Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11827 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11827 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4471/20229 R.G., proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
contro
ricorrenti – per la cassazione della sentenza n. 742/2021 della CORTE d’APPELLO di Genova pubblicata il 6.7.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 30.1.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, già titolare dell’azienda denominata ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE sita in INDIRIZZO a Loano, gestita nei locali di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME, condotti in locazione in forza di contratto del 1°-10-2012,
Locazione uso diverso
essendo insorta contestazione da parte di terzi circa la difformità della canna fumaria per l’accertamento della quale fu promosso un procedimento ex art. 696 cod. proc. civ. successivamente transatto, adì il Tribunale di Savona per l’esercizio dell’azione di adempimento contrattuale per la messa a norma del bene locato. In seguito, data l’impossibilità di proseguire nell’esercizio dell’attività, nel medesimo procedimento NOME COGNOME chiese la risoluzione del contratto. La domanda fu accolta dal Tribunale di Savona con sentenza n. 87/2019 del 30.1.2019, passata in giudicato, sul rilievo che il locale era inadeguato all’attività di ristorazione.
In seguito, NOME COGNOME, dopo aver offerto ai proprietari la restituzione dei locali e chieste l a corresponsione dell’indennità di avviamento e la restituzione del deposito cauzionale, ottenne dal Tribunale di Savona un decreto ingiuntivo per tali titoli, che fu opposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME Nel corso del procedimento, con ordinanza del 9.3.2020 il Tribunale di Savona dispose il sequestro giudiziario dell’immobile fino alla conclusion e dei lavori di adeguamento, che tuttavia non vennero fatti eseguire dai proprietari.
Con sentenza n. 612/2020 il Tribunale di Savona dichiarò il diritto di NOME COGNOME al pagamento dell’indennità di avviamento e alla restituzione della cauzione per la parte eccedente il limite delle tre mensilità, ordinò la restituzione dell’immobile subordinatamente al pagamento dell’indennità e rigettò la domanda di risarcimento dei danni svolti dagli opponenti.
La Corte d’Appello di Genova con sentenza non definitiva, pubblicata il 6.7.2021, in riforma della sentenza gravata, accertati il diritto dell’appellata al pagamento dell’indennità di avviamento di euro 26.100 e l’obbligo di quest’ultima al pagamento dell’indennità di occupazione a decorrere dal febbraio 2019 fino al rilascio (determinata in euro 42.050 alla data della sentenza), dispose la compensazione tra i due crediti , condannando l’appellata al pagamento del residuo di euro 15.950, gravandola, altresì, del pagamento di euro 4.350 a titolo di canoni per i mesi di novembre/dicembre 2018 e gennaio 2019. La Corte d’appello, inoltre, ordinò all’appellata il rilascio dell’immobile , rimettendo la causa
sul ruolo per la prosecuzione del giudizio quanto al risarcimento danni chiesto dagli appellanti.
N otò la Corte d’appello che :
-all’appellata spettava l’indennità di avviamento, poiché la risoluzione disposta dal Tribunale di Savona con la sentenza 87/2019 (passata in giudicato) non dipendeva da morosità, disdetta o recesso del conduttore, ma da inadempimento dei locatori per l’inadeguatezza dell’immobile locato ;
-l’art. 34 l. 392/1978 espressamente prevede che l’esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata all’avvenuta corresponsione dell’indennità come statuito in sede monitoria, sia pure in termini di subordinazione all’effettiva e integrale corresponsione;
-data l’applicabilità al contratto di locazione dell’art. 1458 cod. civ. , la risoluzione disposta con sentenza del 30.1.2019 non avrebbe potuto operare con riferimento alle prestazioni già eseguite, sì che erano dovuti i canoni per i mesi novembre/dicembre 2018 e gennaio 2019 per euro 4.350 oltre euro 181 (rinnovo contratto per il 2019);
-quanto all’indennità di occupazione nelle locazioni commerciali, se non sussiste un diritto del locatore al risarcimento del danno per il ritardo nel rilascio finché non è pagata l’indennità di avviamento, il protrarsi della permanenza, seppure lecita, non può avvenire senza il pagamento di alcunché da parte del conduttore;
-pur essendo legittima la ritenzione del bene, e non potendo configurarsi un diritto del locatore ad un risarcimento del danno per il ritardo nella riconsegna, tuttavia, sussiste l’obbligo a carico del conduttore di versare una indennità di occupazione, corrispondente al canone prima dovuto, a far tempo dal febbraio 2019 , a nulla rilevando l’offerta di restituzione perché subordinata al pagamento dell’indennità di avviamento e della cauzione .
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Rispondono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2909 e 1458 cod. civ.
La ricorrente rileva che la domanda di pagamento dei canoni scaduti, e del pari quelle di rilascio del bene e di pagamento dell’indennità di occupazione , i locatori avrebbero dovuto svolgerle nell’ambito del procedimento definito dal Tribunale di Savona con sentenza n. 87/2019, con la quale è stata pronunciata con statuizione passata in giudicato la risoluzione del contratto di locazione. Ciò non è avvenuto e, pertanto, non sarebbe stato possibile proporle in altro giudizio relativo a diritti conseguenti alla dichiarata risoluzione, sì che le domande erano inammissibili e la sentenza della Corte d’appello è stata resa in violazione del giudicato sostanziale ex art. 2909 cod. civ. ormai formatosi.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La ricorrente lamenta la violazione del giudicato contenuto nella sentenza n. 87/2019 del Tribunale di Savona, che ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento imputabile ai locatori. I locatori avrebbero dovuto proporre in quella sede le domande aventi ad oggetto il pagamento dei canoni scaduti, il rilascio dell’immobile e il pagamento dell’indennità di occupazione . Non avendolo fatto, le domande da loro avanzate in sede di opposizione al decreto ingiuntivo chiesto da NOME COGNOME erano inammissibili e la sentenza impugnata, statuendo su esse, ha violato l’art. 2909 cod. civ.
La ricorrente i mpropriamente invoca l’effetto del giudicato derivante dalla sentenza del Tribunale di Savona n. 87/2019, che ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per fatto imputabile ai locatori. Tale richiamo postula, secondo quanto esposto dalla ricorrente, che l’accertamento precedentemente svolto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione delle questioni di
fatto e diritto, relativo ad un punto fondamentale comune a entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, precluderebbe il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che ne hanno costituito lo scopo, non sottraendosi a tale principio anche le questioni relative a rapporti di durata.
Deve essere ricordato, tuttavia, che il principio in virtù del quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile concerne i limiti oggettivi del giudicato, ma il relativo ambito di operatività è correlato all’oggetto del processo e riguarda, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, estendendosi non soltanto alle ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche a tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia; i limiti oggettivi del giudicato, pertanto, anche con riguardo al deducibile, non si estendono a domande diverse per petitum e causa petendi , rispetto alle quali può porsi soltanto il problema di una eventuale preclusione che, tuttavia, non può ritenersi sussistente in ragione del mero rapporto di connessione intercorrente con una domanda già proposta in un giudizio precedente, in quanto la connessione incide normalmente sulla competenza del giudice, ma non postula il necessario cumulo delle domande connesse (v. Cass., sez. III, 11 gennaio 2024, n. 1259; Cass., sez. I, 9 novembre 2022, n. 33021).
Tra la domanda di risoluzione del contratto di locazione per fatto imputabile ai locatori, oggetto della sentenza della sentenza n. 87/2019 del Tribunale di Savona, e quelle svolte dai locatori nel diverso giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo alla base del presente giudizio, non ricorre alcuna relazione di pregiudizialità logico-giuridica, sì che i limiti oggettivi del giudicato invocato, anche con riguardo al deducibile, non si estendono a domande diverse per petitum e causa petendi. L’efficacia del giudicato sulla risoluzione del contratto la si sarebbe potuta invocare solo rispetto all’eventuale diversa pretesa, esercitata nel secondo giudizio, fondata, ad esempio, sull’esistenza del rapporto e sulla
validità del contratto. Solo in questo caso, l’accertamento compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto, relativo ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logico-giuridica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, avrebbe precluso il riesame dello stesso punto di diritto già accertato e risolto, benché il successivo giudizio avesse finalità diverse da quelle che avevano costituito lo scopo ed il petitum del primo (v. Cass., sez. III, 24 gennaio 2024, n. 2387; Cass., sez. III, 21 novembre 2023, n. 32370; Cass., sez. III, 14 settembre 2022, n. 27103; Cass., sez. III, 20 dicembre 2019. N. 34158; Cass., sez. III, 11 luglio 2017,n. 17049).
In secondo luogo, mette conto rilevare che l’assunto della pretesa efficacia consumatoria del giudicato sulla risoluzione per inadempimento è, comunque, estraneo al sistema , non esistendo alcuna norma che impone l’obbligatorio inserimento, a pena di determinarne la consumazione, come per una rinuncia tacita o per fatto concludente, nel giudizio di risoluzione di un rapporto contrattuale per inadempimento delle domande di adempimento delle prestazioni contrattuali inadempiute o comunque dovute fino al momento della chiesta risoluzione.
Con il secondo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1591 e 34 l. 392/1978.
La ricorrente censura la sentenza della Corte d’appello per aver accolto la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione, sebbene dichiarata, con sentenza passata in giudicato, la risoluzione del contratto per inadempimento imputabile al locatore per l’inidoneità della res locata all’uso convenuto , e nonostante il mancato pagamento dell ‘indennità di avviamento. La Corte d’appello , invece, ‘avrebbe dovuto escludere l’applicazione dell’art. 1591 cod. civ. richiamandosi, semmai, a due recenti decisioni della intestata Corte, che escludono il diritto del locatore all’ottenimento della corresponsione del canone pattuito, se l’immobile non gli viene riconsegnato nel caso in cui sia «inconfigurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già
locati – sicché è da ritenersi non più dovuto il corrispettivo che, se corrisposto, determina un ingiustificato arricchimento da parte del (già) locatore – e neppur essendo configurabile la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni medesimi nel periodo tra la cessazione dei contratti e la loro effettiva riconsegna» ‘ .
2.1. Il motivo è infondato.
La ricorrente formula la censura imperniata sulla violazione dell’art. 1591 cod. civ. sulla base di una giurisprudenza non pertinente. Infatti, Cass., sez. III, 26 settembre 2019, n. 23987 ha trattato una vicenda avente ad oggetto un contratto di locazione consensualmente risolto per la dichiarata inagibilità dell’immobile conseguente al sisma dell’aprile 2009. Di qui, l’affermazione che ‘ el contratto di locazione, risolto per impossibilità sopravvenuta dovuta all’accertata inagibilità dei locali in seguito a calamità naturale, la mancata restituzione del bene locato, decorrente dal momento in cui il relativo diritto del locatore è fatto valere, non può essere remunerata ai sensi dell’art. 1591 c.c., bensì in forza delle norme sulla ripetizione dell’indebito e sul pregiudizio effettivamente subìto e provato dal locatore ‘. Anche Cass., sez. III, 22 agosto 2007, n. 17844, invocata dalla ricorrente, si è occupata di un caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta, a seguito dei danni causati da evento sismico e della conseguente emanazione di ordinanze sindacali di sgombero e di inagibilità relative agli immobili oggetto del contratto, ed ha escluso l’applicabilità dell’art. 1591 cod. civ., essendo inconfigurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati, e la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni medesimi nel periodo tra la cessazione dei contratti e la loro effettiva riconsegna.
Considerato che i precedenti evocati avevano ad oggetto il caso in cui la locazione si risolve per impossibilità sopravvenuta di alcun godimento dell’immobile e, dunque, anche da parte del locatore, se rientrato nella sua disponibilità, essi non hanno alcuna attinenza nel caso in esame di risoluzione del contratto per inadempimento del locatore a ll’obbligo di assicurare il godimento del bene locato nei termini convenuti.
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello , ritenuta l’inefficacia dell’offerta di restituzione del bene, ha riconosciuto il diritto dei locatori al pagamento dell’indennità di occupazione in base al principio secondo cui ‘ nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciale, disciplinate dagli art. 27 e 34 l. 392/78 (e, in regime transitorio, dagli art. 69, 71 e 73 stessa legge), il conduttore che, scaduto il contratto, rifiuti la restituzione dell’immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell’indennità di avviamento a lui dovuta, è obbligato esclusivamente al pagamento del corrispettivo convenuto, a nulla rilevando che continui a godere dell’immobile per l’esercizio della sua attività o, al contrario, si limiti a detenerlo astenendosi dall’utilizzarlo ‘ (v. Cass. civ., Sez. Un., 15 novembre 2000, n. 1177; Sez. Un., 12 dicembre 2000, n. 1253; Cass., sez. III, 29 ottobre 2001, n. 13417; Cass., sez. III, 21 novembre 2001, n. 14728; Cass., sez. III, 26 aprile 2002,n. 6090; Cass., sez. III, 28 marzo 2003, n. 4690; Cass., sez. III, 11 luglio 2006, n. 15721; Cass., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5661; Cass., sez. III, 25 marzo 2010, n. 7179; Cass., sez. III, 20 giugno 2003, n. 15433; Cass., sez. III, 25 giugno 2013, n. 15876, segnatamente ‘ quand’anche sia cessato l’esercizio dell’attività commerciale nell’immobile locato ‘ ).
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 cod. civ. con riferimento all’ammontare dell’indennità di occupazione.
La ricorrente censura la sentenza per essere stata attribuita l’indennità di occupazione nonostante che, dal 9.3.2020 ed anche successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado fino alla riconsegna delle chiavi, l’immobile fosse sottoposto a sequestro e, quindi, sottratto alla disponibilità del conduttore.
3.1. Il motivo è inammissibile.
In primo, luogo, la ricorrente ha omesso di indicare in violazione dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbe riferirsi, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi
motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima.
3.2. Il motivo è altresì inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.
La ricorrente nel prospettare la non debenza dell’indennità di occupazione in coincidenza con il sequestro giudiziario disposto dal Tribunale di Savona ha omesso di precisare, in violazione del principio di specificità, se e come la questione sia stata posta all’attenzione del giudice dell’appello.
Nel ricorso si legge: ‘L’immobile è stato sequestrato dal 9 marzo a tutto novembre 2020 (e quindi per quasi dieci mesi)’ (pagina 5, ultimo capoverso) . Nel corpo del motivo la ricorrente scrive: ‘Dal 9 marzo 2020 l’immobile è stato sottoposto a sequestro giudiziario (sollecitato dal locatore) e dunque non si vede come potesse la COGNOME almeno sino alla riconsegna delle chiavi successiva alla data della pubblicazione della sentenza (novembre 2020) consegnare un bene che non era nella sua disponibilità’ (pagina 17, secondo capoverso).
È pur vero che nella sentenza impugnata (pagina 14, ultimo capoverso) si riferisce di una istanza fatta dai locatori dopo la proposizione dell’appello per la sostituzione del custode. Istanza definita dal Tribunale di Savona con dichiarazione di non luogo a provvedere sulla base dell’art. 669 novies , comma terzo, cod. proc. civ.
In questo contesto, la ricorrente, anche a prescindere dalla genericità della deduzione per non essere stata puntualizzata l’effettiva durata della perdita della disponibilità del bene a seguito del disposto sequestro, non ha provveduto, in violazione del principio di specificità, ad indicare se e dove la questione della non debenza dell’indennità di occupazione per il periodo del sequestro sia stata posta all’attenzione del giudice dell’appello , provvedendo alla debita indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo, al l’illustrazione del contenuto rilevante e alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., sez. un.,
27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695).
I soli riferimenti al sequestro di cui si è detto sono del tutto inidonei a palesare che quanto ad esso fosse stata prospettata la questione sollevata con il motivo e che essa fosse divenuta oggetto del dibattito processuale. Tanto impone di reputarla nuova.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.800,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte