Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5137 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5137 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 34835/2018 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO con domicilio legale come da pec Registri di Giustizia;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t ., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t ., rappresentata e difesa dall’Avv ocatura generale dello Stato e domiciliata presso quest’ultima in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, n. 4 38/2018, pubblicata il 13 giugno 2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione contro il decreto ingiuntivo notificato da NOME COGNOME, il quale aveva chiesto la condanna al pagamento in suo favore dell’importo di € 9 3.749,77, a titolo di indennità ex art. 31 d.P.R. n. 761 del 1979 (c.d. Indennità De COGNOME), avvalendosi della sentenza n. 3770/2007, con la quale lo stesso giudice aveva riconosciuto il suo diritto, quale dipendente universitario con qualifica di funzionario tecnico ( ex VIII RAGIONE_SOCIALE universitario) in servizio presso il RAGIONE_SOCIALE, ad essere equiparato al personale ospedaliero del X RAGIONE_SOCIALE.
Contro lo stesso decreto ha proposto opposizione pure l’RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, riuniti i giudizi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2006/2015, ha condannato in solido le due amministrazioni a corrispondere € 79. 613,80.
RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE ha proposto appello.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello incidentale.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 438 /2018, ha accolto in parte l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE COGNOME. COGNOME, riducendo l’importo domandato dal dipendente in quanto ha ritenuto che l’indennità di posizione non dovesse essere inclusa in quella c.d. COGNOME.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 112, 115, 116, 345, 416 e 437 c.p.c. e 24 e 111 Cost. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’escludere dalle somme da riconoscergli ai fini della determi nazione dell’indennità c.d. COGNOME la retribuzione di posizione minima, parte fissa e variabile.
Infatti, l’appello proposto sul punto dall’RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato inammissibile perché fondato su una circostanza nuova, ossia la presunta assenza di incarichi dirigenziali, atteso che, in primo grado, la stessa RAGIONE_SOCIALE avrebbe semplicemente contestato in maniera generica il decisum inter partes .
La doglianza è infondata.
L ‘eccezione in senso stretto, la cui proposizione per la prima volta in appello è vietata dalla norma, consiste nella deduzione di un fatto impeditivo o estintivo del diritto vantato dalla controparte, laddove è mera difesa, come tale consentita, la contestazione dei fatti posti dall’altra pa rte a fondamento del suo diritto (Cass., Sez. 2, n. 14515 del 28 maggio 2019). In particolare, deve essere considerata non nuova la deduzione dell’appellante di infondatezza per mancanza di prova dell’avversa ragione di credito (Cass., Sez. 6-1, n. 23796 del 1° ottobre 2018).
Nella specie, la P.A. appellante si è limitata a prospettare in appello l’assenza di prova di uno RAGIONE_SOCIALE elementi costitutivi del credito del ricorrente, ossia l’attribuzione di un incarico dirigenziale, circostanza che impediva di considerare la retribuzione di posizione ai fini della quantificazione dell’indennità c.d. COGNOME.
Infatti, non può non tenersi conto che il ricorrente, nel chiedere la somma reclamata, aveva l’onere di allegare e dimostrare specificamente, nel corso del giudizio di primo grado, che i relativi presupposti si erano verificati. Ne consegue che, dovendosi formare davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE detta prova, la controparte ben poteva presentare le sue contestazioni sul punto in appello.
Con la seconda censura il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 194, 345 e 437 c.p.c. nonché 24 e 111 Cost. in quanto sarebbe stato inammissibile il motivo di appello dell’RAGIONE_SOCIALE con il quale essa aveva contestato il riconoscimento, in favore di esso ricorrente, della retribuzione di posizione minima, parte fissa e variabile.
La doglianza è respinta per gli stessi motivi per i quali è stato rigettato il primo motivo.
In aggiunta, si osserva che la decisione di appello ha affermato che le ragioni addotte dall’RAGIONE_SOCIALE a fondamento del suo gravame erano state già esposte nei rilievi critici alla relazione di consulenza e reiterate nei verbali di udienza successivi, senza che il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE si fosse pronunciato al riguardo.
Priva di rilievo è la considerazione del ricorrente che tali ragioni non sarebbero state enunciate, non avendo egli neppure riprodotto nel suo atto di impugnazione, a sostengo della sua affermazione, il contenuto delle osservazioni di controparte e dei verbali di udienza in esame.
Con il terzo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in quanto le modalità di equiparazione sarebbero state già decise dalla sentenza della Corte di cassazione, Sez. L, n. 15063 del 17 luglio 2015, la quale avrebbe indicato le modalità e le voci retributive per determinare l’indennità di perequazione riconosciuta.
La doglianza è inammissibile.
Innanzitutto, si rileva che il ricorrente contesta, nella sostanza, l’interpretazione data dalla corte territoriale alla sentenza della IV sezione civile della Corte di cassazione n. 15063 del 17 luglio 2015 e al giudicato ad essa correlato, che aveva riguardato il riconoscimento della c.d. indennità COGNOME in favore di NOME COGNOME.
Al riguardo, si osserva che l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass., Sez. L, n. 5508 dell’8 marzo 2018.
Nella specie, il ricorrente ha riportato solo tre righe della motivazione di detta sentenza, nessuna delle quali concernenti nel dettaglio la retribuzione di posizione, così impedendo a questa RAGIONE_SOCIALE ogni valutazione (per l’esattezza, recitano
Nel dettaglio, tali righe riproducono, poi, la parte finale del comma 1 dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, il che palesa come non abbiano contenuto decisorio, ma siano un semplice passaggio motivazionale inidoneo ad influenzare il presente giudizio.
Inoltre, deve considerarsi che il giudice di secondo grado ha espressamente affermato, alla pagina 6 della motivazione, che la ‘pronunzia n. 3770/2007, posta a base della richiesta di ingiunzione, e ormai passata in giudicato, ha espressamente riconosciuto il diritto del COGNOME , unitamente ad altri venti ricorrenti, alla indennità di cui all’art. 31 DPR 761/1979 nella misura occorrente per equiparare il trattamento economico complessivo a quello del personale delle RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE X’. Tale pronunzia (che è passata in giudicato proprio dopo la sentenza n. 15063 del 2015 della S.C.) non contiene, quindi, riferimenti all’indennità di posizione e, soprattutto, è stata qualificata dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con statuizione non impugnata, come semplice ‘condanna generica’, senza ulteriori precisazioni in ordine alla presenza nella stessa di un accertamento circa l’effettivo avveramento del danno, il che rende non prospettabile che possa contenere statuizioni definitive in ordine al quantum del risarcimento.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e RAGIONE_SOCIALE artt. 99, 112, 325, 327, 334, 343, 346 e 347 c.p.c. sui punti oggetto di appello incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE, in quanto la corte territoriale non avrebbe considerato che le due amministrazioni convenute erano coobbligate solidali, con la conseguenza che sarebbero venute in rilievo cause scindibili.
Per l’esattezza, l’appello incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe contenuto alcuna contestazione del capo della sentenza di prime cure relativo al riconoscimento dell’indennità di retribuzione, parte fissa e variabile.
Pertanto, la decisione del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui condannava l’RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe dovuto essere riformata in appello.
La doglianza è infondata poiché, dalla lettura delle conclusioni dell’RAGIONE_SOCIALE, come riportate a pagina 5 della sentenza di
appello, si evince che questa aveva negato la propria legittimazione passiva e che, nel merito, si era riportata ai motivi di impugnazione proposti dall’RAGIONE_SOCIALE – la quale aveva censurato specificamente il riconoscimento al ricorrente della retribuzione di posizione -, chiedendo la riforma della decisione del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Ne deriva che l ‘opposizione a lla pretesa del lavoratore era totale e completa e che l’RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la modifica della sentenza di primo grado.
Non ignora questo Collegio l’esistenza del precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 6794 del 19 marzo 2018 (al quale si affianca Cass., Sez. L, n. 5387 del 7 marzo 2018, entrambe non massimate), ma se ne ravvisa la non pertinenza nella specie.
Infatti, nel giudizio del 2018 veniva in esame un atto di costituzione, notificato dall’RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE e al dipendente interessato, nel termine previsto dall’art. 370, comma 1, c.p.c., che si era limitato ad aderire alle ‘critiche svolte dall’ RAGIONE_SOCIALE ricorrente al ragionamento dei giudici territoriali’, concludendo per l’annullamento della sentenza ‘in accoglimento del ricorso principale’.
Non era stato, quindi, possibile qualificare l’atto come controricorso e ricorso incidentale perché, a tal fine, era necessario, ‘per il principio della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo – che esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c. in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza, specificamente prevista dal n. 4 dell’ art. 366 c.p.c.’. (Cass., SU, n. 25045 del 7 dicembre 2016). Detta richiesta doveva essere correlata all’impugnazione incidentale e non al ricorso principale perché, in quest’ultima ipotesi, l’atto assolve ad una funzione meramente adesiva, che nelle cause scindibili, attesa l’autonomia dei rapporti
processuali, non sarebbe sufficiente ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del litisconsorte non impugnante.
Pertanto, è una vicenda distinta da quella in discussione, ove, dalla lettura della sentenza di appello, si evince che il gravame incidentale era diretto contro la decisione del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, della quale chiedeva la riforma, persino con esclusione totale della responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE e che, quindi, non era in esame un atto meramente adesivo all’impugnazione principale .
5) Con il quinto motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 31 del d.P.R. n. 761 del 2019, 39 del CCNL del 5 dicembre 1996, quadriennio 1994-1997, 35, comma 1, lett. a), 39 e 40 CCNL dirigenza area III 1998-2001, 33, comma 1, lett. a), CCNL dirigenza area III 2002-2005 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la debenza, in suo favore, della retribuzione di posizione minima, non avendo egli dato prova dello svolgimento dell’incarico di dirigente. In particolare, la sentenza delle SU n. 9279 del 9 maggio 2016, che aveva escluso la retribuzione di posizione dal computo per la determinazione dell’indennità COGNOME, aveva avuto ad oggetto l’art. 39 del CCNL 5 dicembre 1996, mentre, nella specie, avrebbe ass unto rilievo l’art. 35 del CCNL 1998/2001, che non prevedeva più, come in passato, un’unica retribuzione di posizione,
La doglianza è infondata.
Preliminarmente, occorre ricostruire, alla stregua dei precedenti giurisprudenziali di questa S.C., chiamata più volte ad affrontare analoghe questioni di diritto (in particolare, Sezioni Unite n. 9279 del 9 maggio 2016 e Sezioni Unite n. 8521 del 29 maggi o 2012), l’assetto normativo vigente in materia.
La legge n. 213 del 1971 ha stabilito all’art. 4 che al personale docente in servizio presso cliniche ed istituti universitari convenzionati con il RAGIONE_SOCIALE, gestiti dalle università, fosse attribuita un’indennità
economica tale da equiparare il trattamento economico a quello in godimento del personale ospedaliero di pari funzioni, mansioni ed anzianità (c.d. indennità COGNOME).
L’art. 1 della legge n. 200 del 1974 ha esteso tale indennità al personale non medico (c.d. indennità piccola COGNOME).
L’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (avente ad oggetto lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) ha stabilito che ‘al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta un’indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità’ (comma 1); ha previsto, altresì, che il personale universitario assumesse diritti e doveri pari a quelli del personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui all’art. 39 della legge n. 833 del 1978, e che, “tenuto conto RAGIONE_SOCIALE obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico, nei predetti schemi sarà stab ilita in apposite tabelle l’equiparazione del personale universitario a quello delle unità sanitarie locali ai fini della corresponsione della indennità di cui al comma 1″ (comma 4).
Il d.i. 9 novembre 1982, recante l’approvazione RAGIONE_SOCIALE schemi tipo di convenzione tra regione e università e tra università e unità sanitaria locale, ha stabilito, poi, che, per il personale universitario non medico, la corrispondenza con quello in servizio presso le unità sanitarie locali avvenisse secondo le indicazioni contenute nell’allegata tabella D (art. 7).
Le disposizioni dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 hanno conservato la loro vigenza anche successivamente alla privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico ed all’entrata in vigore del d.lgs. n. 165 del 2001, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Difatti, l’art. 53 del CCNL 1994 -1997 per il personale dell’RAGIONE_SOCIALE ha confermato l’applicabilità dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 ‘fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50…’.
A detto art. 53 è stato successivamente aggiunto, in data 25 marzo 1997, un comma 3 in virtù del quale le parti si sono impegnate alla ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e quello del personale d el SSN, al fine di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio RAGIONE_SOCIALE e l’inserimento delle nuove figure professionali; nelle more, le parti si sono date atto che venivano conservate le indennità di cui all’art. 31 del d.lgs. n. 761 del 1979.
Solo con il CCNL 2002-2005 (sottoscritto il 27 gennaio 2005) è stata elaborata una tabella unica nella quale il personale universitario in servizio presso le RAGIONE_SOCIALE è stato inquadrato per fasce, sulla base delle categorie professionali ed economiche in atto nel SSN (art. 28 tab. A).
Dalla data della sottoscrizione di questo contratto l’indennità di cui all’art. 31 è corrisposta sulla base delle nuove corrispondenze indicate dalla tabella.
Sulla base di queste disposizioni contrattuali, si è ritenuto che l’art. 53 cit. avesse congelato provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto e che tale assetto fosse stato ribadito dall’art. 51 del CCNL 1998 -2001, con la conseguenza che l’art. 31 del d.P.R. n.761 del 1979 continuava ad applicarsi transitoriamente.
Ad avviso della giurisprudenza di questa Corte è dunque direttamente all’art. 31 che deve farsi riferimento per determinare i parametri di attribuzione dell’indennità perequativa nei periodi precedenti il CCNL del 2005 ed è alla tabella all. D al decreto interministeriale 9 novembre 82, recante gli schemi tipo di convenzione, che deve farsi ulteriore riferimento per quel che riguarda il criterio di equiparazione.
Come affermato dalle sentenze delle Sezioni unite n. 8521 del 29 maggio 2012 e n. 9279 del 9 maggio 2016, tale equiparazione fra le qualifiche non ha carattere rigido, bensì dinamico e deve essere riferita anche ai
mutamenti apportati all’inquadramento del personale, universitario e RAGIONE_SOCIALE, dai contratti collettivi.
In sintesi, anche dopo la privatizzazione del pubblico impiego, l’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 ha conservato la sua efficacia per effetto della contrattazione collettiva sino all’entrata in vigore dell’art. 28 del CCNL 27 gennaio 2005 per il personale del comparto università (quadriennio 20022005).
La fonte dell’equiparazione deve essere individuata nella tabella allegata al d.i. 9 novembre 1982, norma che pone in automatica correlazione – ai soli fini economici – le qualifiche RAGIONE_SOCIALE e quelle RAGIONE_SOCIALE, prescindendo dal concreto esercizio delle mansioni corrispondenti e dal possesso del titolo di studio necessario per il loro effettivo svolgimento. Il meccanismo di equiparazione delle retribuzioni tra il personale universitario e quello RAGIONE_SOCIALE ha carattere dinamico, tale per cui il mutamento di una delle originarie qualifiche che comporti effetti sulla retribuzione ripercuote automaticamente i suoi effetti anche sull’altra.
L’art. 28 del menzionato CCNL 27 gennaio 2005 dispone, al comma 6, che ‘Sono fatte salve, con il conseguente inserimento nella colonna A della precedente tabella, le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L.’ e, al comma 7, che ‘I benefici economici derivanti dall’applicazione dell’art. 51, comma 4, ultimo capoverso del C.C.N.L. 9 agosto 2000 e art. 5, comma 3, del C.C.N.L. 13 maggio 2003, sono conservati «ad personam», salvo eventuale successivo riassorbimento’.
Ciò posto, si rileva che non è più contestato il diritto del ricorrente ad ottenere la c.d. indennità COGNOME nella misura occorrente per equiparare il suo trattamento economico complessivo a quello del personale USL di RAGIONE_SOCIALE X.
In ordine al trattamento a lui spettante, occorre chiarire, però, che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9279 del 9 maggio 2016, hanno avuto
modo di precisare che, nell’ambito della indennità di perequazione non possono essere inclusi automaticamente gli emolumenti che presuppongono o sono collegati all’effettivo conferimento di un incarico direttivo.
Le Sezioni Unite, riferendosi specificamente alla questione della inclusione nell’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (‘indennità COGNOME‘) dell’indennità di posizione dei dirig enti del comparto sanità (oggetto della presente lite), nell’affermare che tale trattamento può essere riconosciuto soltanto se collegato all’effettivo conferimento di un incarico direttivo, hanno tra l’altro -osservato che l’art. 31, in precedenza cita to, che vincola la corresponsione della c.d. indennità COGNOME all’equiparazione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, contempla un presupposto che induce ad escludere l’applicazione di un’equiparazione automatica delle retribuzioni estesa anche ad indennità spettanti unicamente in relazione al conferimento di incarichi specifici. In altre parole, l’intento perequativo del trattamento economico del personale universitario rispetto a quello del personale RAGIONE_SOCIALE, che costituisce la ratio legis dell’art. 31 e che viene realizzato con la previsione di una indennità (appunto perequativa) che fa riferimento al trattamento complessivo spettante ai dipendenti del SSN e che si applica in modo sostanzialmente automatico trova un limite logico, oltre che giuridico, in quelle componenti del trattamento economico complessivo del personale RAGIONE_SOCIALE che non dipendono direttamente ed esclusivamente dall’inquadramento contrattuale, ma sono erogate in correlazione al conferimento di incarichi come quello dirigenziale.
Questo approccio è stato coerentemente ribadito anche in seguito dalla S.C., la quale ha ancora affermato che l’ indennità c.d. COGNOME deve essere determinata, in caso di equiparazione tra l’originario VIII RAGIONE_SOCIALE di cui alla legge n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE) e il IX RAGIONE_SOCIALE, poi divenuto 1° RAGIONE_SOCIALE dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri), senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di
posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018).
Pertanto, deve ritenersi che sia ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale per il quale l’indennità di posizione dei dirigenti del comparto sanità può essere riconosciuta soltanto se vi è stato un effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016; Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018).
In particolare, è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità che l’indennità c.d. COGNOME opera ai soli fini retributivi e senza che debbano confluire in modo automatico nell’indennità di perequazione tutte le voci che, secondo la previsione delle parti collettive, compongono la «struttura della retribuzione della qualifica unica di dirigente».
Infatti, a fronte dell’evoluzione RAGIONE_SOCIALE inquadramenti e RAGIONE_SOCIALE istituti contrattuali qui denunciati dal ricorrente, occorre tenere conto della ratio dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1971 che, in quanto finalizzata a perequare i dipendenti «a parità di mansioni, funzioni e anzianità», porta necessariamente a distinguere il trattamento tabellare dagli ulteriori emolumenti che, come l’indennità di posi zione, parte fissa e variabile, risultano strettamente collegati al conferimento di un incarico direttivo», secondo le regole proprie del rapporto dirigenziale (graduazione delle funzioni, assegnazione obiettivi, valutazione dei risultati, etc.: in questo senso, Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, sulla scia di Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016 e, poi, seguita da Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018).
La menzionata evoluzione della disciplina contrattuale dell’indennità di posizione e l’innegabile distinzione fra trattamento fondamentale e trattamento accessorio riservato ai dirigenti non valgono a confutare i principi affermati dalla citata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, fondati principalmente sulla necessità di tenere conto, nell’applicazione delle tabelle di comparazione, non solo del carattere
dinamico e non statico delle stesse, ma anche delle finalità perseguite dalla norma perequativa, che, quanto alla individuazione delle singole voci, porta a distinguere quelle finalizzate a compensare, a prescindere dall’incarico in concreto ricoperto, la professionalità propria del dipendente (rispetto alla quale la successiva evoluzione contrattuale non fa venir meno l’originario giudizio di equiparazione espresso nella tabella), da quelle strettamente connesse allo svolgimento della funzione dirigenziale, fra le quali si iscrive la retribuzione di posizione, pure nella parte fissa e non solo in quella varabile (Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, e Cass., Sez. L, n. 28295 del 28 settembre 2022, in motivazione).
Non meritano di essere condivise, quindi, le ragioni addotte dal ricorrente per chiedere di ritenere superato da questo Collegio il precedente rappresentato da Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016 o di investire nuovamente della problematica de qua le Sezioni Unite.
In particolare, non ha pregio il contenuto delle note depositate dal ricorrente il 29 maggio 2023 a sostegno della sua tesi, per la quale la retribuzione di posizione minima unificata domandata nel l’attuale giudizio sarebbe una voce del trattamento fondamentale, per tale motivo da erogare a prescindere da ll’attribuzione di qualsivoglia incarico dirigenziale.
Il ricorrente menziona, in dette note, la clausola interpretativa ARAN/ OO.SS. del 12 gennaio 2021, resa ex art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 in un procedimento analogo al presente, la quale precisa che la retribuzione di posizione minima, regolata dall’art. 33 del CCNL del 2005, quale parte del trattamento fondamentale, spetterebbe al dirigente a prescindere dall’incarico.
Sarebbe stato chiarito, con riferimento alla posizione di un dirigente equiparato ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, che ‘ l’art. 33 comma 1, lett. a, n. 4, del CCNL dell’area III del 3.11.2005, parte normativa quadriennio 2002-2005 -parte economica biennio 2002-2003, con riferimento agli ex moduli funzionali DPR 384/1990, sanitari, va interpretata nel senso che la retribuzione di posizione minima unificata, che rientra nel
trattamento fondamentale, è riconosciuta ed erogata anche al dirigente RAGIONE_SOCIALE ex modulo funzionale DPR 384/1990 che non sia titolare di alcun incarico, a condizione che i relativi oneri siano sostenuti a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE ‘ .
Si tratta di una previsione che, però, non incide sulla presente decisione, atteso che essa si riferisce ai dirigenti sanitari del SSN la cui retribuzione di posizione minima sia a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE.
Nella specie, invece, viene in questione la posizione di un dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE solo ‘strutturato’ nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il quale non ricopre la qualifica di dirigente del detto RAGIONE_SOCIALE; inoltre, ai sensi dell’art. 31 , comma 2, del d.P.R. n. 761 del 1979, le somme necessarie per la corresponsione dell ‘ indennità di cui al comma 1 dell’appena citato art. 31 presente articolo sono a carico dei fondi assegnati alle regioni ai sensi dell’art. 51 della legge n. 833 del 1 978 e sono versate, con le modalità previste dalle convenzioni, dalle Regioni alle RAGIONE_SOCIALE.
6) Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite sono compensate, sussistendo valide ragioni in quanto la giurisprudenza in materia non era ancora consolidata all’epoca di proposizione del ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
compensa le spese di lite;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza, a carico del ricorrente, dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il