Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33708 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33708 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16235/2021 R.G. proposto da : COGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura centrale, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME unitamente agli avvocati COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3366/2020 pubblicata il 03/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 3366/2020 pubblicata il 3 dicembre 2020, ha accolto il gravame proposto dall’RAGIONE_SOCIALE nella controversia con NOME COGNOME
La controversia ha per oggetto il riconoscimento della indennità di mobilità ex art.7 legge n.223/1991.
Il Tribunale di Napoli accoglieva le domande proposte dal Sessa, sul presupposto del diritto alla iscrizione nelle liste di mobilità, accertato in sede giudiziale in altro procedimento.
La corte territoriale ha richiamato l’orientamento di Cass. S.U. 17389/2002, ed ha ritenuto che il diritto alla indennità di mobilità fosse subordinato alla presentazione della domanda nel termine di decadenza di giorni sessanta decorrenti dall’inizio della disoccupazione indennizzabile. Ha poi aggiunto che non potesse ritenersi equipollente alla presentazione della domanda la mera iscrizione nelle liste di mobilità; iscrizione che costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente, per il riconoscimento della relativa indennità.
Per la Cassazione della sentenza ricorre il Sessa, con ricorso affidato a due motivi ed illustrato da memoria . L’I.N.P.S. resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo lamenta il difetto di motivazione e/o l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all’art.360 comma primo n.5 cod. proc. civ., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art.129 R.d.l. n.1827/1935, anche in relazione agli arttt.2964 e 2969 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. Sostiene il ricorrente
che da tutti gli atti del giudizio di merito risultava ─ ed anzi era pacifica ─ la presentazione della domanda per la corresponsione della indennità di disoccupazione speciale, entro il termine previsto a pena di decadenza. Deduce che tale fatto non è stato esaminato dalla corte territoriale, e che nei termini previsti a pena di decadenza è stata presentata l’unica domanda che in quel momento poteva essere presentata. Allega che solo all’esito del giudizio promosso avanti al tribunale di Napoli nei confronti della Regione Campania, nel quale era stato riconosciuto il suo diritto all’iscrizione delle liste di mobilità, si erano realizzati tutti i presupposti per richiedere il pagamento della indennità di mobilità; e che pertanto solo a partire da quel momento il diritto oggetto di causa poteva essere esercitato, non potendosi esercitare né tantomeno far valere un diritto ancora in fieri.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.129 R.d.l. n.1827/1935, anche in relazione all’art.3 Cost., 1, 12 e 14 Preleggi, artt.1362 e segg. cod. civ., artt. 2964, 2968 e 2969 cod. civ., artt. 4, 5, 6 e 7 legge n.223/1991, con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. Sostiene che la nuova normativa in materia di mobilità non prevede espressamente il termine ritenuto a pena di decadenza dalla corte territoriale. Afferma che l’art.7 della legge n.223/1991 non solo non prevede alcun termine per la presentazione della domanda di indennità di mobilitò, ma nemmeno prevede la necessità di alcuna domanda. Deduce che la interpretazione sistematica della corte territoriale contrasta con il divieto di applicazione analogica di un termine a pena di decadenza.
Sostiene il ricorrente che dalla documentazione versata in atti risulta provato che nel termine decadenziale di giorni 60 aveva proposto l’unica domanda che, allo stato, poteva presentare appunto ossia quella per la corresponsione dell’indennità di
disoccupazione. Deduce che la presentazione di tale domanda è da ritenersi interruttiva del termine previsto a pena di decadenza. Lamenta che la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare d’ufficio l’interruzione del termine previsto appena di decadenza per effetto della presentazione della domanda di disoccupazione. Deduce che solo all’esito del giudizio promosso avanti al tribunale di Napoli nei confronti della Regione Campania, nel quale era stato riconosciuto il suo diritto all’iscrizione delle liste di mobilità, si erano realizzati tutti i presupposti per richiedere il pagamento della indennità di mobilità; e che pertanto solo a partire da quel momento il diritto oggetto di causa poteva essere esercitato, non potendosi esercitare né tantomeno far valere un diritto ancora in fieri.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione.
Deve in privo luogo dichiararsi la inammissibilità della censura (parte del primo motivo) sollevata ex art.360 comma primo n.5 cod. proc. civ. In disparte da ogni altra considerazione, dalla motivazione della sentenza della corte territoriale risulta che questa abbia esaminato e preso in considerazione il fatto della presentazione domanda per la corresponsione della indennità di disoccupazione speciale, ritenendola però non decisiva, in quanto era invece necessaria la proposizione di una domanda ulteriore e diversa.
Per quanto riguarda la disciplina della decadenza dal diritto alla indennità di mobilità si intende dare continuità al costante orientamento di questa Corte, secondo il quale «ai fini del riconoscimento dell’indennità di mobilità di cui all’art. 7, comma 12, della l. n. 223 del 1991, costituente un trattamento di disoccupazione di fonte legale, è necessaria la proposizione di specifica domanda amministrativa all’Istituto previdenziale, nel termine di decadenza di sessantotto giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, essendo irrilevante che lo stesso sia regolare
o irregolare e che la sua causa di estinzione si sia prodotta in modo formale o meno (Cass. n. 10747/22, 7521/17)» (Cass. 14/07/2023, n.20372).
7. Tale orientamento trova il fondamento proprio nelle disposizioni che il ricorrente assume violate, ossia quelle dettate in via generale in materia di decadenza dagli artt.2964 e segg. cod. civ.. Disposizioni che sono espressione della necessità di contenere lo stato di incertezza afferente ad una determinata situazione giuridica entro un termine molto breve. Tale finalità sarebbe frustrata laddove ─ come prospettato dal ricorrente ─ dovesse ritenersi necessario il previo accertamento in sede giurisdizionale dei presupposti per l’esercizio del diritto. Del resto, l’art.2966 cod. civ., nel prevedere che la decadenza «non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge», chiarisce che la fattispecie astratta non è costituita dalla effettiva sussistenza di tutti gli elementi previsti per l’esercizio del diritto vantato, ma solo dal compimento dell’atto previsto dalla legge a pena di decadenza.
7 . In questi termini deve essere interpretato l’art.129 R.d.l. n. 1827/1935, laddove prevede che: «Cessa il diritto nell’assicurato di essere ammesso al godimento dell’indennità di disoccupazione ovvero di riscuotere l’indennità già concessagli qualora siano decorsi sessanta giorni da quello d’inizio della disoccupazione indennizzabile, ovvero da quello fissato per il pagamento, senza che l’assicurato medesimo abbia avanzata domanda di ammissione o pagamento dell’indennità o senza che si sia presentato per la riscossione dell’indennità concessagli». Il sintagma «disoccupazione indennizzabile» è univocamente riferibile alla disoccupazione in astratto indennizzabile, fatti salvi i successivi accertamenti degli uffici competenti. Sul punto è costante l’orientamento di questa Corte: «la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione involontaria non presuppone la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo. L’effetto estintivo del
rapporto di lavoro, derivante dell’atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento (cfr. Cass. 11/06/1998 n. 5850 ) anche se, una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione, le indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione dell’Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti» (da ultimo, Cass. 21/08/2024, n.22985).
Né può ritenersi che tale interpretazione si risolva in una applicazione analogica dell’art. 129 R.d.l. n.1827/1935, in contrasto con i principi e le disposizioni richiamate dal ricorrente. Le disposizioni dettate in materia di indennità di disoccupazione sono applicabili ─ in forza del rinvio recettizio previsto dall’art.7 comma 12 legge n.223/1991 ─ anche alla indennità di mobilità perché in entrambi i casi la domanda della prestazione è prodromica ed indispensabile per dare inizio al procedimento amministrativo in seno al quale viene accertata la sussistenza dei presupposti per la erogazione della prestazione. Presupposti che, per la indennità di mobilità, sono previsti dall’art.7 comma 4 legge n.223/1991.
La corte territoriale ha deciso la questione della decadenza facendo applicazione del sopracitato principio di diritto, e pertanto non risulta sussistere la violazione di legge paventata.
Nel resto i due motivi si risolvono in una inammissibile rivalutazione dei fatti già accertati dai giudici del merito.
Sono infine inammissibili le censure relative alla asserita inammissibilità dell’atto di appello dell’I.N.P.S., come sollevate nella memoria illustrativa, in quanto nuove e mai prospettate nei motivi di ricorso. Così come non sussistono i presupposti previsti dall’art.375 comma primo cod. proc. civ in considerazione dell’
orientamento di questa Corte, seppur consolidatosi dopo la proposizione del ricorso.
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 31/10/2024.