Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11587 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11587 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13473-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4384/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/12/2021 R.G.N. 3089/2017;
Oggetto
R.G.N.13473/2022
COGNOME
Rep.
Ud.29/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di prime cure che aveva dichiarato il diritto dell’attuale controricorrente a percepire l’indennità di mobilità richiesta a seguito della cessazione del rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, avvenuta a seguito di licenziamento collettivo;
avverso tale sentenza ricorre l’INPS per tre motivi, resiste la controparte con controricorso, illustrato da memoria;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, l’INPS denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 2697 c.c. e art. 416 c.p.c. per non avere la Corte di merito accertato che l’odierna parte controricorrente avesse dato prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, e segnatamente che RAGIONE_SOCIALE appartenesse al novero delle imprese i cui lavoratori sono ammessi a beneficiare dell’indennità di mobilità, ciò che nel ricorso introduttivo non aveva formato oggetto di specifica allegazione;
con il secondo motivo, l’INPS lamenta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte territoriale travisato il senso dell’estratto telematico prodotto in atti e da cui risultava la tipologia di contribuzione previdenziale che RAGIONE_SOCIALE era tenuta a versare e in specie l’esclusione, per quanto qui rileva, dei contributi per mobilità;
con il terzo motivo, l’INPS si duole di violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5, 7, 12 e 16, del D.L. n. 148 del 1993, art. 7, comma 7, (conv. con L. n.
236 del 1993), e della L. n. 92 del 2012, art. 3, comma 1, per avere la Corte di merito ritenuto che RAGIONE_SOCIALE fosse annoverabile tra le imprese rientranti nel campo di applicazione della cassa integrazione straordinaria;
al riguardo, va premesso che i giudici territoriali, dopo aver ricordato che il giudice di prime cure aveva accolto la domanda sul duplice rilievo che non fosse in contestazione la sussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento del diritto e che l’inadempimento datoriale concernente la contribuzione prevista per la mobilità non poteva ridondare in danno del lavoratore assicurato, hanno espressamente negato che la sussistenza dei presupposti di legge per la concessione del beneficio de quo avesse formato oggetto di espressa contestazione dell’INPS, nonostante la compiuta allegazione all’uopo contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio (cfr. motivazione della sentenza impugnata), rilevando altresì che nella memoria di costituzione in primo grado l’INPS non aveva affatto dedotto che RAGIONE_SOCIALE non rientrasse nel novero delle imprese tenute al versamento dei contributi L. n. 223 del 1991, ex art. 12, ma soltanto che nella specie tali contributi non erano stati versati, per modo che non soltanto non poteva dirsi espressamente contestata l’appartenenza di RAGIONE_SOCIALE al novero delle aziende i cui lavoratori possono beneficiare dell’indennità di mobilità, ma soprattutto tale prospettazione risultava affatto nuova e, conseguentemente, inammissibile;
così ricostruito il dictum della sentenza impugnata, appare evidente che i motivi di ricorso, ancorché dissimulati sub specie di violazione di legge sostanziale e processuale, mirano piuttosto a censurare l’accertamento di fatto in virtù del quale entrambi i giudici di merito, in mancanza di
espressa non contestazione da parte dell’odierno ricorrente, hanno reputato provati i presupposti per l’accoglimento della domanda, e specialmente che la datrice di lavoro dell’odierna controricorrente fosse impresa commerciale rientrante nell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinaria (cfr. sul punto la decisa affermazione nella sentenza impugnata), ciò che nella specie non è possibile in virtù della preclusione di cui all’art. 348ter c.p.c., u.c., vigente ratione temporis (v., in termini, Cass. n. 24811 del 2023);
il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.000,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. ai sensi dell’art.13,co.1 -quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 gennaio