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Indennità di perequazione: no alla retribuzione manageriale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16817/2025, ha chiarito i limiti dell’indennità di perequazione per il personale universitario che opera in ambito sanitario. Un dipendente universitario aveva richiesto l’inclusione della retribuzione di posizione, tipica dei dirigenti sanitari, nel calcolo della sua indennità. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che tale emolumento è strettamente legato all’effettivo svolgimento di un incarico dirigenziale, che nel caso di specie non era mai stato conferito. La decisione conferma un orientamento consolidato, distinguendo tra l’equiparazione del trattamento economico generale e le voci retributive specifiche legate a funzioni superiori non ricoperte. È stata inoltre confermata la responsabilità solidale dell’Università e del Policlinico.

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Indennità di Perequazione: la Cassazione esclude la Retribuzione di Posizione senza Incarico Dirigenziale

L’indennità di perequazione rappresenta un istituto fondamentale per garantire un trattamento economico equo al personale universitario che presta servizio presso policlinici e strutture sanitarie convenzionate. Questo meccanismo mira a colmare il divario retributivo con il personale del Servizio Sanitario Nazionale. Tuttavia, quali voci retributive devono essere incluse nel calcolo? Con la recente ordinanza n. 16817 del 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la retribuzione di posizione, tipica delle figure dirigenziali, non può essere riconosciuta se non vi è stato un effettivo conferimento di un incarico manageriale.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di un dipendente universitario, in servizio presso un policlinico, di ottenere il pagamento di differenze retributive a titolo di indennità di perequazione. Inizialmente, sia il decreto ingiuntivo che la sentenza di primo grado gli avevano dato ragione, includendo nel calcolo anche la retribuzione di posizione (parte fissa e variabile) prevista per i dirigenti dell’area sanitaria.

La Corte d’Appello, tuttavia, riformava parzialmente la decisione. Accogliendo il ricorso dell’Università e del Policlinico, i giudici di secondo grado riducevano l’importo dovuto, escludendo dal computo proprio la retribuzione di posizione. La motivazione era netta: tale emolumento poteva essere riconosciuto solo se collegato all’effettivo svolgimento di un incarico direttivo/dirigenziale, incarico che il dipendente non aveva mai ottenuto.

Le Questioni Giuridiche Sottoposte alla Cassazione

Il dipendente ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su cinque motivi principali. Tra questi, spiccavano:
1. La tardività della contestazione sull’assenza dell’incarico dirigenziale, a suo dire non sollevata in primo grado.
2. La violazione del giudicato, sostenendo che una precedente sentenza avesse già riconosciuto il suo diritto in modo onnicomprensivo.
3. L’errata applicazione delle norme di legge e dei contratti collettivi, insistendo sulla necessità di includere la retribuzione di posizione per una corretta equiparazione.

Parallelamente, il Policlinico ha presentato un ricorso incidentale, contestando la propria legittimazione passiva e la mancata detrazione di altre somme percepite dal lavoratore.

L’analisi dell’indennità di perequazione da parte della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente sia il ricorso principale che quello incidentale, offrendo importanti chiarimenti sull’indennità di perequazione.

Il fulcro della decisione risiede nella natura della retribuzione di posizione. I giudici hanno confermato l’orientamento consolidato, anche delle Sezioni Unite, secondo cui l’intento perequativo della legge (in particolare dell’art. 31 del D.P.R. n. 761/1979) trova un limite logico e giuridico. L’equiparazione retributiva è automatica per le componenti del trattamento economico legate all’inquadramento contrattuale, ma non può estendersi a quegli emolumenti che sono erogati esclusivamente in correlazione al conferimento e all’effettivo svolgimento di specifici incarichi di responsabilità, come quelli dirigenziali.

La Corte ha specificato che voci come l’indennità di posizione (fissa e variabile), la graduazione delle funzioni, l’assegnazione di obiettivi e la valutazione dei risultati sono strettamente connesse alla funzione dirigenziale. Pertanto, riconoscere tali somme a chi non ha mai ricoperto un tale incarico snaturerebbe la finalità dell’istituto e creerebbe una disparità ingiustificata.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha smontato uno per uno i motivi del ricorso del dipendente. Ha chiarito che la prova dell’effettivo svolgimento di un incarico dirigenziale è un fatto costitutivo del diritto a percepire la relativa retribuzione, e quindi era onere del lavoratore dimostrarlo fin dall’inizio. Di conseguenza, la contestazione in appello da parte delle amministrazioni era pienamente legittima. È stato inoltre negato che vi fosse un precedente giudicato che coprisse specificamente tale voce retributiva. Sul ricorso incidentale, la Corte ha ribadito la consolidata giurisprudenza sulla legittimazione passiva solidale di Università e Policlinico, respingendo l’eccezione di difetto di legittimazione.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio di diritto fondamentale in materia di indennità di perequazione. Il meccanismo di equiparazione non è una trasposizione automatica e acritica di ogni singola voce retributiva del personale sanitario. È necessario distinguere tra trattamento fondamentale, legato alla qualifica, e trattamento accessorio, legato a specifiche funzioni. La retribuzione di posizione rientra in questa seconda categoria e spetta solo a fronte dell’effettivo espletamento di un incarico dirigenziale. Questa decisione fornisce un criterio chiaro per il calcolo dell’indennità, evitando estensioni indebite e garantendo che la perequazione avvenga nel rispetto della natura e della funzione di ciascun emolumento.

La retribuzione di posizione dei dirigenti sanitari spetta automaticamente al personale universitario in servizio presso i policlinici a titolo di indennità di perequazione?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la retribuzione di posizione, sia fissa che variabile, è strettamente collegata all’effettivo conferimento e svolgimento di un incarico dirigenziale. Non può essere inclusa automaticamente nell’indennità di perequazione se il dipendente universitario non ha mai ricoperto tale incarico.

L’Università e il Policlinico sono entrambi responsabili per il pagamento dell’indennità di perequazione?
Sì, la giurisprudenza consolidata afferma che sussiste una legittimazione passiva solidale e concorrente dell’azienda universitaria e dell’università. Entrambi gli enti sono tenuti al pagamento.

Una questione non contestata in primo grado può essere sollevata per la prima volta in appello?
La Corte ha ritenuto che la questione relativa all’effettivo svolgimento dell’incarico dirigenziale riguarda i fatti costitutivi del diritto all’emolumento. Pertanto, era onere del lavoratore provare tale circostanza sin dall’inizio. Le amministrazioni potevano legittimamente contestare in appello l’erronea inclusione di tale voce retributiva decisa dal giudice di primo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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