della decisione di primo grado che aveva considerato anche gli emolumenti ad esso consequenziali – le amministrazioni hanno proposto con gli atti di appello la questione in ordine all’inesistenza di quei fatti costitutivi; 2.
il secondo motivo adduce -ancora ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 194, 437 e 345, nonché 115 e 116 c.p.c. e 111 Cost., sostenendo che la contestazione sulla retribuzione di posizione sarebbe stata solleva ta dall’Azienda attraverso il proprio c.t.p., ma con riferimento soltanto al quantum e non rispetto alla retribuzione di posizione in quanto tale;
la censura è infondata per le stesse ragioni già espresse rispetto al primo motivo;
la questione riguarda fatti costitutivi del diritto azionato che, se siano stati erroneamente considerati nella sentenza di primo grado, legittimamente
vengono contestati con l’appello, a prescindere dall’ampiezza del dibattito verificatosi in sede di c.t.u. in primo grado e di quanto ivi affermato dal c.t.p.;
3.
il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2909 c.c., sostenendo che la valutazione dell’indennità di posizione sarebbe stata già contenuta nella sentenza passata in giudicato di riconoscimento del diritto alla perequazione;
la Suprema Corte -adduce il ricorrente – aveva fatto in quella sede riferimento alle indennità previste dall’accordo nazionale unico, sicché la dizione andava intesa come comprensiva anche della retribuzione di posizione;
il motivo è infondato;
la Corte d’appello ha ritenuto che non vi fosse stata alcuna statuizione sull’indennità di posizione, neanche in via mediata, nella sentenza passata in giudicato e tale lettura è del tutto coerente con la genericità del riferimento di quella sentenza, nel breve stralcio trascritto nel motivo, alle « altre indennità », che non consente di ritenere compreso nel giudicato il riconoscimento nei calcoli perequativi di una retribuzione non dovuta per il mancato svolgimento di funzioni dirigenziali in concreto;
4.
il quarto motivo sostiene, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c. per anomalia motivazionale in ragione dell’art. 1292 c.c.; con la censura, dopo essersi ripresi i temi sulla tardività delle questioni sollecitate in appello e di cui ai primi due motivi, si sostiene, pur riconoscendo che entrambe le amministrazioni avevano proposto appello sul tema della retribuzione di posizione, che la Corte di appello nella motivazione avrebbe accolto il solo motivo proposto dal Policlinico, pur riducendo gli importi sulla base delle deduzioni contabili dell’Università e ciò in violazione del principio per cui i motivi di gravame non si comunicano dall’uno all’altro dei coobbligati in solido;
il motivo va disatteso;
è in effetti illogica la lettura della pronuncia secondo cui, nonostante la questione sulla retribuzione di posizione fosse stata propugnata da entrambe le appellanti, con richiesta da parte di esse di quella riduzione, la pronuncia sarebbe stata limitata al profilo di gravame proposto da una sola di esse, per giunta accogliendolo nella misura prospettata dall’altro litisconsorte;
la sentenza va dunque diversamente intesa ovverosia nel senso che veniva accolta l’eccezione sollevata da entrambe le parti con gli appelli, tanto che appunto la misura della riduzione è stata determinata sulla base delle difese dell’Università, non essendovi alcuna ragione, né la Corte d’Appello ha detto alcunché in proposito, perché si giungesse in quella sentenza ad una soluzione differenziata;
5.
il quinto motivo è rubricato in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.p.r. n. 761 del 1979, dell’art. 39 del CCNL del 5.12.1996, quadriennio 1994 -1997 dirigenza area III, dell’art. 35, c o. 1, lett. A, degli 39 e 40 del CCNL dirigenza area III 19982001, dell’art. 33, co. 1, lett. A del CCNL area III 2002 -2005; il motivo dà atto della maturazione di un indirizzo nomofilattico nel senso che non spettano nel calcolo perequativo le retribuzioni non corrispondenti ad un incarico dirigenziale effettivamente ricevuto, ma auspica la remissione della questione alle Sezioni Unite, argomentando in proposito; il motivo va rigettato per le ragioni già esposte da Cass. 27 febbraio 2024, n. 5137, su analoga controversia, che di seguito si riportano espressamente.
In quella sede è stato detto -ed è qui condiviso -quanto segue. « Preliminarmente, occorre ricostruire, alla stregua dei precedenti giurisprudenziali di questa S.C., chiamata più volte ad affrontare analoghe questioni di diritto (in particolare, Sezioni Unite n. 9279 del 9 maggio 2016 e Sezioni Unite n. 8521 del 29 maggi o 2012), l’assetto normativo vigente
in materia. La legge n. 213 del 1971 ha stabilito all’art. 4 che al personale docente in servizio presso cliniche ed istituti universitari convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, gestiti dalle università, fosse attribuita un’indennità economica tale da equiparare il trattamento economico a quello in godimento del personale ospedaliero di pari funzioni, mansioni ed anzianità (c.d. indennità De Maria). L’art. 1 della legge n. 200 del 1974 ha esteso tale indennità al personale non medico (c.d. indennità piccola COGNOME). L’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (avente ad oggetto lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) ha stabilito che ‘al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta un’indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità’ (comma 1); ha previsto, altresì, che il personale universitario assumesse diritti e doveri pari a quelli del personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui all’art. 39 della legge n. 833 del 1978, e che, “tenuto conto degli obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico, nei predetti schemi sarà stabilita in apposite tabelle l’equiparazione del personale universitario a quello delle unità sanitarie locali ai fini della corresponsione della indennità di cui al comma 1” (comma 4). Il d.i. 9 novembre 1982, recante l’approvazione d egli schemi tipo di convenzione tra regione e università e tra università e unità sanitaria locale, ha stabilito, poi, che, per il personale universitario non medico, la corrispondenza con quello in servizio presso le unità sanitarie locali avvenisse secon do le indicazioni contenute nell’allegata tabella D (art. 7). Le disposizioni dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 hanno conservato la loro vigenza anche successivamente alla privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico ed all’entrata in vigore del d .lgs. n. 165 del 2001, recante
norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Difatti, l’art. 53 del CCNL 1994 -1997 per il personale dell’Università ha confermato l’applicabilità dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 ‘fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50…’. A detto art. 53 è stato successivamente aggiunto, in data 25 marzo 1997, un comma 3 in virtù del quale le parti si sono impegnate alla ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e quello del personale del SSN, al fine di assicurare l’omogenei tà dei trattamenti sul territorio nazionale e l’inserimento delle nuove figure professionali; nelle more, le parti si sono date atto che venivano conservate le indennità di cui all’art. 31 del d.lgs. n. 761 del 1979. Solo con il CCNL 2002-2005 (sottoscritto il 27 gennaio 2005) è stata elaborata una tabella unica nella quale il personale universitario in servizio presso le Aziende ospedaliere universitarie è stato inquadrato per fasce, sulla base delle categorie professionali ed economiche in atto nel SSN (art. 28 tab. A). Dalla data della sottoscrizione di questo contratto l’indennità di cui all’art. 31 è corrisposta sulla base delle nuove corrispondenze indicate dalla tabella. Sulla base di queste disposizioni contrattuali, si è ritenuto che l’art. 53 cit. avesse congelato provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto e che tale assetto fosse stato ribadito dall’art. 51 del CCNL 1998 -2001, con la conseguenza che l’art. 31 del d.P.R. n.761 del 1979 continuava ad applicarsi transitoriamente. Ad avviso della giurisprudenza di questa Corte è dunque direttamente all’art. 31 che deve farsi riferimento per determinare i parametri di attribuzione dell’indennità perequativa nei periodi precedenti il CCNL del 2005 ed è alla tabella all. D al decreto interministeriale 9 novembre 82, recante gli schemi tipo di convenzione, che deve farsi ulteriore riferimento per quel che riguarda il criterio di equiparazione. Come affermato dalle sentenze delle Sezioni unite n. 8521 del 29 maggio 2012 e n. 9279 del 9 maggio 2016, tale equiparazione fra le qualifiche non ha carattere rigido, bensì dinamico e deve essere riferita anche ai mutamenti
apportati all’inquadramento del personale, universitario e sanitario, dai contratti collettivi. In sintesi, anche dopo la privatizzazione del pubblico impiego, l’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 ha conservato la sua efficacia per effetto della contrattaz ione collettiva sino all’entrata in vigore dell’art. 28 del CCNL 27 gennaio 2005 per il personale del comparto università (quadriennio 20022005). La fonte dell’equiparazione deve essere individuata nella tabella allegata al d.i. 9 novembre 1982, norma che pone in automatica correlazione – ai soli fini economici – le qualifiche universitarie e quelle ospedaliere, prescindendo dal concreto esercizio delle mansioni corrispondenti e dal possesso del titolo di studio necessario per il loro effettivo svolgimento. Il meccanismo di equiparazione delle retribuzioni tra il personale universitario e quello sanitario ha carattere dinamico, tale per cui il mutamento di una delle originarie qualifiche che comporti effetti sulla retribuzione ripercuote automaticamente i suoi effetti anche sull’altra. L’art. 28 del menzionato CCNL 27 gennaio 2005 dispone, al comma 6, che ‘Sono fatte salve, con il conseguente inserimento nella colonna A della precedente tabella, le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L.’ e, al comma 7, che ‘I benefici economici derivanti dall’applicazione dell’art. 51, comma 4, ultimo capoverso del C.C.N.L. 9 agosto 2000 e art. 5, comma 3, del C.C.N.L. 13 maggio 2003, sono conservati «ad personam», salvo eventuale successivo riassorbimento’. Ciò posto, si rileva che non è più contestato il diritto del ricorrente ad ottenere la c.d. indennità COGNOME Maria nella misura occorrente per equiparare il suo trattamento economico complessivo a quello del personale USL di livello X. In ordine al trattamento a lui spettante, occorre chiarire, però, che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9279 del 9 maggio 2016, hanno avuto modo di precisare che, nell’ambito dell a indennità di perequazione non possono essere inclusi automaticamente gli emolumenti che presuppongono o sono collegati all’effettivo conferimento di un incarico direttivo. Le Sezioni Unite, riferendosi specificamente alla questione della inclusione
nell’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (‘indennità De Maria’) dell’indennità di posizione dei dirigenti del comparto sanità (oggetto della presente lite), nell’affermare che ta le trattamento può essere riconosciuto soltanto se collegato all’effettivo conferimento di un incarico direttivo, hanno tra l’altro -osservato che l’art. 31, in precedenza citato, che vincola la corresponsione della c.d. indennità De Maria all’equiparaz ione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, contempla un presupposto che induce ad escludere l’applicazione di un’equiparazione automatica delle retribuzioni estesa anche ad indennità spettanti unicamente in relazione al conferimento di incarichi specifici. In altre parole, l’intento perequativo del trattamento economico del personale universitario rispetto a quello del personale sanitario, che costituisce la ratio legis dell’art. 31 e che viene realizzato con la previsione di una indennità (appunto perequativa) che fa riferimento al trattamento complessivo spettante ai dipendenti del SSN e che si applica in modo sostanzialmente automatico trova un limite logico, oltre che giuridico, in quelle componenti del trattamento economico complessivo del personale sanitario che non dipendono direttamente ed esclusivamente dall’inquadramento contrattuale, ma sono erogate in correlazione al conferimento di incarichi come quello dirigenziale. Questo approccio è stato coerentemente ribadito anche in seguito dalla S.C., la quale ha ancora affermato che l’indennità c.d. De Maria deve essere determinata, in caso di equiparazione tra l’originario VIII livello di cui alla legge n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’Unive rsità) e il IX livello, poi divenuto 1° livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri), senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018). Pertanto, deve ritenersi che sia ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale per il quale l’indennità di posizione dei dirigenti del comparto sanità può essere
riconosciuta soltanto se vi è stato un effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016; Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018). In particolare, è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità che l’indennità c.d. De Maria opera ai soli fini retributivi e senza che debbano confluire in modo automatico nell’indennità di perequazione tutte le voci che, secondo la previsione delle parti collettive, compongono la «struttura della retribuzione della qualifica unica di dirigente». Infatti, a fronte dell’evoluzione degli inquadramenti e degli istituti contrattuali qui denunciati dal ricorrente, occorre tenere conto della ratio dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1971 che, in quanto finalizzata a perequare i dipendenti «a parità di mansioni, funzioni e anzianità», porta necessariamente a distinguere il trattamento tabellare dagli ulteriori emolumenti che, come l’indennità di posizione, parte fissa e variabile, risultano strettamente collegati al conferimento di un incarico direttivo», secondo le regole proprie del rapporto dirigenziale (graduazione delle funzioni, assegnazione obiettivi, valutazione dei risultati, etc.: in questo senso, Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, sulla scia di Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016 e, poi, seguita da Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018). La menzionata evoluzione della disciplina contrattuale dell’indennità di posizione e l’innegabile distinzione fra trattamento fondamentale e trattamento accessorio riservato ai dirigenti non valgono a confutare i principi affermati dalla citata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, fondati principalmente sulla necessità di tenere conto, nell’applicazione delle tabelle di comparazione, non solo del carattere dinamico e non statico delle stesse, ma anche delle finalità perseguite dalla norma perequativa, che, quanto alla individuazione delle singole voci, porta a distinguere quelle finalizzate a compensare, a prescindere dall’incarico in concreto ricoperto, la professionalità propria del dipendente (rispetto alla quale la successiva evoluzione contrattuale non fa venir meno l’originario giudizio di equiparazione espresso nella tabella), da quelle strettamente connesse allo svolgimento della funzione dirigenziale, fra le quali si iscrive
la retribuzione di posizione, pure nella parte fissa e non solo in quella varabile (Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, e Cass., Sez. L, n. 28295 del 28 settembre 2022, in motivazione). Non meritano di essere condivise, quindi, le ragioni addotte dal ricorrente per chiedere di ritenere superato da questo Collegio il precedente rappresentato da Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016 o di investire nuovamente della problematica de qua le Sezioni Unite. In particolare, non ha pregio il contenuto delle note depositate dal ricorrente il 29 maggio 2023 a sostegno della sua tesi, per la quale la retribuzione di posizione minima unificata domandata nell’attuale giudizio sarebbe una voce del trattamento fondamentale, per tale motivo da erogare a pre scindere dall’attribuzione di qualsivoglia incarico dirigenziale. Il ricorrente menziona, in dette note, la clausola interpretativa ARAN/ OO.SS. del 12 gennaio 2021, resa ex art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 in un procedimento analogo al presente, la quale precisa che la retribuzione di posizione minima, regolata dall’art. 33 del CCNL del 2005, quale parte del trattamento fondamentale, spetterebbe al dirigente a prescindere dall’incarico. Sarebbe stato chiarito, con riferimento alla posizione di un dirigente equiparato ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, che ‘l’art. 33 comma 1, lett. a, n. 4, del CCNL dell’area III del 3.11.2005, parte normativa quadriennio 2002-2005 – parte economica biennio 2002-2003, con riferimento agli ex moduli funzionali DPR 384/1990, sanitari, va interpretata nel senso che la retribuzione di posizione minima unificata, che rientra nel trattamento fondamentale, è riconosciuta ed erogata anche al dirigente sanitario ex modulo funzionale DPR 384/1990 che non sia titolare di alcun incarico, a condizione che i relativi oneri siano sostenuti a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo nazionale’. Si tratta di una previsione che, però, non incide sulla presente decisione, atteso che essa si riferisce ai dirigenti sanitari del SSN la cui retribuzione di posizione minima sia a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo nazionale. Nella specie, invece, viene in questione la posizione di un dipendente dell’Università degli Studi di Messina solo
‘strutturato’ nel Servizio sanitario nazionale, il quale non ricopre la qualifica di dirigente del detto Servizio; inoltre, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 761 del 1979, le somme necessarie per la corresponsione dell’indennità di cui al comma 1 dell’appena citato art. 31 presente articolo sono a carico dei fondi assegnati alle regioni ai sensi dell’art. 51 della legge n. 833 del 1978 e sono versate, con le modalità previste dalle convenzioni, dalle Regioni alle Università.»
6.
con riferimento al controricorso con ricorso incidentale del Policlinico va preliminarmente detto -per rispondere all’eccezione contenuta nel controricorso al ricorso incidentale formulata dal ricorrente principale -che non si pongono dubbi sulla legittimità della procura rilasciata a difensore del libero foro;
anche a voler ritenere che, come sostenuto da Cass. 5 ottobre 2018, n. 24545, anche le aziende ospedaliere universitarie e quindi il Policlinico siano tenute a ricorrere al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, nel caso di specie ricorrerebbe palesemente l’eccezione che Cass., S.U., 20 ottobre 2017, n. 24876 riconosce in caso conflitto di interessi;
è chiaro infatti che, proponendo il Policlinico ancora la questione sul proprio difetto di legittimazione passiva, vi sia conflitto di interessi con l’Università costituita per mezzo dell’Avvocatura dello Stato e che, secondo il Policlinico sarebbe da considerare legittimata;
6.1
ciò posto, il primo motivo di ricorso incidentale propone appunto la questione sulla legittimazione passiva degli enti;
il motivo è infondato perché è consolidato l’orientamento per cui vi è legittimazione passiva solidale e concorrente dell’azienda universitaria e dell’università (Cass., S.U., 9 maggio 2016, n. 9279, nonché Cass. 7 marzo 2014 n. 5325 e Cass. 24 maggio 2013 n. 12908);
il secondo motivo di ricorso incidentale adduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) e vizio di omessa sul motivo di appello con cui il Policlinico aveva sostenuto che si dovessero detrarre dal dovuto le somme già percepite a titolo di straordinario e della remunerazione comunque ricevuta dal Calarco in quanto inquadrato in categoria DS2;
il motivo è manifestamente infondato quanto allo straordinario che, non essendo voce fissa, non andava detratto dall’indennità di perequazione, perché dovuto dal datore in ragione dello svolgimento delle corrispondenti attività eccedenti l’orario normale;
vale dunque il consolidato principio per cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass., S.U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663);
quanto alla mancata pronuncia sul tema della detrazione di altre somme percepite per l’inquadramento in categoria DS2, non può condividersi la lettura della sentenza su cui si basa la censura del Policlinico;
la sentenza in effetti, pur dando atto nello storico di lite che entrambe le appellanti avevano fatto riferimento ad una diversa quantificazione del percepito (pag. 4), nella motivazione poi dice di rispondere all’eccezione sul punto dell’Università (pag. 13), senza menzionare il Policlinico;
tuttavia, la Corte territoriale chiude l’argomentare affermando che « avendo il consulente detratto solo gli importi che documentalmente risultavano pagati nel corso del rapporto, nessuna ulteriore censura merita la quantificazione operata dal consulente tecnico d’ufficio di primo grado »;
in tal modo, la Corte territoriale ha affermato che la c.t.u. non meritava censura sul piano contabile, così mostrando, seppure implicitamente, di aver inteso disattendere tutto quanto era coinvolto in causa sotto questo profilo;
ciò esclude la ricorrenza di un’omessa pronuncia;
in definitiva vanno disattesi sia il ricorso principale, sia l’incidentale;
8.
la reciprocità di soccombenza tra il ricorrente principale ed il Policlinico, in una, per quanto riguarda anche l’Università, con la complessità delle questioni agitate in causa, sono circostanze che giustificano la compensazione integrale delle spese del grado.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della