Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22487 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22487 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16433/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. Prof. NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elet- tronica certificata: e
;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME in qualità di erede di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
-controricorrenti –
SOCIETA’ DI RAGIONE_SOCIALE in persona dell’ammini-
stratore delegato p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ;
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Brescia n. 1231/23, depositata il 19 maggio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME e NOME COGNOME, già proprietari dei fondi siti in Azzano Mella e riportati in Catasto al foglio 1, particelle 13, 30, 33, 46 e 47, al foglio 2, particelle 45, 46, 49, 50, 55, 56, 57, 65, 133, 136, 142, 196, 198, 200, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 217 e 218, e al foglio 5, particelle 123 e 124, convennero in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, in qualità di concessionaria per la costruzione e l’esercizio dell’autostrada A21 Piacenza -Cremona-Brescia, diramazione per Fiorenzuola d’Arda, e la Società di progetto RAGIONE_SOCIALE subentrata nella concessione dal 31 maggio 2017, per sentir determinare l’indennità dovuta per l’occupazione d’urgenza degl’immobili e l’indennità aggiuntiva a loro spettante in qualità di coltivatori diretti per il periodo di occupazione illegittima.
Premesso che con decreto del 9 luglio 2021 era stata disposta l’acquisizione sanante dei predetti fondi, occupati in virtù dei decreti n. 3 del 25 ottobre 2006, n. 1 del 20 giugno 2007 e nn. 4 e 5 del 19 dicembre 2007 per la realizzazione del raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto, il nuovo casello di Poncarale e l’aeroporto di Montichiari, riferirono che l’occupazione d’urgenza si era protratta dall’11 dicembre 2006 all’11 novembre 2012, mentre quella illegittima era durata fino al 30 giugno 2021.
Si costituì l’ACP, ed eccepì di non essere tenuta al pagamento dell’indennità di occupazione, non avendo più avuto alcun ruolo nella procedura espro-
priativa, né alla data di cessazione dell’occupazione legittima né successivamente, negando inoltre la sussistenza del diritto all’indennità aggiuntiva in relazione all’occupazione illegittima.
Si costituì inoltre l’AVP, ed eccepì a sua volta di non essere tenuta al pagamento delle indennità, non rivestendo le qualità né di promotrice né di beneficiaria dell’espropriazione, spettanti all’ACP, e non essendo succeduta a quest’ultima. Contestò inoltre la qualità di proprietari degli attori, opponendo anche la prescrizione del diritto azionato.
1.1. Con ordinanza del 19 maggio 2023, la Corte d’appello di Brescia ha accolto la domanda, determinando l’indennità di occupazione d’urgenza in Euro 1.034.771,54 e l’indennità aggiuntiva in Euro 2.401.409,19, e disponendo il deposito della prima da parte dell’ACP e dell’AVP e il deposito della seconda da parte dell’AVP presso il Ministero dell’economia e delle finanze, con gl’interessi al tasso di cui all’art. 1284, primo comma, cod. civ. dalla data di emissione del decreto di acquisizione ed al tasso di cui all’art. 1284, quarto comma, cod. civ. dalla data della domanda.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto provato il diritto di proprietà degli attori, emergente dall’atto di acquisto e dall’indicazione degli stessi come proprietari in tutti gli atti del procedimento espropriativo, ivi compreso il decreto di acquisizione.
Premesso inoltre che obbligato al pagamento delle indennità è il soggetto in favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione, anche nel caso di concorso di più enti alla realizzazione dell’opera pubblica, salvo che ad uno di essi non sia attribuito il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree necessarie, con atto avente rilevanza esterna, ha affermato che la legittimazione passiva in ordine al pagamento dell’indennità di occupazione spettava all’ACP, delegata ad esercitare in nome proprio il potere espropriativo, in qualità di titolare di una concessione traslativa e di soggetto indicato nei decreti di occupazione come beneficiario e promotore dell’espropriazione. Precisato infatti che la concessione, scaduta il 1° ottobre 2011, era stata prorogata al 30 settembre 2013 con convenzione del 25 gennaio 2012, ha rilevato che tale atto attribuiva all’ACP la qualità di mandataria senza rappresentanza dell’ANAS, limitatamente alla gestione del tratto autostradale, ma la-
sciava impregiudicata la qualità in cui era stata esercitata l’attività espropriativa. Ha aggiunto che, in quanto non correlato all’emissione del decreto di espropriazione, ma alla maturazione di ciascuna annualità di occupazione, il pagamento dell’indennità non spetta al soggetto che riveste la qualità di occupante al predetto momento, affermando invece che l’ACP non era tenuta al pagamento della indennità aggiuntiva, avente carattere autonomo rispetto all’indennità di espropriazione, in quanto volta a compensare il sacrificio derivante dalla perdita del terreno sui cui viene esercitata l’attività agricola. Quanto all’AVP, ha ritenuto che la stessa fosse obbligata al pagamento sia dell’indennità di occupazione, essendosi qualificata come titolare del procedimento espropriativo nel provvedimento di acquisizione, sia dell’indennità aggiuntiva, correlata alla perdita definitiva della proprietà da parte degli attori.
La Corte ha dichiarato poi inammissibile la domanda di manleva proposta dall’ACP nei confronti dell’AVP, osservando che la competenza in unico grado spettante al giudice dell’opposizione alla stima è limitata alla determinazione delle indennità dovute al proprietario e non comprende anche quelle volte ad individuare il soggetto tenuto a sopportarne l’onere economico in via di regresso.
In ordine alla liquidazione dell’indennità ha richiamato la stima compiuta dal c.t.u. con metodo sintetico-comparativo, fondata sul riferimento ai prezzi di vendita risultanti da atti stipulati nell’anno 2009 e su quelli riportati nel listino dei valori immobiliari edito dalla Camera di commercio, ritenendo non rappresentativi i prezzi d’immobili situati in Comuni diversi. Ha disatteso l’eccezione di prescrizione del diritto all’indennità di occupazione, escludendo la configurabilità di quest’ultima come prestazione periodica, ritenendo quindi applicabile l’ordinario termine decennale ed ancorandone la decorrenza alla scadenza di ciascun anno di occupazione, nonché rilevando che la prescrizione era stata interrotta con lettera inviata all’ACP e all’ANAS il 29 marzo 2016.
Ha ritenuto infine dovuta l’indennità aggiuntiva, affermandone l’applicabilità anche all’acquisizione sanante, avente natura di procedimento espropriativo semplificato a carattere eccezionale, volto a ripristinare la legalità amministrativa con effetto non retroattivo, e rilevando che la qualità di coltivatori diretti degli attori emergeva dalla documentazione prodotta. Ai fini
della liquidazione, ha richiamato la stima compiuta dal c.t.u., che aveva fatto riferimento al valore agricolo medio previsto in relazione al periodo di emissione del decreto di acquisizione per le colture effettivamente praticate al momento dell’immissione in possesso.
Avverso la predetta ordinanza l’ACP ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi, anch’essi illustrati con memorie, NOME e NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME e l’AVP, che ha proposto ricorso incidentale, affidato a un solo motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 5, 6, 22bis , 49, 50 e 54 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e dell’art. 8duodecies , comma secondo, del d.l. 8 aprile 2008, n. 59, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui l’ha condannata al pagamento dell’indennità di occupazione in solido con l’AVP, senza considerare che la relativa obbligazione non trae origine dalla concessione, ma deriva direttamente dalla legge, trovando giustificazione nel ruolo rivestito dall’interessato nel procedimento espropriativo, da accertarsi in riferimento alla data della liquidazione e del versamento dell’indennità. Sostiene che, essendo l’occupazione preordinata all’esproprio, la relativa indennità non è volta a compensare il mancato godimento del bene, ma l’anticipata privazione della disponibilità dello stesso in funzione della realizzazione dell’interesse pubblico, di cui è titolare non già l’occupante, ma il beneficiario finale dell’opera: ai fini della legittimazione passiva, è pertanto necessaria la permanenza della titolarità dell’interesse pubblico fino al momento dell’adempimento dell’obbligazione, anche nel caso in cui l’occupazione non sia seguita dall’espropriazione. Aggiunge che, nell’attribuire alla concessione natura traslativa, la sentenza impugnata non ha considerato che la stessa, pur comportando l’attribuzione al concessionario della titolarità del potere espropriativo, non esonera da responsabilità l’Amministrazione concedente, tenuta pur sempre a vigilare sull’attività del concessionario, a meno che non intervenga un’espressa previsione di legge. Precisato
che nella specie il potere espropriativo è stato semplicemente delegato, ai sensi dell’art. 6, comma ottavo, del d.P.R. n. 327 del 2001, afferma l’irrilevanza dell’intervenuta approvazione della convenzione ai sensi dell’art. 8duodecies , comma secondo, del d.l. n. 59 del 2008, che, oltre ad essere entrato in vigore successivamente alla sua stipulazione, non prevede un accollo a carico di essa ricorrente, né la liberazione degli altri enti coinvolti nella vicenda.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., osservando che il riconoscimento della sua legittimazione passiva trae origine da un’errata percezione del contenuto della convenzione stipulata con l’ANAS il 25 gennaio 2012, la quale, nel regolare i rapporti inerenti alla gestione del raccordo autostradale, le attribuiva la qualità di mandataria senza rappresentanza, cui spettava non già il possesso, ma la mera detenzione del fondo per conto dell’ANAS. Premesso che con tale atto e con quello aggiuntivo del 1° agosto 2012 la concedente l’aveva liberata dall’obbligo di proseguire la realizzazione del raccordo, accollandosi l’onere dei relativi investimenti e dispensandola dalla prosecuzione delle procedure espropriative, sostiene che tenuta al pagamento dell’indennità di occupazione era esclusivamente l’ANAS, anche con riguardo alle aree già occupate ed utilizzate.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1298 e 1299 cod. civ. e degli artt. 6, 22bis , 49, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda di manleva, senza considerare che la stessa includeva la richiesta di essere tenuta indenne da ogni importo pagato in qualsiasi caso di soccombenza nei confronti dell’espropriata. Tale domanda era fondata su elementi diversi da quelli addotti in ordine alla domanda principale, trovando giustificazione nella titolarità dell’interesse sostanziale connesso alla realizzazione dell’opera pubblica, spettante all’AVP, in qualità di titolare dell’opera e beneficiaria dell’espropriazione, e nel vincolo di solidarietà passiva inerente all’obbligazione indennitaria, inscindibilmente riferibile ad essa concessionaria ed alla società subentrata nella concessione. Essa non poteva quindi considerarsi estranea all’oggetto del giudizio, il quale non è limitato alla liquidazione dell’indennità, ma si estende a tutte le questioni riguardanti l’identificazione
dei soggetti obbligati e i rapporti tra gli stessi, determinandosi altrimenti un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti del soggetto tenuto al pagamento, che sarebbe costretto a subire la perdita di un grado di giudizio.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 100 e 112 cod. proc. civ., degli artt. 1298 e 1299 cod. civ., e degli artt. 6, 22bis , 49, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, ribadendo le censure di cui al terzo motivo.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale, l’AVP deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3, 22-bis, comma quinto, 42-bis, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui l’ha ritenuta solidalmente obbligata al pagamento dell’indennità di occupazione, per essersi qualificata, nel provvedimento di acquisizione sanante, come soggetto subentrato nel procedimento espropriativo avviato dall’ACP, senza considerare che la procedura era stata interamente gestita da quest’ultima. Premesso che gli attori avevano limitato la loro pretesa al periodo compreso tra l’11 dicembre 2006 e il 10 novembre 2012, afferma di essere rimasta estranea al procedimento espropriativo, svoltosi in epoca anteriore al subingresso di essa controricorrente nella gestione del raccordo autostradale, verificatosi successivamente alla scadenza della dichiarazione di pubblica utilità. Premesso che l’acquisizione sanante non costituisce una modalità di conclusione del procedimento espropriativo, ma un rimedio per l’illecita utilizzazione di un bene per scopi d’interesse pubblico, afferma che, nonostante la sua unitarietà, il ristoro di cui all’art. 42-bis cit. comprende soltanto le voci connesse all’occupazione senza titolo ed alla perdita definitiva del bene, e non anche l’indennità dovuta per l’occupazione legittima, la cui fonte è costituita dal procedimento espropriativo. Precisato inoltre di non essere succeduta all’ACP nel rapporto controverso, poiché il debito relativo all’indennità di occupazione non era incluso tra quelli per i quali era prevista la successione del nuovo concessionario, sostiene di essersi limitata a porre rimedio all’illecito commesso dal concessionario uscente, attraverso l’acquisizione sanante.
I primi due motivi del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi entrambi ad oggetto l’individuazione del soggetto tenuto al pagamento della indennità, sono infondati.
Non merita infatti censura l’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che nei procedimenti pluripartecipati, come quello in esame, la potenziale dissociazione tra la figura dell’autorità espropriante e quella del beneficiario dell’espropriazione imponga, ai fini della predetta individuazione, l’accertamento in concreto della effettiva titolarità ed esercizio dei poteri espropriativi, tenendo conto che, ai sensi dell’art. 3, comma primo, del d.P.R. n. 327 del 2001, per «autorità espropriante» deve intendersi l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il concessionario di un’opera pubblica, al quale sia stato attribuito tale potere in base ad una norma, mentre per «beneficiario dell’espropriazione» deve intendersi il soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio.
Tale affermazione si pone perfettamente in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di espropriazione per pubblica utilità, secondo cui il soggetto tenuto al pagamento dell’indennità va generalmente individuato nell’ente beneficiario dell’espropriazione, salvo che nei procedimenti in cui l’esercizio del potere espropriativo di acquisizione delle aree e di cura delle procedure è condiviso, in relazione a fasi e momenti diversi, tra più soggetti, con la conseguenza che, ai fini dell’accertamento della titolarità passiva dell’obbligazione, il giudice è tenuto, in tali casi, ad analizzare il ruolo specifico assunto e i poteri concretamente esercitati da ciascun soggetto convenuto in giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 24/08/2022, n. 25294). In proposito, è stato precisato che l’ente beneficiario dell’espropriazione deve essere ordinariamente individuato sulla base di quanto risulta dal decreto ablativo, salvo che dallo stesso non emerga che il compito di procedere all’acquisizione delle aree e di curare le procedure espropriative sia stato affidato ad altri soggetti, i quali abbiano agito in nome proprio, accollandosi i relativi oneri, non risultando tuttavia sufficiente, a tal fine, un mero accordo interno, ma occorrendo una norma di legge o un provvedimento amministrativo a rilevanza esterna (cfr. Cass., Sez. I, 26/05/2022, n. 17058). Si è quindi affermato che l’assunzione degli obblighi indennitari da parte dell’affidatario dell’opera è configurabile, nei rapporti con gli espropriati, soltanto ove sia stato conferito al concessionario o all’appaltatore l’esercizio dei poteri espropriativi,
e tale conferimento non sia rimasto limitato ai rapporti interni con l’espropriante, essendosi l’affidatario manifestato, nei rapporti con l’espropriato, come titolare degli obblighi indennitari, oltre che investito dell’esercizio del potere espropriativo, e risultando invece irrilevante la sistemazione dei rapporti economici interni con il concedente (cfr. Cass., Sez. I, 12/09/2022, n. 26803; 20/03/2017, n. 7104; 3/07/2013, n. 16623).
In applicazione di tali principi, la sentenza impugnata ha proceduto ad un’approfondita disamina dei rapporti intercorsi tra le parti, rilevando innanzitutto che, in coerenza con la natura traslativa della concessione conferita dall’ANAS, approvata ai sensi dell’art. 8duodecies , comma secondo, del d.l. 8 aprile 2008, n. 59, introdotto dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, all’ACP era stata attribuita la posizione di beneficiaria e promotrice dell’espropriazione, espressamente menzionata nei decreti di occupazione, con conseguente assunzione dell’obbligo di corrispondere le relative indennità, ivi comprese non solo quelle maturate fino al 25 gennaio 2012, ma anche quelle maturate successivamente, fino alla scadenza del periodo di occupazione legittima. Premesso infatti che la concessione, scaduta il 1° ottobre 2011, era stata prorogata al 30 settembre 2013 con atto aggiuntivo del 1° agosto 2012, ha precisato che in quest’ultimo non vi era traccia dell’asserita limitazione del ruolo dell’ACP a quello di mera delegata, operante in nome e per conto dell’ANAS, avendo le parti convenuto la prosecuzione del rapporto di concessione nei medesimi termini previsti dalla convenzione originaria, modificata solo nella durata. Ha ritenuto ininfluente, in proposito, la convenzione sottoscritta il 25 gennaio 2012, con cui le parti avevano regolato le modalità di gestione del raccordo autostradale, attribuendo all’ACP la qualità di mandataria senza rappresentanza dell’ANAS, osservando che tale atto non escludeva che l’attività espropriativa fosse stata esercitata dalla concessionaria in nome e per conto proprio, come risultava dai decreti di occupazione.
Tale ricostruzione della fattispecie, nell’ambito della quale è stata ripetutamente evidenziata la portata non meramente interna dei poteri attribuiti alla concessionaria, in quanto richiamati (non già dall’art. 8duodecies , comma secondo, del d.l. n. 59 del 2008, che si era limitato ad approvare gli schemi di convenzione sottoscritti dall’ANAS, ma) nei decreti di occupazione,
non è stata validamente censurata dalla ricorrente, la quale, nel contestare l’interpretazione della convenzione fornita dalla Corte territoriale, si è limitata ad insistere sulla propria lettura dell’atto, senza indicare gli errori interpretativi o i vizi logici imputabili alla Corte d’appello, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una rivisitazione dell’accertamento risultante dall’ordinanza impugnata, non consentito al Giudice di legittimità, al quale non spetta il compito di riesaminare nel merito la controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, nonché la coerenza logico-formale del provvedimento impugnato, nei limiti in cui le relative anomalie motivazionali sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54, comma primo, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
Com’è noto, infatti, l’interpretazione del contratto, implicando la ricostruzione della comune intenzione delle parti, si traduce in un’indagine di fatto, riservata in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ovvero per illogicità ed incongruenza della motivazione, sempre che quest’ultimo vizio risulti talmente grave da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione. La parte che intenda censurare l’interpretazione del contratto fornita dal giudice di merito non può dunque limitarsi, come nella specie, a contrapporre la propria personale interpretazione a quella accolta dal provvedimento impugnato, ma è tenuta, in ossequio al principio di specificità dell’impugnazione e in conformità della natura del ricorso per cassazione, quale mezzo d’impugnazione a critica vincolata, ad indicare puntualmente i criteri interpretativi che ritiene violati e il modo e le argomentazioni con cui il giudice di merito se ne è discostato, oppure le incongruenze e le contraddizioni in cui lo stesso è incorso (cfr. Cass., Sez. I, 9/04/2021, n. 9461; 15/11/2017, n. 27136; Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28139).
Quanto poi all’errata percezione del contenuto della convenzione, essa, in quanto non incidente sul contenuto oggettivo dell’atto, cioè sul fatto probatorio in sé, ma sulla verifica logica della riconducibilità allo stesso dell’in-
formazione probatoria da esso desunta, e riflettente la lettura di un fatto probatorio sostanziale prospettata da una delle parti, può ben essere fatta valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 5/03/2024, n. 5792; Cass., Sez. III, 16/05/2025, n. 13085): nella specie, tuttavia, tale vizio non è riscontrabile, giacché le conclusioni cui è pervenuta l’ordinanza impugnata costituiscono il frutto non già di una falsa rappresentazione di elementi testuali contenuti o assenti nel documento prodotto, ma di una valutazione logico-giuridica della dichiarazione negoziale, censurabile, come si è detto, esclusivamente per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o per incongruenza o illogicità della motivazione.
Correttamente, infine, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’individuazione del soggetto tenuto al pagamento dell’indennità di occupazione, la circostanza che l’acquisizione della proprietà dei fondi, disposta ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, fosse intervenuta successivamente alla scadenza del periodo di occupazione legittima, essendo quest’ultima cessata il 10 novembre 2012, e quindi in epoca anteriore alla scadenza della concessione, così come prorogata dall’atto aggiuntivo del 1° agosto 2012: poiché, infatti, ai sensi dell’art. 50, comma primo, del d.P.R. n. 327 del 2001, richiamato dall’art. 22bis , comma quinto, l’indennità dev’essere calcolata in relazione a periodi di un anno e corrisposta al termine di ciascun anno di occupazione, il relativo credito non matura né alla data di emissione del decreto di espropriazione né a quella di cessazione dell’occupazione legittima, ma alla scadenza delle singole annualità, in relazione alle quali dev’essere individuato il soggetto obbligato a corrisponderla (cfr. Cass., Sez. I, 3/ 07/2019, n. 17797; 28/05/2012, n. 8452; 14/03/2006, n. 5520).
7. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi anch’essi congiuntamente, in quanto riguardanti l’ammissibilità della domanda di manleva proposta dalla ricorrente nei confronti del Ministero, sono parimenti infondati.
Nel dichiarare l’inammissibilità della predetta domanda, l’ordinanza impugnata si è attenuta al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in sede di opposizione alla stima non può trovare ingresso la domanda proposta in via subordinata da uno dei soggetti convenuti nei confronti dell’altro, per essere tenuto indenne dalle conseguenze econo-
miche di un’eventuale condanna, in virtù della convenzione sottesa al provvedimento di concessione, dal momento che la stessa introduce questioni estranee all’oggetto del giudizio, costituito dalla determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione, e riconducibili all’alveo della c.d. garanzia impropria, il cui esame può compromettere la celerità della definizione della controversia (cfr. Cass., Sez. I, 25/11/2015, n. 24036). Tale principio, enunciato in riferimento alla domanda di manleva proposta dal concessionario nei confronti del concedente, deve ritenersi applicabile anche al caso in cui, come nella specie, la domanda sia stata proposta nei confronti del soggetto subentrato alla concessione, giacché anche quest’ultima introduce questioni estranee all’oggetto del giudizio, e riguardanti la regolamentazione dei rapporti interni tra i soggetti succedutisi nella posizione di promotore e beneficiario dell’espropriazione. La competenza della Corte d’appello in unico grado, già prevista dall’art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e ribadita dall’art. 29, comma secondo, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, in quanto circoscritta alla domanda di determinazione dell’indennità dovuta al proprietario del bene espropriato ed a quelle accessorie di riconoscimento degl’interessi e dell’eventuale maggior danno per il ritardato pagamento, ha infatti carattere funzionale, e non può quindi essere estesa anche alla domanda volta ad accertare chi, nei rapporti interni tra i soggetti obbligati al pagamento dell’indennità, sia quello tenuto in ultima analisi a sopportare le conseguenze economiche della condanna, spettando il relativo giudizio al giudice di primo grado, in base agli ordinari criteri di competenza, che prevedono un doppio grado di giurisdizione di merito (cfr. Cass., Sez. I, 1/12/2011, n. 25718; 18/ 08/2006, n. 18188; 2/02/1995, n. 1234).
Non merita consenso, in contrario, la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui la domanda in questione è caratterizzata dalla medesima causa petendi di quella di determinazione delle indennità di espropriazione ed occupazione, trovando fondamento nel vincolo di solidarietà che contraddistingue l’obbligazione indennitaria, inscindibilmente e simultaneamente riferibile a tutti i coobbligati, in quanto ricollegabile al medesimo titolo espropriativo, rispetto al quale le vicende successive alla scadenza della concessione si pongono in rapporto di continuità, essendo unitariamente orientate
al medesimo fine pubblico, costituito dalla realizzazione dell’opera. Il vincolo di solidarietà configurabile tra i soggetti obbligati al pagamento dell’indennità, in virtù dell’identità della prestazione cui sono tenuti nei confronti del proprietario espropriato, la cui fonte è rappresentata dalla legge, non esclude infatti la diversità del titolo in base al quale uno di essi è tenuto a rivalere l’altro, rappresentato dall’atto con cui, nei rapporti interni, sia stata disciplinata l’incidenza degli oneri economici collegati all’acquisizione delle aree necessarie per la realizzazione dell’opera pubblica, nell’ambito del regolamento d’interessi sotteso al subingresso nel rapporto relativo alla costruzione ed eventualmente alla gestione della stessa, che costituiscono oggetto della concessione.
8. E’ invece fondato l’unico motivo del ricorso incidentale, riguardante l’affermazione della responsabilità solidale dell’AVP per il pagamento dell’indennità di occupazione.
Non può infatti condividersi l’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che la predetta società, avendo provveduto all’emissione del decreto di acquisizione sanante del fondo occupato, nel quale si era qualificata come soggetto subentrante all’ACP nella gestione dell’autostrada e titolare del procedimento espropriativo da essa iniziato, avesse in tal modo palesato la titolarità dell’intera procedura ablatoria, ivi compresa la fase dell’occupazione legittima, con il conseguente obbligo di provvedere al pagamento della relativa indennità.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, il provvedimento di cui all’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 non rappresenta un rimedio all’illecito costituito dall’occupazione sine titulo del fondo di proprietà privata per la realizzazione dell’opera pubblica, ma è volto a ripristinare (con effetto ex nunc ) la legalità amministrativa violata, configurandosi quindi come un’ extrema ratio per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico: il relativo procedimento non costituisce pertanto la prosecuzione di quello eventualmente avviato con l’occupazione del fondo, ma un nuovo procedimento, che richiede un’autonoma valutazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico che giustificano l’acquisizione del bene utilizzato al patrimonio indisponibile, in funzione del man-
tenimento dell’opera pubblica realizzata o, comunque, delle modificazioni apportate al bene (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/2019, n. 29466; 21/02/2019, n. 5201; 6/02/2019, n. 3517; Cass., Sez. I, 26/03/2024, n. 8163; Cons. Stato, Ad. Plen., 20/01/2020, n. 4; Cons. Stato, Sez. II, 12/02/2020, n. 1087). Non a caso, i commi primo e terzo dell’art. 42bis , nell’indicare i criteri per la liquidazione del ristoro dovuto al proprietario, prevedono, oltre al riconoscimento dell’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale, commisurato al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità, e di quello per il pregiudizio non patrimoniale, nella misura del 10% del valore venale, l’ulteriore computo dell’interesse del 5% annuo sul medesimo valore, «a titolo risarcitorio» «per il periodo di occupazione senza titolo», se dagli atti del procedimento non risulta la prova di un danno diverso, senza fare alcun cenno all’indennità dovuta per l’eventuale periodo di occupazione legittima, la quale costituisce oggetto di un’obbligazione distinta ed autonoma, avente la sua fonte nel precedente provvedimento di occupazione, a meno che lo stesso, ove esistente, non sia stato a sua volta dichiarato illegittimo.
L’ordinanza impugnata ha d’altronde accertato che, al momento del subingresso dell’AVP nella concessione relativa alla realizzazione ed alla gestione dell’autostrada, il periodo di occupazione legittima era già cessato, essendo scaduto il relativo termine finale il 10 novembre 2012, e quindi in data anteriore alla cessazione del rapporto di concessione tra l’ANAS e l’ACP, verificatasi il 30 settembre 2013, a seguito della proroga prevista dalla convenzione del 1° agosto 2012. L’AVP non avrebbe quindi potuto essere considerata responsabile delle obbligazioni dalla stessa scaturenti, non avendo partecipato al procedimento promosso per l’espropriazione del fondo, nell’ambito del quale era stato emesso il provvedimento di occupazione, e non essendo subentrata neppure nel possesso materiale dell’immobile, in pendenza dell’occupazione legittima, ma avendone acquisito la disponibilità soltanto in epoca successiva. Nessun rilievo potrebbero assumere, in contrario, le pattuizioni eventualmente intervenute tra l’ACP e l’AVP ai fini del subingresso nel rapporto di concessione, essendo le stesse volte esclusivamente a regolare i rapporti interni tra le parti, e non potendo pertanto estendere i loro effetti alle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi.
Il ricorso principale va pertanto rigettato, mentre va accolto quello incidentale, con la conseguente cassazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha condannato l’AVP al pagamento dell’indennità di occupazione, in solido con l’ACP.
Non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda di pagamento dell’indennità di occupazione proposta dagli attori nei confronti dell’AVP.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nei rapporti tra l’ACP e le parti controricorrenti, e si liquidano come dal dispositivo. Nei rapporti tra i COGNOME e l’AVP, l’accoglimento del ricorso incidentale, con il rigetto parziale della domanda proposta dagli attori, giustifica la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità e quella di un terzo delle spese del giudizio di merito, che per il residuo vanno poste a carico dell’AVP, quale parte soccombente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa l’ordinanza impugnata, in relazione alle censure accolte, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione proposta dagli attori nei confronti della RAGIONE_SOCIALE Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuna delle parti controricorrenti in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna la Società RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, dei due terzi delle spese del giudizio di merito, che liquida per la quota in Euro 14.735,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 1.142,00, ed agli accessori di legge, compensando tra le parti il residuo e le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’11/03/2025