Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35184 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35184 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 40-2021 proposto da:
NOMECOGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
Oggetto
Indennità mobilità
R.G.N. 40/2021
COGNOME
Rep.
Ud.26/11/2024
CC
– intimati –
avverso la sentenza n. 1229/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/06/2020 R.G.N. 409/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 5.6.20 la C orte d’appello di Roma, in riforma di sentenza del Tribunale di Tivoli del 10.10.16, ha rigettato la domanda dei lavoratori in epigrafe all’indennità di mobilità (detratto quanto percepito a titolo di naspi).
In particolare, la corte territoriale ha applicato la decadenza per cinque lavoratori per essere decorso un anno ex articolo 47 d.p.r. 639 del 1970 dall’esaurimento dei termini del procedimento amministrativo: per gli altri lavoratori per i quali non era maturata la decadenza, invece, la corte ha escluso il diritto per difetto dei requisiti in capo al datore (RAGIONE_SOCIALE che aveva incorporato una S.p.RAGIONE_SOCIALE, in quanto solo per il periodo successivo quello per cui è causa, a seguito di variazione -non retroattiva- della classificazione in relazione allo stabilimento ove lavoravano i lavoratori in questione, il datore era rientrato nel campo di applicazione della disciplina; la corte ha poi ritenuto rilevante il giudicato formatosi tra lavoratore e datore, con il rigetto della domanda dei lavoratori e declaratoria di illegittimità del provvedimento Inps del novembre 2013 di variazione e conseguente reviviscenza di precedente provvedimento del settembre 2013, con accesso al settore manufatturiero e beneficio della mobilità ex nunc .
Avverso tale sentenza ricorrono due lavoratori, per sette motivi, resiste l’Inps con controricorso, son o rimasti intimati gli altri cinque lavoratori ai quali il ricorso è stato notificato.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce vizio di motivazione ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per avere la sentenza impugnata trascurato che il ricorso amministrativo era stato deciso in ritardo.
Il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 47 suddetto nonché 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale trascurato che 300 giorni comunque dovevano essere considerati oltre l’anno sulla base della giurisprudenza di legittimità.
Il primo motivo è infondato.
E’ infatti jus receptum (Sez. L – , Sentenza n. 15969 del 27/06/2017 (Rv. 644790 – 01) che, in ragione della natura pubblicistica dell’istituto della decadenza, le parti non possono influire col loro comportamento sulla decadenza prolungandone il termine.
Il secondo motivo è del pari infondato.
Il Collegio ha ben presente l’ancoraggio del dies a quo del termine previdenziale allo scadere dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo (300 giorni), computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione (da ultimo, Sez. L – , Ordinanza n. 28671 del 07/11/2024,
Rv. 672690 – 01), ma il principio non è applicabile nel caso di specie, ove la procedura si è conclusa ritualmente prima del decorso del termine suddetto.
Nel caso di specie, invero, il termine decorre dalla comunicazione della decisione sul ricorso amministrativo, essendosi conclusa la procedura (mentre non si fa riferimento ai termini virtuali in relazione all’ultima fase).
I motivi di ricorso seguenti, che riguardano tutti i lavoratori, sono assorbiti nei confronti del lavoratore COGNOME in ragione dell’esito dei due motivi precedenti, mentre vanno esaminati per l’altro lavoratore, che ha visto la sua domanda rigettata nel merito (e non essendo egli invece decaduto).
Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 1362, 2909, 2114, 2116 e 2195 c.c. e 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale dato rilievo al giudicato nonostante la diversità dei giudizi e per aver attribuito rilevanza al provvedimento di variazione anziché alla natura industriale dell’attività ex articolo 2195 codice civile.
Il quarto motivo deduce violazione degli articoli 2909 e 1362 c.c., nonché 102 c.p.c., per avere la corte territoriale attribuito al giudicato rilevanza sebbene fosse relativo al giudizio tra parti diverse.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione.
I motivi sono privi di pregio.
Invero, sul piano oggettivo il giudicato copre la classificazione datoriale nell’ambito della domanda proposta dai lavoratori per accertare l’attività datoriale ai fini della classificazione per fruire di CIG e mobilità richieste nel medesimo giudizio; sul piano soggettivo, il
giudicato ha portata riflessa nei confronti dell’INPS, essendo unica classificazione possibile per soggetti rapporto di lavoro e per INPS, come rilevato dalla corte d’appello.
Questa Corte ha infatti già evidenziato (Sez. 2 – , Sentenza n. 5411 del 25/02/2019, Rv. 652762 – 02) che la sentenza passata in giudicato, quando contenga un’affermazione obiettiva di verità che non ammette la possibilità di un diverso accertamento, può avere efficacia riflessa nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al rapporto processuale, purché titolare di un diritto non autonomo, ma dipendente dalla situazione definita in quel processo o, comunque, di un diritto subordinato a questa. Nel medesimo senso, Sez. 3 – , Sentenza n. 8101 del 23/04/2020 (Rv. 657573 – 01), secondo la quale il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare “efficacia riflessa” nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale a condizione che: a) i terzi non siano titolari di un diritto autonomo, scaturente da un distinto rapporto giuridico o costituito su un rapporto diverso da quello dedotto nel primo giudizio; b) i terzi non possano risentire un “pregiudizio giuridico” dalla precedente decisione; c) l’efficacia riflessa riguardi soltanto l’affermazione di una situazione giuridica che non ammette la possibilità di un diverso accertamento (vedi anche Sez. 3 – , Ordinanza n. 18062 del 05/07/2019, Rv. 654409 -01, e Sez. 3 – , Sentenza n. 15599 del 11/06/2019, Rv. 654346 -01).
Ancora più chiara Sez. L, Sentenza n. 2137 del 31/01/2014 (Rv. 629926 – 01), che ha affermato che, in tema di effetti del giudicato, la sentenza che sia passata in giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le
parti, i loro eredi ed aventi causa, ne ha anche una riflessa, poiché, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nei quali sia stata resa qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definita in quel processo, o comunque subordinati a questa. Ne consegue che l’INPS ha titolo ad avvalersi di sentenze, passate in giudicato, che hanno accertato l’illegittimità della collocazione in cassa integrazione di alcuni lavoratori, avendo dette pronunce effetti restitutori sull’erogazione dell’integrazione salariale, a prescindere dalla causa di illegittimità di concessione della stessa e potendo, l’istituto previdenziale, richiedere al datore di lavoro i contributi commisurati all’intero importo della retribuzione dovuta ai lavoratori.
La corte territoriale nel caso di specie ha fatto riferimento al giudicato (pur poi decidendo comunque nel merito) e l’affermazione è corretta alla luce degli anzidetti principi; né vi è un problema di tutela del terzo, atteso che nel caso è proprio il terzo che vuole valersi del giudicato in relazione all’affermazione ivi contenuta, tanto più che non può che esservi un’unica medesima classificazione datoriale per soggetti del rapporto di lavoro e per l’INPS.
Il quinto motivo deduce ex art. 360 co. 1 n. 3 e 4 c.p.c. violazione degli artt. 112, 324, 329, 342, 346, 434 c.p.c. per avere la sentenza di appello pronunciato sebbene l’INPS non avesse appellato il capo che aveva accertato l’illegittimità del provvedimento di classificazione alla base del riconoscimento delle pretese del lavoratore.
Il motivo è infondato perché la corte si pronunciata su un presupposto necessario della domanda sottopostale, che era contestato.
Il sesto motivo di ricorso deduce vizio di motivazione ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per avere trascurato che vi erano dichiarazioni inesatte del datore di lavoro circa la sua attività, il che consentiva al provvedimento di classificazione di retroagire.
Il settimo motivo deduce violazione dell’articolo 3 comma 8 legge 35 del 1992 nonché 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale trascurato dette dichiarazioni, sebbene fatto acquisito al processo in quanto dedotto e non contestato.
Il sesto e settimo motivo possono essere esaminati congiuntamente. I motivi sono inammissibili, in quanto le dichiarazioni non sono riprodotte nel loro contenuto ed inoltre la corte d’appello ha verificato (con accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità) che non vi erano dichiarazioni inesatte del datore.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese devono essere regolate secondo soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’INPS delle spese di lite, che si liquidano in euro 6000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26