Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8868 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2193/2019 r.g. proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che li rappresentano e difendono giusta procura speciale stesa in calce al ricorso.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del dirigente della direzione patrimonio del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, come da procura allegata alla memoria di costituzione di nuovo difensore, autorizzato a stare in giudizio con provvedimento del dirigente dell’avvocatura civica, ra ppresentato e difeso, dall’AVV_NOTAIO , in sostituzione degli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, cui è stato revocato il mandato in
quanto non più dipendenti del RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’ AVV_NOTAIO.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 2489/2018, depositata in data 29 ottobre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/3/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO ;
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione notificato in data 2/2/87 NOME COGNOME e NOME COGNOME deducevano di aver subito un danno ai propri immobili a causa dell’occupazione illegittima da parte del RAGIONE_SOCIALE di Siena che aveva provveduto all’espropriazione dopo lo spirare del termine di validità dell’occupazione di urgenza, chiedendo la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti, sia per la perdita di una porzione del terreno (resede), di minima entità (circa mq. 273,31), trasformato irreversibilmente ed acquisito, in assenza del decreto di esproprio, sia per il danno ai beni residui rimasti nella proprietà, sia per i danni agli immobili (fessurazioni e lesioni) causati dall’impossibilità di interventi di manutenzione.
In particolare, per quel che ancora qui rileva, gli attori richiedevano ulteriori danni cagionati agli immobili per effetto delle opere di sbancamento poste in essere nel vallo, oltre all’indennizzo per l’occupazione legittima.
Il tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza non definitiva n. 746 del 1/7/13 accertava, per quel che ancora qui rileva, la competenza della Corte d’appello in unico grado in merito alla domanda relativa alla richiesta di indennità per l’occupazione legittima, rigettando la pretesa risarcitoria degli attori in merito alle lesioni subite
dall’edificio di loro proprietà a seguito dello sbancamento dei terreni. Rigettava anche la domanda degli attori «per la rovina dell’edificio che sarebbe derivata dalla impossibilità di provvedere alla manutenzione dello stesso a causa del vincolo di indisponibilità».
La causa proseguiva per la determinazione dei danni subiti a causa della apprensione definitiva della minima porzione di terreno (resede) e per la soppressione dell’impianto fognario dell’edificio per effetto dello sbancamento per la realizzazione dell’opera pubblica.
Con successiva sentenza definitiva n. 952 del 26/6/14 il tribunale di RAGIONE_SOCIALE condannava il RAGIONE_SOCIALE al risarcimento solo di taluni danni subiti dagli attori:1) quello relativo alla perdita del «lembo del terreno costituente il resede a servizio dell’edificio rimasto in proprietà degli attori, in forza dell’avvenuta, irreversibile destinazione di questo l’opera pubblica»; 2) il danno per il deprezzamento dell’immobile ancora di proprietà COGNOME; 3) il danno rappresentato dai costi per il ripristino della fognatura soppressa per effetto dei lavori posti in essere dal RAGIONE_SOCIALE.
Avverso le due sentenze proponevano appello gli attori deducendo: 1) l’erroneità della decisione nella parte in cui ha affermato che il RAGIONE_SOCIALE aveva occupato solo ed esclusivamente l’area di mq. 273,31; 2) erroneità della decisione nella parte in cui «ha ritenuto che l’indennità per l’occupazione legittima dei suoli appartiene alla competenza della Corte di appello in grado unico ex art. 19 e 20 della legge 865 del 1971», non avendo il RAGIONE_SOCIALE effettuato o fatto pervenire ai proprietari alcuna stima o determinazione dell’indennità; 3) erroneità della sentenza nella parte in cui era stata rigettata la domanda di risarcimento dei danni relativi alle lesioni subite dall’edificio quale conseguenza dello sbancamento; 4) erroneità della sentenza in quanto, avendo ritenuto che l’occupazione aveva riguardato solo il lembo di terreno
destinato a ‘resede’ del fabbricato, l’occupazione doveva essere qualificata come usurpativa, «perché il terreno inserito nel verbale di occupazione, non era indicato nel piano parcellare e nella dichiarazione di pubblica utilità »; 5) erroneità della decisione per avere la sentenza ignorato numerose voci di danno.
5. La Corte d’appello di Firenze, che ha rigettato integralmente l’appello, con riferimento al primo motivo di gravame, evidenziava che l’unica superficie occupata era costituita dal lembo di terreno di mq. 273,31, come emergeva dal verbale di occupazione, sia pure privo di requisiti formali (mancando le sottoscrizioni dei proprietari e dei testimoni), ma costituente principio di prova in ordine all’effettiva apprensione dei suoli.
Inoltre, dovevano essere adeguatamente considerate le deposizioni del teste COGNOME, con riferimento all’oggetto della ‘presa di possesso’ nel verbale di consistenza, limitato soltanto alla striscia di terreno (resede) di mq. 273,21, e del teste NOME COGNOME, tecnico della parte attrice, il quale aveva riferito che «gli appartamenti erano arredati e occupati da soggetti che vi abitavano stabilmente».
Inoltre, per il giudice d’appello «tale situazione è perdurata anche oltre nel tempo posto che nel febbraio del 2005 il comando della polizia municipale di RAGIONE_SOCIALE accertava che gran parte degli appartamenti dei signori COGNOME erano in affitto a studenti».
Tra l’altro, il primo CTU, AVV_NOTAIO, nominato nel DATA_NASCITA, aveva chiarito che l’indicazione delle ulteriori particelle contenute sia nel verbale di occupazione del 25/6/79, sia nel piano parcellare, sia nell’ordinanza che autorizzava l’occupazione, era solo ed esclusivamente funzionale ad indicare quale era la particella effettivamente da espropriare.
Per il CTU «trattandosi di una particella graffiata (la graffa è un segno che collega una superficie edificata con una superficie scoperta ed indica che sulla superficie edificata e sulla superficie scoperta, che di fatto costituiscono una sola particella catastale con un solo numero, insistono gli stessi diritti reali) era indispensabile la indicazione delle particelle ad essa collegate perché di fatto particella unica».
Con riferimento al secondo motivo di gravame, la Corte territoriale lo reputava infondato, in quanto gli attori-appellanti avrebbero potuto chiedere alla Corte, non in veste di giudice del gravame, ma «quale giudice di primo grado», proponendo la relativa domanda nel contesto dell’atto d’appello, di determinare l’indennità di occupazione legittima. Tale domanda, però, gli attori non avevano proposto avendo adito la Corte d’appello solo quale giudice dell’impugnazione e quindi solo per la riforma della statuizione della sentenza di primo grado con cui il tribunale erroneamente si era dichiarato incompetente in via funzionale su tale domanda.
In ordine al terzo motivo di gravame, la Corte territoriale escludeva, sulla base della CTU COGNOMEAVV_NOTAIO, ogni nesso di derivazione eziologica tra le lesioni riscontrate sul fabbricato degli attori e le opere di sbancamento effettuate dal RAGIONE_SOCIALE. Del resto, il CTU di prime cure, AVV_NOTAIO, aveva affermato che «le fessurazioni erano presenti negli immobili di parte attrice in epoca antecedente all’avvenuto sbancamento».
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controdeduzioni il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione e falsa applicazione delle norme di diritto (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), relativamente alla parte della sentenza che ha respinto la domanda relativa all’indennità di occupazione legittima dei suoli».
In particolare, era errata la sentenza d’appello nella parte in cui affermava sussistere la propria competenza «per la domanda relativa all’indennità di occupazione legittima dei suoli, non come giudice del gravame ma quale giudice unico competente per materia ex articoli 19 e 20 della legge n. 865 del 1971».
1.2. Il motivo è fondato.
È pacifico che gli attori abbiano chiesto, sin dall’atto di citazione del 1987, anche l’indennizzo da occupazione legittima del terreno, oltre al risarcimento dei danni da occupazione illegittima (cfr. pagina 3 della sentenza di appello «infine si invocava la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle indennità per tutta la durata dell’occupazione legittima dei suoli»).
Risulta, poi, dagli atti processuali che il tribunale di prime cure si è dichiarato incompetente su tale domanda, che avrebbe dovuto essere proposta dinanzi alla Corte d’appello in unico grado (cfr. pagina 3 della sentenza di appello «con la suddetta sentenza il tribunale […[ ha affermato la competenza della Corte di appello in unico grado in merito alla domanda relativa alla richiesta di indennità per l’occupazione legittima»).
In sede d’appello, gli attori hanno chiesto alla Corte d’appello di accertare l’indennizzo da occupazione legittima dei suoli, dolendosi anche dell’erronea decisione del tribunale di prime cure (cfr. pagina 6 della sentenza d’appello «erroneità della decisione nella parte in cui ha ritenuto che l’indennità per l’occupazione legittima dei suoli appartiene alla competenza della Corte di appello in grado unico ex
art. 19 e 20 della legge 865/1971, perché i predetti articoli si riferiscono solo al caso in cui il privato proponga opposizione alla stima dell’ufficio tecnico erariale, mentre nel caso in esame il RAGIONE_SOCIALE non aveva effettuato o fatto pervenire ai proprietari alcuna stima o determinazione dell’indennità e quindi il giudice di primo grado ben poteva decidere sulla relativa domanda»).
In realtà, in un caso simile a quello qui in trattazione, questa Corte (Cass., sez. 1, 9 dicembre 2021, n. 39145) ha giudicato della domanda proposta dall’attore, per indennità per occupazione legittima, con l’atto di impugnazione della sentenza di primo grado in tema di risarcimento del danno da occupazione invertita.
Si trattava, comunque, di un ricorso per revocazione avverso una sentenza della Corte di cassazione ex art. 391bis c.p.c., con la quale si era ritenuto inammissibile il motivo di ricorso perché la ricorrente non aveva indicato quando e come avesse proposto nel giudizio la domanda volta a vedersi riconoscere l’indennità di occupazione legittima, non ricompresa nella generica domanda risarcitoria avanzata in primo grado.
Tuttavia, tale domanda risultava inserita nell’atto di appello volto a impugnare la statuizione di primo grado, in regime di cumulo oggettivo ex art. 104 c.p.c.
Precisa questa Corte che «né potrebbe dubitarsi dell’ammissibilità dell’introduzione di siffatta domanda, soggetta alla competenza funzionale in unico grado della Corte di appello, in via di cumulo con l’ordinaria impugnazione della sentenza di primo grado resa dal tribunale» (Cass., sez. 1, 9 dicembre 2021, n. 39145).
Si è chiarito che la speciale competenza in unico grado della Corte di appello, prevista dagli articoli 19 e 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 365, è limitata esclusivamente alle domande di opposizione
alla stima dell’indennità di espropriazione e delle indennità di occupazione legittima, e non può estendersi ad altre domande, che pur vi possono essere connesse, le quali vanno devolute secondo gli ordinari criteri di competenza; a tale speciale competenza rimangono pertanto estranee la domanda di risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima o altre domande risarcitorie proposte dal titolare del fondo espropriato, per le quali non è prevista alcuna deroga alla competenza ordinaria, senza che sia possibile il cumulo soggettivo, nello stesso procedimento innanzi alla Corte di appello, di queste ultime domande con quelle di opposizione alla stima, poiché ciò si risolverebbe in una eliminazione del doppio grado di giurisdizione con l’estensione di una competenza eccezionale, quale è quella della Corte di appello al di fuori dell’ambito tassativamente previsto (si richiamano Cass., sez. 1, 30 novembre 1988, n. 6492; Cass., sez. 1, 11 febbraio 1987, n. 1480).
Tuttavia, tali affermazioni si riferiscono all’ipotesi in cui il cumulo venga introdotto indebitamente dinanzi alla Corte d’appello, senza la preventiva proposizione della domanda al giudice di primo grado per quelle domande per cui è previsto il doppio grado di giurisdizione di merito; in tal modo la Corte d’appello viene investita di domande per cui è competente in unico grado e di altre per cui sarebbe competente quale giudice di appello, così eliminando indebitamente per queste ultime un grado di cognizione.
Si è quindi precisato che «tale principio non può valere nell’ipotesi inversa -qui realizzatasi – in cui la domanda in unico grado venga accumulata dinanzi alla Corte di appello con il giudizio di impugnazione della pronuncia resa in primo grado dal giudice a ciò competente, perché evidentemente in tale ipotesi non è affatto compromesso alcun grado di cognizione sul merito»
2.1. Del resto, già in precedenza si è affermato che qualora il tribunale, in un giudizio di risarcimento del danno per occupazione appropriativa, abbia proceduto anche alla determinazione dell’indennità di occupazione temporanea legittima, pur non essendo competente in materia, la Corte d’appello, dinanzi alla quale la sentenza sia stata impugnata anche per altre ragioni, può, in quanto giudice funzionalmente competente a liquidarla in unico grado, ex art. 20 della legge n. 865 del 1971, confermare la stima dell’indennità effettuata dalla decisione di primo grado, a fronte di espressa richiesta dell’espropriato (Cass., sez. 1, 9 febbraio 2016, n. 2533).
In presenza, della domanda dell’interessato, il quale chiede che si proceda ex novo alla determinazione dell’indennità per occupazione legittima, la Corte d’appello deve provvedere in tale qualità sulla richiesta.
In quest’ultima fattispecie (trattata nella sentenza di questa Corte n. 2533 del 2016, cit.), peraltro, il tribunale di prime cure aveva rilevato, con la sentenza non definitiva, la propria incompetenza in ordine alla domanda, pure avanzata dall’attore, di determinazione dell’indennità relativa al periodo di occupazione legittima, per essere competente la Corte d’appello in unico grado. Lo stesso tribunale, però, con la sentenza definitiva aveva accolto la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima presentata dall’attore.
La Corte d’appello, invece, aveva accolto il motivo di gravame proposto dalla controparte, la quale aveva chiesto dichiararsi l’illegittimità della statuizione in quanto riservata alla competenza funzionale della Corte di appello.
L’attore, quindi, aveva dedotto in cassazione che la Corte d’appello, oltre a rilevare l’incompetenza funzionale del giudice di
primo grado, avrebbe dovuto in ogni caso, essendo stata ritualmente formulata la relativa richiesta, determinare l’indennità di occupazione.
Tale censura è stata accolta dalla Corte di cassazione, in quanto la Corte d’appello avrebbe dovuto «in presenza di rituale richiesta avanzata (come emerge dalla stessa intestazione della sentenza impugnata), provvedere al riguardo, come giudice competente in unico grado».
2.2. Ora, è vero che nelle conclusioni dell’atto di appello formulata dagli attori non si rinviene una specifica domanda di determinazione dell’occupazione legittima, tuttavia, nel corpo del gravame, viene contestata in modo chiaro «l’erroneità della decisione nella parte in cui ha ritenuto che l’indennità per l’occupazione legittima dei suoli appartiene alla competenza della Corte di appello in grado unico perché i predetti articoli si riferiscono solo al caso in cui il privato proponga opposizione alla stima dell’ufficio tecnico erariale, mentre nel caso in esame il RAGIONE_SOCIALE non aveva effettuato o fatto pervenire ai proprietari alcuna stima o determinazione dell’indennità e quindi il giudice di primo grado ben poteva decidere sulla relativa domanda», facendosi intendere che analogo potere di decisione spettava proprio alla Corte d’appello.
Del resto nelle conclusioni dell’atto d’appello degli attori, al punto VIII, vi è una generica richiesta di «condannare l’amministrazione convenuta alla rifusione di tutti i danni, i pregiudizi, gli oneri e le spese patiti e patiendi per il complesso delle causali esposte ed illustrate», con un richiamo complessivo alle argomentazioni contenute nell’atto d’appello.
2.3. Insomma, gli attori, sin dal primo grado di giudizio e, successivamente, con il gravame hanno sempre chiesto la
liquidazione dell’indennizzo da occupazione legittima, sicché la Corte di appello, quale giudice dell’impugnazione, anche in assenza di una specifica istanza, avrebbe dovuto procedere all’esame della domanda relativa alla richiesta di indennizzo da occupazione legittima.
2.4. Tanto più che il primo giudice si era dichiarato incompetente a decidere su tale domanda, sussistendo la competenza funzionale in unico grado della Corte di appello, mentre i ricorrenti con l’atto di appello avevano chiesto anche di riconoscere la competenza del tribunale.
Tuttavia, è costante la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che l’erronea dichiarazione di incompetenza da parte del giudice di primo grado non rientra fra le ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., poiché il terzo comma del menzionato articolo, che quella rimessione prevedeva nel solo caso in cui il pretore, in riforma della sentenza del conciliatore, avesse dichiarato la competenza, è stato esplicitamente abrogato, a decorrere dal 1 ° gennaio 1993, dall’art. 89 della legge 26 novembre 1990, n. 353 (Cass., sez. 3, 21 maggio 2010, n. 12455).
Pertanto, quando il giudice di appello ritenga errata la pronunzia di incompetenza emessa dal giudice di primo grado, deve decidere la causa nel merito e, nel caso in cui la sentenza di secondo grado sia cassata, la Corte di cassazione deve rinviare la causa al giudice di appello, restando esclusa la possibilità di rinviare la causa al giudice di primo grado (Cass., n. 12455 del 2010, cit.).
Se la censura avverso la declinatoria di competenza del primo giudice è infondata, deve decidere il giudice di appello, in conseguenza dell’effetto devolutivo del gravame; mentre se è fondata la censura relativa alla declaratoria di competenza, non
ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione al primo giudice, ex artt. 353 e 354 c.p.c., il giudice di appello, previa declaratoria della nullità della sentenza di primo grado per erronea declaratoria della competenza, deve, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello, decidere nel merito quale giudice d’appello (Cass., sez. 6-2, 17 dicembre 2019, n. 33456; Cass., sez. 3, 24 marzo 2016, n. 5887; Cass., sez. 6-3, 2 luglio 2015, n. 13623).
2.5. Tanto più che l’art. 353 c.p.c. è stato abrogato dall’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, applicabile però solo alle impugnazioni proposte avverso le sentenze depositate successivamente al 28 febbraio 2023, nel solco del rispetto dell’economia processuale e della riduzione dei tempi del processo, in quanto la rimessione al primo giudice, per ragioni di giurisdizione, comporta un notevole allungamento del processo.
Per la medesima ragione è stato modificato anche l’art. 354 c.p.c., con l’eliminazione dell’ipotesi di rimessione al primo giudice in caso di erronea declaratoria di estinzione del processo di primo grado.
2.6. Non vi è, dunque, contrasto con il precedente orientamento di questa Corte (che resta confermato) per cui, ove vi sia comunque istanza della parte, la Corte di appello può esaminare la domanda di indennizzo da occupazione legittima.
Si aggiunge soltanto, a tale orientamento, che la Corte di appello, competente in unico grado in via funzionale sulla domanda di indennizzo da occupazione legittima, se adita in sede di impugnazione per tale domanda, a seguito di declaratoria di incompetenza del giudice di prime cure, deve decidere nel merito, in ossequio ai principi di ragionevole durata del processo e di economia processuale.
Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) circa il mancato riconoscimento del diritto di risarcimento derivato dall’indisponibilità giuridica e materiale dei beni da parte dei proprietari».
La pronuncia della Corte d’appello sarebbe errata nella parte in cui, nel negare il diritto di risarcimento derivato dall’indisponibilità giuridica e materiale dei beni da parte dei proprietari, ha affermato che gli immobili sarebbero sempre stati occupati ed affittati a terzi. Il ragionamento della Corte d’appello si sarebbe basato sull’unico elemento costituito dall’accertamento compiuto dalla polizia municipale nel febbraio del 2005.
In realtà, la Corte d’appello, non avrebbe tenuto conto che l’impossibilità di sfruttare gli immobili si era verificata già a partire dal 1975 ed era continuata sino al 2001, data di entrata in vigore del nuovo piano regolatore generale del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, che aveva liberato gli immobili dal precedente vincolo di destinazione.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, il motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., è stato articolato nella declinazione previgente a quella applicabile nella specie.
Infatti, per questa Corte la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alle sentenze depositate a partire dall’11 settembre 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez.un., 7 aprile 2014, n. 8053); con la precisazione che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez.un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Nella specie, i ricorrenti si sono limitati a dedurre del tutto genericamente il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione.
Tra l’altro, quanto alla indisponibilità giuridica e materiale dei beni da parte dei proprietari, la Corte d’appello non ha utilizzato solo l’accertamento del comando di polizia municipale del febbraio 2005, anzi si legge in motivazione che tale elemento è stato indicato per ultimo, a corroborare la permanenza dei beni nella disponibilità degli attori anche negli anni successivi al verbale di consistenza («tale situazione è perdurata anche oltre nel tempo posto che nel febbraio del 2005 il comando della polizia municipale di RAGIONE_SOCIALE accertava che gran parte degli appartamenti dei signori COGNOME erano in affitto studenti»).
Ma tale affermazione è stata proceduta da una lunga e laboriosa motivazione del giudice di merito, che ha riportato le deposizioni dei testi NOME COGNOME (quale tecnico comunale che aveva redatto il verbale di consistenza del 25/6/79) e NOME COGNOME, che hanno univocamente dichiarato che l’occupazione da parte del RAGIONE_SOCIALE ha riguardato esclusivamente la superficie di mq 273,31, e non tutti gli altri beni immobili, come riferivano gli attori («anzi, risulta al contrario per quel che afferma il teste COGNOME indotto dal RAGIONE_SOCIALE che ciò che aveva costituito oggetto di ‘presa di possesso’ nel verbale di consistenza era soltanto la striscia di terreno resede di mq. 273,31 del Vallo Sangallo ed un rudere del fabbricato distrutto»).
Insomma, i ricorrenti pretendono una diversa lettura degli atti processuali, già compiutamente ed adeguatamente valutati dal giudice d’appello, incorrendo dunque nell’inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione.
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti si dolgono della «insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) circa il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni causati dalle opere di sbancamento compiute dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
Per i ricorrenti, la sentenza d’appello sarebbe errata con riferimento al mancato riconoscimento dei danni causati dalle opere di sbancamento. Ciò perché conferma la pronuncia del giudice di prime cure che aveva operato una corretta scelta circa le risultanze peritali da prendere in considerazione, utilizzando quelle della seconda CTU, e svalutando gli accertamenti compiuti dal primo CTU (AVV_NOTAIO), che sarebbero risultati contraddittori ed incerti, oltre che non basati su eventi effettivamente accertate e verificati, mentre la nuova CTU sarebbe stata «esaustiva, coerente e perfettamente rispondente ai dati concretamente verificati».
L’appello, però, non poteva basarsi su «di una CTU effettuata ben 32 anni dal compimento dei lavori», mentre la sussistenza del nesso causale «era stata accertata ed ampiamente individuata proprio dall’AVV_NOTAIO, ossia il perito che aveva avuto la possibilità di studiare il fenomeno fessura attivo in anni più vicini all’opera di sbancamento (la prima CTU, infatti, è del 1988) e per un periodo di tempo maggiore (dal 1988 al 2000)».
La Corte territoriale, quindi, «non ha tenuto conto delle risultanze probatorie decisive ed incontrovertibili, ignorando completamente il fatto che negli atti di causa vie erano numerose ed importanti relazioni tecniche, effettuate da eminenti professionisti nominati dai precedenti giudici istruttori, che avevano esaminato i luoghi di causa ‘a caldo’, raggiungendo conclusioni opposte rispetto a quelle dei CTU nominati nel 2011 ed a quelle presenti nella sentenza di primo grado e confermata in grado d’appello».
4. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, i ricorrenti, contestando che la Corte d’appello avrebbero preferito le conclusioni e le argomentazioni dei due consulenti tecnici nominati successivamente (COGNOME), a quelle della prima CTU (AVV_NOTAIO COGNOME), avrebbe dovuto ritualmente trascrivere, almeno per stralcio, le affermazioni contenute nelle due consulenze tecniche d’ufficio espletate. Tale adempimento non è stato in alcun modo osservato.
Inoltre, in secondo luogo – come per quanto rilevato con riferimento al secondo motivo di impugnazione – i ricorrenti avrebbero dovuto redigere il motivo di ricorso indicando il fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice d’appello.
Peraltro, per questa Corte, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche ” per relationem ” dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass, sez. 1, 13 ottobre 2020, n. 22056; Cass., sez. 1, 11 giugno 2018, n. 15147; Cass., sez. 5, 6 maggio 2021, n. 11917); pertanto, il giudice del merito, dunque, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella
relazione abbia tenuto conto replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento (Cass., 3 aprile 2007, n. 8355; Cass., sez. 6-3, 2 febbraio 2015, n. 1815; Cass., sez. 1, 24 dicembre 2013, n. 28647).
5.1. Si è chiarito, peraltro, che il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche. Inoltre se il giudice di merito ha aderito alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicando, dei rilievi dei consulenti di parte, l’obbligo della motivazione è soddisfatto con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, senza che il giudice debba necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass., sez. 6-3, 2 febbraio 2015, n. 1815; Cass., sez. 1, 13 ottobre 2020, n. 22056; Cass., sez. 1, 3 aprile 2007, n. 8355). In tali casi, le critiche di parte che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (Cass., sez. 1, 9 gennaio 2009, n. 282).
5.2. Per un diverso indirizzo giurisprudenziale, nell’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio fossero state mosse critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte, sia dei difensori, il giudice del merito, per non incorrere nel vizio di
motivazione dovrebbe spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass., sez. 1, 11 giugno 2018, n. 15147; Cass., sez. 1, 21 novembre 2016, n. 23637; Cass., sez. 1, 13 dicembre 2006, n. 26694).
Va anche premesso che, in ogni caso, il ricorrente per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, è tenuto ad indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del preteso difetto di motivazione, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass., sez. 1, 3 giugno 2016, n. 11482; Cas., sez. 1, 17 luglio 2014, n. 16368; Cass., sez. 3, 28 marzo 2006, n. 7078).
6.La giurisprudenza più recente di questa Corte ritiene tuttavia che tali assunti non siano conciliabili con il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. e con lo specifico vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel quale non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., sez. 1, 18 ottobre 2018, n. 26305); si è in particolare affermato che non è carente di motivazione la sentenza che recepisce per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio della quale dichiara di condividere il merito, ancorché si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione (Cass., sez. 6-3, 14 febbraio 2019, n. 4352).
Pertanto, il ricorrente non può limitarsi a dolersi del vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo per il solo fatto che il giudice del merito abbia recepito adesivamente le conclusioni attinte dal consulente tecnico d’ufficio, senza affrontare e confutare le specifiche critiche rivolte all’elaborato peritale dal difensore o dal consulente tecnico di parte, ma deve individuare ed evidenziare un preciso fatto storico (o più precisi fatti storici), sottoposto alla dialettica del contraddittorio dalla difesa, legale o tecnica, di natura decisiva, tale cioè da ribaltare o modificare significativamente l’esito della lite, che il giudice del merito abbia omesso di considerare. Non è la critica, in sé per sé, alla consulenza tecnica recepita dal giudice che rileva ai fini della deduzione di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5 e del novellato mezzo di ricorso per vizio motivazionale, ma il fatto storico, decisivo, che sia stato oggetto di discussione e sia stato fatto valere dalla parte interessata attraverso le critiche rivolte all’elaborato del perito (Cass., sez. 1, 16 marzo 2022, n. 8584; Cass., sez. 1 13 ottobre 2020, n. 22056).
7.Tra l’altro, questa Corte, con riferimento all’omesso esame della stessa consulenza tecnica d’ufficio ha svolto un ragionamento analogo. Infatti, l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come riformulato dal decreto-legge n. 83 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio-atto processuale che svolge funzioni di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) -in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il fatto storico, rilevato
e/o accertato dal consulente (Cass., sez. 6-3, 24 giugno 2020, n. 12387).
8. Per quel che più qui rileva, poi, l’adesione acritica da parte del giudice alle conclusioni peritali di una delle consulenze tecniche d’ufficio, espletate in tempi diversi e pervenute a conclusioni difformi, senza farsi carico di un’analisi comparativa, integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, salvo che le conclusioni recepite siano, da sole, idonee a palesare le ragioni della scelta compiuta dal giudice (Cass., sez. 3, 26 maggio 2021, n. 14599; Cass., sez. 6-3, 7 settembre 2020, n. 18598; Cass., sez. 3, 31 maggio 2018, n. 13770).
9. Il giudice d’appello ha ben motivato sulla scelta della CTU maggiormente argomentata e significativa (redatta da COGNOME), ossia quella espletata successivamente alla prima (AVV_NOTAIO), chiarendo che «il tribunale ha operato una corretta scelta di campo circa le risultanze peritali da prendere in considerazione ai fini della decisione, basandola appunto sulla consulenza rinnovata e le ragioni della rinnovazione della prima CTU esperita dall’AVV_NOTAIO appare corretta, dal momento che la lettura stessa dei fatti descrittivi e delle considerazioni finali di tale elaborato tecnico lascia trasparire palesi incertezze e contraddizioni non avendo il primo perito fondato le proprie affermazioni su eventi effettivamente accertati e verificati, tanto più che è il medesimo consulente a far presente che le fessurazioni erano presenti negli immobili di parte attrice in epoca antecedente al avvenuto sbancamento. Non si appalesa alcuna necessità di confronto tra i tecnici incaricati come richiesta da parte appellante perché la perizia geologica appare
esaustiva, coerente e perfettamente rispondente ai dati concretamente verificati».
Inoltre, aggiunge la Corte territoriale «attraverso i rilievi e la misurazione dei livelli piezometrici e previo esame della documentazione relativa allo scavo acquisita presso il RAGIONE_SOCIALE, che la falda acquifera si collocava al di sotto della quota di sbancamento realizzato dall’impresa che operava per conto dell’amministrazione espropriante, tale da escludere allora che le lesioni al fabbricato della proprietà degli attori possano essere ricondotti ad assestamenti del terreno conseguente al drenaggio delle acque intercettate con lo scavo».
Il giudice d’appello ha, dunque, indicato con chiarezza le ragioni per cui ha preferito utilizzare per la decisione le conclusioni della seconda consulenza tecnica d’ufficio.
I ricorrenti, dunque, richiamando le conclusioni cui era giunto il primo CTU, AVV_NOTAIO COGNOME, nonché quanto riportato nella perizia geologica firma COGNOME e COGNOME, oltre a quanto osservato dall’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, intendono richiedere a questa Corte una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori e dei documenti, non consentita in questa sede.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al primo motivo accolto, con rimessione degli atti alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio degli atti alla Corte d’appello di Firenze,
in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima