Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24724 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24724 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 30946 del ruolo generale dell’anno 2020 , proposto da
Comune di Casaluce , in persona del Sindaco legale rapp.te p.t, NOME COGNOME, con sede in Casaluce alla INDIRIZZO C.F. P_IVA – P.iva P_IVA, rapp.to e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME C.F.: CODICE_FISCALE (che indica i seguenti recapiti per le comunicazioni telematiche fax n. 0818150008, PEC: EMAIL), con il quale elett.te domicilia in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME
Ricorrente e Controricorrente contro
NOME COGNOME nata a Casaluce (CE) il 26.04.1938 (C.F. CODICE_FISCALE, ivi residente alla INDIRIZZO rappresentata e difesa, giusta procura rilasciata in calce al controricorso e da intendersi parte integrante del medesimo, dall’avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, presso il cui studio in Roma, alla INDIRIZZO è elettivamente domiciliata (fax NUMERO_TELEFONO -p.e.c.: EMAIL);
Controricorrente e Ricorrente incidentale
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n° 1773 depositata il 19 maggio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME COGNOME proprietaria di un terreno (allibrato al foglio 5, particelle 151 e 5092, di mq 15 mila), occupato d’urgenza dal Comune di Casaluce a seguito di dichiarazione di pubblica utilità per la costruzione di un complesso sportivo che però non era mai stato realizzato, convenne l’Ente locale dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, chiedendone la condanna alla restituzione del suolo (rimasto in proprietà dell’attrice, in quanto il primo decreto di acquisizione sanante n° 108/2009 era stato emesso in base all’art. 43 del d.P.R. n° 327/2001, dichiarato incostituzionale, ed il secondo decreto, emesso nella pendenza del giudizio, era stato annullato dal Tar), nonché al risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione e per il ripristino dello stato anteriore ad essa, da liquidare al netto delle spese già pagate dal Comune a titolo di indennità occupativa.
Il Tribunale accolse la domanda di restituzione e condannò, inoltre, l’Ente locale a pagare euro 84.581,36 a titolo di risarcimento dei danni, pari alla differenza tra la spesa occorrente per il ripristino dello status quo ante (euro 246.401,04) e le somme già versate dall’ente a titolo di indennità di occupazione (euro 161.819,68).
2 .- Avverso tale sentenza proponevano appello, con due citazioni separate e poi riunite, il Comune e la Tammaro.
La Corte d’appello di Napoli, dopo aver disposto nuova c.t.u., riformava parzialmente la prima decisione e, premesso che il danno subito dalla COGNOME (pari alle spese occorrenti per la rimessione in
pristino) andava ridotto ad euro 217.857,05 e che da detto importo andavano detratti euro 161.819,68, già pagati dal Comune a titolo di indennità provvisoria, in accoglimento dell’impugnazione di quest’ultimo, rideterminava in euro 56.037,37 (217.857,05 -161.819,68), oltre interessi legali dal 22 maggio 1992, il risarcimento dovuto per la rimessione in pristino del suolo.
Osservava poi la Corte che il Comune, in esecuzione della sentenza di primo grado, aveva pagato alla COGNOME euro 84.581,35, oltre interessi e rivalutazione, e così la complessiva somma di euro 163.159,65.
Da tale ultima somma andava detratto il credito della COGNOME per il ripristino del fondo (euro 56.037,37), che, maggiorato di interessi legali, era pari complessivamente ad euro 107.980,18, con una differenza a favore del Comune di euro 55.179,47 (163.159,65 -107.980,18).
La Corte, inoltre, accoglieva anche l’appello della COGNOME e le riconosceva il risarcimento del danno da occupazione illegittima dal 23 marzo 1993 (essendo prescritto il diritto precedente) sino alla pubblicazione della sentenza (domanda implicitamente rigettata dal Tribunale).
Al riguardo il c.t.u. aveva appurato che le particelle 151 e 5092 del terreno della Tammaro ricadevano in zona Fb1 (sportiva) e in zona Fa (verde di rispetto) e che nella prima non esistevano vincoli preclusivi all’edificazione, mentre nella seconda non era consentita alcuna attività edificatoria.
Tramite il metodo sintetico-comparativo, il c.t.u. aveva appurato che il valore del suolo (presupposto del calcolo dell’indennità di occupazione illegittima) nell’aprile 1987 era pari ad euro 18,08 al mq (e, pertanto, ad euro 278.070,40 complessivi).
Il valore era ricavabile da una sentenza della Corte d’Appello di Napoli (n° 2621/2010), nella quale era stato stimato un fondo limitrofo a quello di causa, ritenuto edificabile anche ad iniziativa privata,
interessato anch’esso dall’espropriazione per la realizzazione del campo sportivo e ricadente nella medesima zona Fb1.
Si trattava di un dato di estrema rilevanza, poiché la sentenza n° 2621/2010 della Corte napoletana era stata confermata da Cass. n° 8862/2012.
Alla luce di tali elementi, la Corte partenopea riteneva che il suolo dovesse essere valorizzato tenendo conto della possibile ‘ utilizzazione intermedia tra l’agricola e l’edificatoria ‘, con conseguente liquidazione di un ‘ importo giocoforza superiore al valore agricolo ed inferiore al valore edificabile ‘.
Il c.t.u., a seguito dell’incarico integrativo, aveva stimato il valore venale del fondo col metodo sintetico e, non essendo stato possibile individuare per ogni anno beni comparabili, aveva considerato i valori di riferimento individuati negli anni 1993, 2008 e 2012, desunti da sentenze e da atti di compravendita, rivalutando il prezzo dei cespiti nei periodi intermedi per i quali non vi erano comparabili.
In base a tali valori la Corte ha riconosciuto alla COGNOME, a titolo di indennità di occupazione illegittima, gli interessi per ogni anno dal 23 marzo 1993 al 23 marzo 2020, per complessivi euro 342.970,46, oltre interessi al tasso legale sulle singole annualità.
Da tale importo andava, infine, detratto il credito del Comune di euro ‘ 56.570,07, pari alla somma versata dal Comune di Casaluce in esecuzione della sentenza di primo grado a titolo di ristoro dei danni per il ripristino dello status quo ante, in eccedenza rispetto a quella determinata con la presente sentenza e comprensiva degli interessi legali maturati fino alla data odierna ‘.
Infine, la Corte condannava il Comune a pagare alla COGNOME l’indennità di occupazione illegittima dalla data della sentenza (24 marzo 2020) sino all’effettiva restituzione, liquidata attribuendole gli interessi su euro 641.807,40, pari al valore del suolo alla data della decisione.
Spese di lite, comprese quelle di c.t.u., a carico del Comune soccombente.
3 .- Ricorre per cassazione il Comune di Casaluce, affidando il gravame a tre motivi.
Resiste la COGNOME con controricorso illustrato da memoria, concludendo per l’inammissibilità dell’impugnazione e, comunque, per il suo rigetto.
Con un secondo ricorso, riunito al primo e da considerare incidentale, la COGNOME ha formulato altresì due mezzi di impugnazione, cui il Comune ha resistito con controricorso.
La causa è stata assegnata per la trattazione in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 .- Col primo motivo di ricorso principale -intitolato ‘ Violazione dell’art. 32 del d.p.r. n. 327 del 2001 e dell’art. 132 cpc in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, cpc. difetto di motivazione in ordine alla determinazione del valore del bene oggetto di occupazione. Omessa pronuncia. Error in iudicando ‘ -il Comune lamenta che la Corte abbia determinato il valore del bene e l’indennità da occupazione illegittima esclusivamente sulla scorta delle risultanze della c.t.u., senza tener conto del Certificato di destinazione urbanistica prodotto e delle osservazioni alla medesima consulenza (avanzate anche nelle difese finali) circa la natura e la capacità edificatoria dell’immobile oggetto di causa.
Dal Certificato di destinazione urbanistica e da una Relazione del Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale emergeva, infatti, che nelle zone Fb1 (zona sportiva) ed Fa (verde di rispetto), dove era collocato il fondo della Tammaro, erano consentiti esclusivamente interventi ad iniziativa pubblica, come pure confermava l’art. 21 delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PRG.
Il c.t.u., a fronte di tali produzioni documentali, aveva insistito nelle conclusioni rassegnate nella bozza di relazione -nella quale aveva osservato che la precisazione contenuta nel Certificato si basava su una interpretazione delle NTA che erano, tuttavia, carenti nel contenuto, non consentendo di definire con oggettiva chiarezza quali tipi di intervento (iniziativa privata e/o iniziativa pubblica) fossero autorizzati sull’area ricadente in zona Fb1 (zona sportiva) e quali fossero gli indici e i parametri urbanistici da utilizzare -senza tuttavia prendere in considerazione le osservazioni del c.t.u. del Comune trasmesse il 14 ottobre 2019 e le difese contenute nella comparsa conclusionale, con le quali l’Ente locale aveva replicato che: (a) il Certificato di destinazione urbanistica era una attestazione fidefaciente; (b) e (c) la Corte di cassazione avrebbe più volte escluso l’edificabilità dei suoli nei quali non possono essere assentite iniziative private, ma solo pubbliche; (d) il valore dell’area non poteva essere determinato in base alla sentenza n° 2621 della Corte d’appello di Napoli, essendo rimasti ignoti il contenuto della relazione del Consulente tecnico e le eccezioni formulate sul punto dalle parti in causa.
Anche la rivalutazione del bene operata dal c.t.u. era errata, in quanto pur utilizzando il medesimo criterio adottato dal c.t.u. per la rivalutazione del valore venale del cespite, quest’ultimo sarebbe stato di euro 201.183,137, ossia di gran lunga inferiore a quello calcolato dal perito, con la conseguenza che anche l’indennità di occupazione non poteva superare l’importo di euro 157.994,55.
6 .- Il mezzo è in parte inammissibile, ma per la rimanente parte appare fondato.
Esso è inammissibile laddove denuncia una mancanza di motivazione derivata dal mancato raffronto tra le conclusioni del c.t.u. con quelle del c.t.p., essendo noto che l’omesso esame di un fatto decisivo deve consistere nella mancata considerazione di un fatto storico e che in tale nozione non rientrano le prospettazioni del c.t.p.
(Cass., sez. I, 18/10/2018, n° 26305), come pure -più in generale – l’omesso esame di elementi istruttori (Cass., sez. I, 29/10/2018, n° 27415).
È però condivisibile nel resto, laddove denuncia una violazione di legge.
L’ art. 2 (‘ Zone territoriali omogenee ‘) del d.m. 2 aprile 1968 n° 1444 prevede che ‘ Sono considerate zone territoriali omogenee: (…) F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale ‘.
Le zone F sono, dunque, caratterizzate da interventi destinati a servire un ‘ interesse generale ‘ realizzato dalla mano pubblica o da un soggetto istituzionalmente competente a realizzare opere pubbliche.
Pertanto, la destinazione funzionale della zona F alla soddisfazione di tale interesse preclude -di regola -ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, a meno che lo stesso strumento urbanistico non introduca una sottozona con possibilità edificatoria promiscua o privata.
Da quanto sopra deriva -come peraltro più volte affermato da questa Corte ( ex multis : Cass., sez. I, 12/08/2022, n° 24744, con menzione di altri precedenti) -che, nel caso in cui non risultino specifiche disposizioni che diano spazio all’edificazione su iniziativa privata, l’inserimento dei suoli nella menzionata zona F (aree destinate ad opere di ‘ interesse generale ‘) di uno strumento urbanistico consente di ritenere non edificabili i suoli stessi.
Ora, la sentenza (pagina 20) riferisce che il c.t.u. ha dapprima stimato il valore del bene espropriato rilevando che le particelle 51 e 5092, di proprietà COGNOME ‘ ricadevano (a partire dal 7 gennaio 1986) e ricadono tuttora in parte in zona Fb1 sportiva ed in parte in zona Fa verde di rispetto, secondo il Piano Regolatore Generale approvato dalla Regione il 10.6.1987 ‘ ed ha poi osservato che ‘ mentre nella zona Fa verde di rispetto non è consentita alcuna
edificazione, in quella Fb1 sportiva non esistono (e non sono esistiti a partire dall’occupazione) vincoli di destinazioni preclusivi dell’edificazione ad istanza anche di privati ‘.
Sulla scorta di tale premessa (che, peraltro, sembra contraddetta dalla nota 7 a pagina 24 della sentenza), la Corte ha poi osservato che il c.t.u., applicando il metodo sintetico-comparativo, aveva accertato che il valore dei fondi nell’aprile 1987 era pari ad euro 18,08/mq e che esso era conforme a quanto fissato dalla sentenza n° 2621/2010 della stessa Corte d’appello -in relazione ad un fondo limitrofo, ricadente nella stessa zona Fb1 -confermata da Cass. n° 8862/2012.
Da ciò la Corte ha, quindi, ritenuto di poter dare al terreno un valore ‘ individuato sulla base dell’utilizzazione intermedia tra l’agricola e l’edificatoria ‘, quantificando ‘ un importo giocoforza superiore al valore agricolo ed inferiore al valore edificabile ‘ (sentenza pagina 21-22).
È, nondimeno, evidente che tale conclusione contrasti con la regula iuris di immediata applicazione prevista dall’art. 2 del d.m. n° 1444/68, come interpretata dall’orientamento giurisprudenziale di legittimità sopra riportato.
In particolare, non appare condivisibile il convincimento che l’edificazione in zona Fb1 fosse consentita anche ai privati, nonostante in sentenza non si dia atto di alcuna previsione di sottozone F con possibilità edificatoria promiscua o privata.
Dunque, non solo la zona Fa, ma anche la zona Fb1 doveva considerarsi inedificabile, ai sensi e per gli effetti dell’art. 37, quarto comma, del d.P.R. n° 327/2001 (a mente del quale ‘ non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il pro-
gramma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata ‘).
Inoltre, l’assegnazione di un valore intermedio tra quello agricolo e quello edificabile avrebbe potuto essere condivisa, ove la Corte avesse proceduto ad indentificare i possibili sfruttamenti del suolo di proprietà COGNOME diversi da quello edificatorio, ma ciò non è avvenuto, posto che la sentenza, ancora una volta recependo la c.t.u. (pagina 22-24), non indica nessuna utilizzazione alternativa del fondo.
Sul punto giova solo aggiungere che, a fronte della assenza di previsioni di edificabilità ad iniziativa privata o promiscua sulla zona F (e della mancata individuazione di usi alternativi a quello edificatorio), nessun rilievo avrebbe potuto avere una diversa previsione delle Norme tecniche di attuazione, tenuto conto del loro carattere subordinato rispetto alle previsioni del piano urbanistico (Cass., sez. I, 19/12/2008, n° 29768), con la conseguenza che anche la tardiva produzione dell’integrazione del Certificato di destinazione urbanistica (nota 7 a pagina 24 della sentenza) non appare dirimente per escludere la natura totalmente inedificabile del fondo.
Da ultimo, va anche precisato che la diversa decisione della Corte d’appello di Napoli (sentenza n° 2621/2010, confermata da Cass. n° 8866/2011) non poteva avere ‘ rilevanza ‘ (tantomeno ‘ estrema ‘, come ritenuto in sentenza a pagina 21), giacché, da una parte, la Corte di merito non ha dato atto di come sia giunta, in quel suo precedente, a determinare il valore del fondo attiguo in euro 18,08/mq e, dall’altra, sol che si legga Cass. n° 8866/2011 è agevole constatare che il ricorso del Comune è stato respinto per moti-
vi processuali, che nulla hanno a che vedere col merito della valutazione del suolo, nella quale la Corte di legittimità non è entrata.
7 .- Col secondo motivo di ricorso principale -rubricato ‘ Violazione degli art. 1223 e 1224 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cpc. Error in iudicando ‘ -il ricorrente lamenta che la Corte, nel determinare la somma dovuta alla COGNOME per il ripristino del suolo, quantificata in euro 217.875,00, non abbia rivalutato gli acconti già pagati dall’Ente locale.
La rivalutazione sugli acconti era stata esclusa dal giudice di secondo grado in quanto il Comune l’aveva tardivamente formulata nella prima memoria di replica.
Al contrario, trattandosi di obbligazione di valore, il giudice avrebbe dovuto d’ufficio rendere omogenei il credito risarcitorio e gli acconti pagati (euro 161.819,68 pagati nel 1988 ed euro 163.159,65 pagati nel 2016) prima di sottrarre il secondo dal primo.
Unitamente a tale motivo, conviene esaminare i due mezzi di ricorso incidentale della Tammaro.
Col primo motivo di ricorso incidentale -intitolato ‘ omessa pronunzia sulla domanda di condanna del Comune di Casaluce al pagamento delle indennità di occupazione illegittima, comprensiva della rivalutazione monetaria sulle somme via via liquidate in relazione a ciascuna annualità – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. ‘ -la COGNOME lamenta che la Corte abbia condannato il Comune a pagarle il risarcimento per l’occupazione illegittima riconoscendole i soli interessi legali, ma non la richiesta rivalutazione monetaria.
Col secondo mezzo di ricorso incidentale -rubricato ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1. n. 3) c.p.c. ‘ -la COGNOME lamenta che la Corte non le abbia riconosciuto la rivalutazione sulle somme liquidate anno per anno a titolo di risarcimento da occupazione illegittima.
8 .- I mezzi sono fondati nei limiti appresso indicati.
È ormai da lungo tempo noto (sin da Cass., Sez. Un., 17/02/1995, n° 1712) che in caso di obbligazione derivante da fatto illecito (dunque di valore), il danno vada risarcito riconoscendo d’ufficio (anche in appello ed in sede di rinvio) la rivalutazione monetaria del bene perduto o distrutto, costituendo il credito rivalutato semplicemente una diversa espressione monetaria del risarcimento dovuto.
Il titolare di quest’ultimo, però, ha anche diritto di averlo immediatamente.
Pertanto, volta che questo risarcimento venga riconosciuto a distanza di tempo, occorre anche ristorare la perdita che il danneggiato ha subito per l’intempestivo utilizzo della somma di danaro: danno che deve essere provato specificamente, salvo casi particolari.
La mora nell’adempimento dell’obbligazione risarcitoria non è, infatti, senza effetti: essa comporta l’obbligo del debitore di risarcire al creditore il pregiudizio rappresentato dalla perduta possibilità di investire la somma spettantegli a titolo di risarcimento e di ricavarne un lucro finanziario (Cass., sez. III, 10/10/2014, n° 21396): ma la perdita di tale lucro va ovviamente dimostrata.
Ora, la Corte ha liquidato il danno della COGNOME derivante dalla perdita di disponibilità del suolo dal 23 marzo 1993 al 23 marzo 2020 mediante le somme indicate nella colonna ‘ interessi ‘ della tabella di pagina 25, per complessivi euro 342.970,46, ma senza individuare alcun criterio di rivalutazione degli importi più antichi: criterio che, invece, andava obbligatoriamente reperito e applicato, poiché, come detto, la rivalutazione dei singoli importi indicati nella colonna predetta non avrebbe avuto la funzione di ristorare un pregiudizio, ma di ragguagliare gli importi più risalenti al diverso valore monetario più recente (quello del marzo 2020).
Il Comune nel controricorso fa osservare che il c.t.u. avrebbe rivalutato il valore dell’immobile anno per anno, sicché -a dire dell’Ente territoriale -sarebbe già stata riconosciuta la rivalutazione.
L’allegazione non può essere condivisa, giacché l’attribuzione di un diverso valore al suolo, anno per anno, non ha affatto avuto la funzione di rivalutazione, ma di stabilire, semmai, la corretta base di calcolo del detrimento economico derivato dalla perdita di disponibilità del terreno: donde l’insussistenza di qualsiasi duplicazione della rivalutazione.
D’altra parte, è pure noto che, in caso di pagamento di acconti in adempimento di un’obbligazione di valore, il giudice deve, anzitutto, rendere omogenei il credito risarcitorio e l’acconto.
Questa operazione può essere eseguita in due modi: col primo si devaluta il credito alla data dell’illecito e si rivaluta la somma così ottenuta alla data dell’acconto; quindi, si detrae quest’ultimo e si continua a riconoscere gli stessi interessi compensativi sul residuo (Cass., sez. III, 18/05/2022, n° 16027); il secondo metodo consiste nel rivalutare credito ed acconto all’attualità, applicando lo stesso metodo già detto.
La Corte non ha seguito questa modalità di calcolo -che prescindeva, del pari, da una specifica domanda della parte -avendo omesso di rendere omogenee le due poste contabili, ossia il credito risarcitorio e l’acconto.
La rivalutazione di quest’ultimo, infatti, è stata esclusa sull’erroneo rilievo della tardività della domanda, mentre la rivalutazione del credito viene riconosciuta (non in ragione della responsabilità del debitore, ma semplicemente) perché l’espressione monetaria del bene distrutto o deteriorato è mutata tra il tempo dell’illecito e quello in cui avviene la liquidazione del danno (ancora: Cass., Sez. Un., 17/02/1995 n° 1712).
In definitiva, la Corte avrebbe dovuto, eventualmente dandone incarico al c.t.u., procedere alla rivalutazione di ogni singola posta
annuale di danno indicata nella tabella a pagina 25 sotto la voce ‘ interessi ‘ sino alla data dei singoli pagamenti in acconto ricevuti dal Comune e, quindi, detrarre questi ultimi, per poi procedere a rivalutazione del residuo credito della COGNOME sino all’attualità.
Non si ha difficoltà a comprendere che il risultato nummario di tali operazioni sarebbe stato diverso da quello ottenuto dalla Corte territoriale con le modalità di liquidazione adottate in sentenza.
9 .- Col terzo motivo di ricorso principale (‘ Violazione dell’art. 91 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cpc. errata condanna alle spese di lite. Error in iudicando ‘) il Comune lamenta che la Corte lo abbia condannato alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio, oltretutto aumentando l’importo di quelle del primo grado liquidate dal Tribunale, nonostante il parziale accoglimento dell’appello incidentale.
10 .- Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei mezzi precedenti, dovendo il giudice del rinvio provvedere a nuova liquidazione delle spese dell’intero giudizio, compresa la presente fase di legittimità.
11 .- Alla cassazione della sentenza segue il rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
p.q.m.
la Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso principale, nonché i due motivi di ricorso incidentale. Dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2025, nella camera di consi-