Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21040 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16388/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. Prof. NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elet- tronica certificata: e
;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore p.t. Dott. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il se- guente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
– controricorrente –
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21040 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Mini-
stro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
-controricorrente -avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Brescia n. 1212/23, depositata il
18 maggio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il curatore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio l’Autostrade Centro Padane RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, proponendo opposizione alla stima dell’indennità dovuta alla società fallita, in qualità di avente causa della RAGIONE_SOCIALE, per l’occupazione d’urgenza di un’area della superficie di 13.713 mq. sita in Flero e riportata in Catasto al foglio 11, particelle 25, 63, 64 e 65.
A sostegno della domanda, riferì che l’occupazione, disposta con decreto del 25 ottobre 2006 per la realizzazione del raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto, il nuovo casello di Poncarale e l’aeroporto di Montichiari, aveva avuto luogo in virtù del provvedimento n. 24/05 del CIPE, con cui era stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera, e del decreto del Presidente dell’ANAS del 29 ottobre 2010, con cui era stato prorogato di 730 giorni il termine fissato per il compimento delle procedure espropriative, si era protratta dal 19 dicembre 2006 al 10 novembre 2012, e non era stata seguita dall’emissione del decreto di esproprio.
Si costituì l’ACP, sostenendo di non essere tenuta al pagamento dell’indennità, non avendo più avuto alcun ruolo nella procedura espropriativa, né alla data di cessazione dell’occupazione legittima né successivamente, per effetto dell’intervenuta scadenza della concessione relativa all’esercizio dell’autostrada Piacenza-Cremona-Brescia; aggiunse di aver agito, dal 25 gennaio 2012, soltanto in qualità di mandataria dell’ANAS, che l’aveva sollevata dall’obbligo di proseguire la realizzazione delle opere, ed eccepì la pre-
scrizione del diritto all’indennità, chiedendo in subordine la condanna del Ministero al rimborso delle somme dovute all’attore.
Si costituì inoltre il Ministero, ed eccepì a sua volta di non essere tenuto al pagamento dell’indennità, non rivestendo le qualità né di promotore né di beneficiario dell’espropriazione, spettanti all’ACP, anche in virtù della natura traslativa della concessione, contestando la sussistenza di un vincolo di solidarietà con la concessionaria, ed opponendo anch’esso la prescrizione del diritto azionato.
1.1. Con ordinanza del 18 maggio 2023, la Corte d’appello di Brescia ha accolto la domanda, determinando l’indennità di occupazione in Euro 70.232,34, e disponendone il deposito da parte dell’ACP e del Ministero presso il Ministero dell’economia e delle finanze, detratto l’importo già versato, con gl’interessi legali dal 17 novembre 2017.
A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato che con decreto del 23 marzo 2006 il Direttore generale dell’ANAS aveva equiparato l’ACP all’autorità espropriante, in quanto promotrice e beneficiaria dell’espropriazione, escludendo che tale ruolo fosse stato modificato fino al 30 novembre 2013, giacché con convenzione sottoscritta il 7 novembre 2007 era stata ribadita la qualità di concessionaria della società, richiamandosi la precedente convenzione del 26 giugno 1973, e con atto aggiuntivo del 1° agosto 2012 erano state concordate soltanto alcune integrazioni e modifiche alla convenzione dal 2007, senza menzionare in alcun modo la scrittura privata sottoscritta il 25 gennaio 2012, con cui l’ACP aveva assunto la gestione del tratto di autostrada, in qualità di mandataria dell’ANAS.
Quanto al Ministero, premesso che il ricorso alla concessione traslativa non comporta l’esonero del concedente da ogni responsabilità in ordine alle procedure espropriative, a tal fine occorrendo una legge che espressamente autorizzi l’attribuzione all’affidatario dei poteri espropriativi e l’accollo da parte dello stesso degli obblighi indennitari e risarcitori, la Corte ha rilevato che l’omessa produzione in giudizio del decreto del 23 marzo 2006 impediva di stabilire se fossero stati trasferiti al concessionario anche gli oneri economici, aggiungendo che, anche in presenza della delega, esso doveva ritenersi beneficiario dell’espropriazione, in quanto portatore dell’interesse pubblico
per la cui soddisfazione era stata avviata la procedura espropriativa.
Ai fini della determinazione dell’indennità, la Corte ha richiamato la relazione del c.t.u., dalla quale emergeva che l’area occupata, inclusa in parte in zona agricola e in parte in zona commerciale terziaria alberghiera di espansione, era destinata fin dall’origine a standard , ed ha ritenuto quindi congruo il valore di Euro 11,00 al mq. per la parte classificata come seminativo irriguo e prato irriguo ed Euro 1,00 al mq. per la parte incolta.
Ha poi disatteso l’eccezione di prescrizione, escludendo la configurabilità dell’indennità di occupazione come prestazione periodica, ritenendo quindi applicabile l’ordinario termine decennale ed ancorandone la decorrenza alla scadenza di ciascun anno di occupazione, nonché rilevando che la prescrizione era stata interrotta con lettera inviata all’ACP e al Ministero il 17 novembre 2017.
La Corte ha infine rigettato la domanda di manleva proposta dall’ACP nei confronti del Ministero, ritenendola estranea all’oggetto del giudizio, in quanto volta a stabilire chi, nei rapporti interni, dovesse sopportare l’onere economico dell’indennità.
Avverso la predetta ordinanza l’ACP ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi il Ministero ed il curatore, il quale ha depositato anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 5, 6, 22bis , 49, 50 e 54 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto la sua legittimazione passiva, in virtù della mancata modifica della concessione ad opera della convenzione del 25 gennaio 2012 e dell’atto aggiuntivo del 1° agosto 2012, senza considerare che l’obbligazione di pagamento dell’indennità non trae origine dalla concessione, ma deriva direttamente dalla legge, trovando giustificazione nel ruolo rivestito dall’interessato nel procedimento espropriativo, da accertarsi in riferimento alla data della liquidazione e del versamento dell’indennità. Sostiene che, essendo l’occupazione preordinata
all’esproprio, la relativa indennità non è volta a compensare il mancato godimento del bene, ma l’anticipata privazione della disponibilità dello stesso in funzione della realizzazione dell’interesse pubblico, di cui è titolare non già l’occupante, ma il beneficiario finale dell’opera: ai fini della legittimazione passiva, è pertanto necessaria la permanenza della titolarità dell’interesse pubblico fino al momento dell’adempimento dell’obbligazione, anche nel caso in cui l’occupazione non sia seguita dall’espropriazione.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., osservando che il riconoscimento della sua legittimazione passiva trae origine da un’errata percezione del contenuto dell’atto aggiuntivo del 25 gennaio 2012, la quale, nel regolare i rapporti inerenti alla gestione del raccordo autostradale, le attribuiva la qualità di mandataria senza rappresentanza, cui spettava non già il possesso, ma la mera detenzione del fondo per conto dell’ANAS. Premesso che con tale atto e con la scrittura privata del 1° agosto 2012 la concedente l’aveva liberata dall’obbligo di proseguire la realizzazione del raccordo, accollandosi l’onere dei relativi investimenti e dispensandola dalla prosecuzione delle procedure espropriative, sostiene che tenuta al pagamento dell’indennità di occupazione era esclusivamente l’ANAS, anche con riguardo alle aree già occupate ed utilizzate.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1298 e 1299 cod. civ. e degli artt. 6, 22bis , 49, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda di manleva, senza considerare che la stessa includeva la richiesta di essere tenuta indenne da ogni importo pagato in qualsiasi caso di soccombenza nei confronti dell’espropriata. Tale domanda non era caratterizzata da una causa petendi distinta ed autonoma rispetto a quella della domanda di liquidazione dell’indennità, trovando fondamento nel vincolo di solidarietà costituitosi con il Ministero per effetto dell’inscindibilità dell’obbligazione indennitaria, ricollegabile alla titolarità da parte del Ministero dell’interesse cui era finalizzata l’occupazione ed al ruolo svolto da essa ricorrente dopo la scadenza della concessione. Essa non poteva quindi considerarsi estranea all’oggetto del giudizio, il quale non è limitato alla liquidazione dell’indennità, ma si estende a tutte le questioni riguardanti l’identificazione
dei soggetti obbligati e i rapporti tra gli stessi, determinandosi altrimenti un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti del soggetto tenuto al pagamento, che sarebbe costretto a subire la perdita di un grado di giudizio.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 100 e 112 cod. proc. civ., degli artt. 1298 e 1299 cod. civ., e degli artt. 6, 22bis , 49, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, ribadendo le censure di cui al terzo motivo.
I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi entrambi ad oggetto l’individuazione del soggetto tenuto al pagamento della indennità, sono infondati.
Correttamente, infatti, l’ordinanza impugnata ha ritenuto che nei procedimenti pluripartecipati, come quello in esame, la potenziale dissociazione tra la figura dell’autorità espropriante e quella del beneficiario dell’espropriazione imponga, ai fini della predetta individuazione, l’accertamento in concreto della effettiva titolarità ed esercizio dei poteri espropriativi, tenendo conto che, ai sensi dell’art. 3, comma primo, del d.P.R. n. 327 del 2001, per «autorità espropriante» deve intendersi l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il concessionario di un’opera pubblica, al quale sia stato attribuito tale potere in base ad una norma, mentre per «beneficiario dell’espropriazione» deve intendersi il soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio.
Tale affermazione si pone perfettamente in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di espropriazione per pubblica utilità, secondo cui il soggetto tenuto al pagamento dell’indennità va generalmente individuato nell’ente beneficiario dell’espropriazione, salvo che nei procedimenti in cui l’esercizio del potere espropriativo di acquisizione delle aree e di cura delle procedure è condiviso, in relazione a fasi e momenti diversi, tra più soggetti, con la conseguenza che, ai fini dell’accertamento della titolarità passiva dell’obbligazione, il giudice è tenuto, in tali casi, ad analizzare il ruolo specifico assunto e i poteri concretamente esercitati da ciascun soggetto convenuto in giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 24/08/2022, n. 25294). In proposito, è stato precisato che l’ente beneficiario dell’espropriazione dev’essere ordinariamente individuato sulla base di quanto risulta dal decreto
ablativo, salvo che dallo stesso non emerga che il compito di procedere all’acquisizione delle aree e di curare le procedure espropriative sia stato affidato ad altri soggetti, i quali abbiano agito in nome proprio, accollandosi i relativi oneri, non risultando tuttavia sufficiente, a tal fine, un mero accordo interno, ma occorrendo una norma di legge o un provvedimento amministrativo a rilevanza esterna (cfr. Cass., Sez. I, 26/05/2022, n. 17058). Si è quindi affermato che l’assunzione degli obblighi indennitari da parte dell’affidatario dell’opera è configurabile, nei rapporti con gli espropriati, soltanto ove sia stato conferito al concessionario o all’appaltatore l’esercizio dei poteri espropriativi, e tale conferimento non sia rimasto limitato ai rapporti interni con l’espropriante, essendosi l’affidatario manifestato, nei rapporti con l’espropriato, come titolare degli obblighi indennitari, oltre che investito dell’esercizio del potere espropriativo, e risultando invece irrilevante la sistemazione dei rapporti economici interni con il concedente (cfr. Cass., Sez. I, 12/09/2022, n. 26803; 20/03/2017, n. 7104; 3/07/2013, n. 16623).
In applicazione di tali principi, la sentenza impugnata ha proceduto ad un’approfondita disamina dei rapporti intercorsi tra le parti, rilevando innanzitutto che all’ACP era stata attribuita la posizione di beneficiaria e promotrice dell’espropriazione, con decreto emesso dal Direttore generale dell’ANAS il 23 marzo 2006, con conseguente assunzione dell’obbligo di corrispondere sia le indennità provvisorie che quelle integrative maturate anno per anno. Precisato che tale provvedimento era stato espressamente menzionato nel decreto di espropriazione, ha escluso che la predetta posizione, derivante dalla convenzione stipulata con l’ANAS il 7 novembre 2007, avesse subìto modificazioni per effetto dell’atto aggiuntivo stipulato il 1° agosto 2012 o di una scrittura privata sottoscritta il 25 gennaio 2012, rilevando in particolare che quest’ultima, oltre a non essere menzionata nell’atto successivo, aveva ad oggetto esclusivamente la disciplina degli obblighi inerenti alla gestione dell’autostrada.
Tale ricostruzione della fattispecie, nell’ambito della quale è stata specificamente evidenziata la portata non meramente interna dei poteri attribuiti alla concessionaria, in quanto richiamati nel decreto di occupazione, non è stata validamente censurata dalla ricorrente, la quale, nel contestare l’inter-
pretazione della convenzione fornita dalla Corte territoriale, si è limitata ad insistere sulla propria lettura dell’atto, senza indicare gli errori interpretativi o i vizi logici imputabili alla Corte d’appello, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una rivisitazione dell’accertamento risultante dall’ordinanza impugnata, non consentito al Giudice di legittimità, alla quale non spetta il compito di riesaminare nel merito la controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, nonché la coerenza logico-formale del provvedimento impugnato, nei limiti in cui le relative anomalie motivazionali sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54, comma primo, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
Com’è noto, infatti, l’interpretazione del contratto, implicando la ricostruzione della comune intenzione delle parti, si traduce in un’indagine di fatto, riservata in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ovvero per illogicità ed incongruenza della motivazione, sempre che quest’ultimo vizio risulti talmente grave da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione. La parte che intenda censurare l’interpretazione del contratto fornita dal giudice di merito non può dunque limitarsi, come nella specie, a contrapporre la propria personale interpretazione a quella accolta dal provvedimento impugnato, ma è tenuta, in ossequio al principio di specificità dell’impugnazione e in conformità della natura del ricorso per cassazione, quale mezzo d’impugnazione a critica vincolata, ad indicare puntualmente i criteri interpretativi che ritiene violati e il modo e le argomentazioni con cui il giudice di merito se ne è discostato, oppure le incongruenze e le contraddizioni in cui lo stesso è incorso (cfr. Cass., Sez. I, 9/04/2021, n. 9461; 15/11/2017, n. 27136; Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28139).
Quanto poi all’errata percezione del contenuto della convenzione, essa, in quanto non incidente sul contenuto oggettivo dell’atto, cioè sul fatto probatorio in sé, ma sulla verifica logica della riconducibilità allo stesso dell’informazione probatoria da esso desunta, e riflettente la lettura di un fatto pro-
batorio sostanziale prospettata da una delle parti, può ben essere fatta valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 5/03/2024, n. 5792; Cass., Sez. III, 16/05/2025, n. 13085): nella specie, tuttavia, tale vizio non è riscontrabile, giacché le conclusioni cui è pervenuta l’ordinanza impugnata costituiscono il frutto non già di una falsa rappresentazione di elementi testuali contenuti o assenti nel documento prodotto, ma di una valutazione logico-giuridica della dichiarazione negoziale, censurabile, come si è detto, esclusivamente per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o per incongruenza o illogicità della motivazione.
6. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi anch’essi congiuntamente, in quanto riguardanti l’ammissibilità della domanda di manleva proposta dalla ricorrente nei confronti del Ministero, sono parimenti infondati.
Nel dichiarare l’inammissibilità della predetta domanda, l’ordinanza impugnata si è attenuta al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in sede di opposizione alla stima non può trovare ingresso la domanda proposta in via subordinata da uno dei soggetti convenuti nei confronti dell’altro, per essere tenuto indenne dalle conseguenze economiche di un’eventuale condanna, in virtù della convenzione sottesa al provvedimento di concessione, dal momento che la stessa introduce questioni estranee all’oggetto del giudizio, costituito dalla determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione, e riconducibili all’alveo della c.d. garanzia impropria, il cui esame può compromettere la celerità della definizione della controversia (cfr. Cass., Sez. I, 25/11/2015, n. 24036). La competenza della Corte d’appello in unico grado, già prevista dall’art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e ribadita dall’art. 29, comma secondo, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, in quanto circoscritta alla domanda di determinazione dell’indennità dovuta al proprietario del bene espropriato ed a quelle accessorie di riconoscimento degl’interessi e dell’eventuale maggior danno per il ritardato pagamento, ha infatti carattere funzionale, e non può quindi essere estesa anche alla domanda volta ad accertare chi, nei rapporti interni tra i soggetti obbligati al pagamento dell’indennità, sia quello tenuto in ultima analisi a sopportare le conseguenze economiche della condanna, spettando il relativo giudizio al giudice di primo grado, in base agli ordinari criteri di com-
petenza, che prevedono un doppio grado di giurisdizione di merito (cfr. Cass., Sez. I, 1/12/2011, n. 25718; 18/08/2006, n. 18188; 2/02/1995, n. 1234).
Non merita consenso, in contrario, la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui la domanda in questione è caratterizzata dalla medesima causa petendi di quella di determinazione delle indennità di espropriazione ed occupazione, trovando fondamento nel vincolo di solidarietà che contraddistingue l’obbligazione indennitaria, inscindibilmente e simultaneamente riferibile al beneficiario dell’espropriazione ed al concessionario, in quanto ricollegabile al medesimo titolo espropriativo, rispetto al quale le vicende successive alla scadenza della concessione si pongono in rapporto di continuità, essendo unitariamente orientate al medesimo fine pubblico, costituito dalla realizzazione dell’opera. Il vincolo di solidarietà configurabile tra i soggetti obbligati al pagamento dell’indennità, in virtù dell’identità della prestazione cui sono tenuti nei confronti del proprietario espropriato, la cui fonte è rappresentata dalla legge, non esclude infatti la diversità del titolo in base al quale uno di essi è tenuto a rivalere l’altro, rappresentato dalla convenzione con cui, nei rapporti interni, essi abbiano disciplinato l’incidenza degli oneri economici collegati all’acquisizione delle aree necessarie per la realizzazione dell’opera pubblica, nell’ambito del regolamento d’interessi complessivamente sotteso alla costruzione ed eventualmente alla gestione della stessa, che costituiscono oggetto della concessione.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, in favore del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, ed in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, in favore del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’11/03/2025