Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24578 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24578 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37611/2019 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME , in qualità di eredi di NOME COGNOME, domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni agli indicati indirizzi PEC degli AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME e NOME COGNOME, che li rappresentano e difendono
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 2376/2018 de lla Corte d’Appello di Bari, depositata l’11 .12.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.6.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME -già dirigente della Regione Puglia -si rivolse al Tribunale di Bari, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere che fosse accertato il suo diritto al pagamento di una maggiore indennità di funzione con riferimento al periodo dal l’11.6.2001 al 31.8.2005 , durante il quale resse l’«RAGIONE_SOCIALE». In particolare, il ricorrente sostenne che, ai sensi del l’art. 2 della l.r. n. 1 del 1992, quella indennità andasse liquidata applicando il coefficiente 0,9 e non il coefficiente 0,7 applicato dalla Regione.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse le domande e la sentenza di primo grado venne confermata dalla Corte d’Appello di Bari, inutilmente adita dalla Regione.
Contro la sentenza d ‘a ppello la Regione Puglia ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Gli eredi di NOME COGNOME, già subentrati al de cuius nel corso del giudizio di merito, si sono difesi con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va innanzitutto respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti sul presupposto che la notificazione della sentenza d’appello all’indirizzo PEC dell’avvocatura RAGIONE_SOCIALE fosse idonea a far decorrere il termine breve di sessanta giorni di cui agli artt. 325, comma 2, e 326 c.p.c.
1.1. Sono gli stessi controricorrenti a rilevare che la Regione Puglia si era costituita, in secondo grado, con il patrocinio dell’AVV_NOTAIO (la quale aveva anche indicato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata) e che la notificazione della sentenza fu fatta presso l’avvocatura RAGIONE_SOCIALE, senza indicare esplicitamente -quale destinataria -l’avvocata costituita.
Occorre allora ricordare che il termine breve per le impugnazioni si attiva solo a seguito della notificazione della sentenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 285 e 326, comma 1, c.p.c., a mente dei quali, rispettivamente, «la notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l ‘ impugnazione, si fa, su istanza di parte, a norma dell ‘ articolo 170» e «i termini stabiliti nell ‘ articolo precedente sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza»; mentre l ‘ art. 170 c.p.c. prevede poi che «dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti».
Da tali disposizioni si è tratto il condivisibile principio di diritto secondo cui « la notifica alla parte, senza espressa menzione -nella relata di notificazione -del suo procuratore quale destinatario anche solo presso il quale quella è eseguita, non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, neppure se eseguita in luogo che sia al contempo sede di una pubblica amministrazione, sede della sua avvocatura interna e domicilio eletto per il giudizio, non potendo surrogarsi l ‘ omessa indicazione della direzione della notifica al difensore con la circostanza che il suo nominativo risulti dall ‘ epigrafe della sentenza notificata, per il carattere neutro o non significativo di
tale sola circostanza » (Cass. S.U. n. 20866/2020, alla cui ampia motivazione si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c .).
Con il primo motivo di ricorso si denuncia «violazione e falsa applicazione dell ‘art. 2 e dell’art. 3 della l.r. n. 1 del 1992, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», nonché «violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.» e «violazione dell’art. 2 e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
La ricorrente contesta in particolare l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui la delibera di giunta con cui fu attribuito il coefficiente 0,7 all’incarico dirigenziale in questione sarebbe stato un atto puramente ricognitivo, «non comportante alcun esercizio di discrezionalità», e adottato in contrasto con le previsioni della l.r. n. 1 del 1992.
Il secondo motivo censura, «omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Con questo motivo la Regione si duole che il giudice d’appello abbia ritenuto non motivatamente censurata la statuizione del Tribunale in merito alla «oggettiva riconducibilità dell’RAGIONE_SOCIALE diretto dal COGNOME in una di quelle strutture menzionate nella lettera a » dell’art. 2 della l.r. n. 1 del 1992.
Il terzo motivo denuncia «nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
La Regione ravvisa un vizio di ultrapetizione della sentenza per la sostanziale disapplicazione delle delibere della
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di classificazione degli incarichi in mancanza di una richiesta in tal senso del lavoratore.
Il ricorso -anche a prescindere da un analitico esame dei motivi che lo sostengono -risulta fondato, per le seguenti e assorbenti ragioni di diritto.
5.1. È innanzitutto errata, nella sentenza impugnata, la qualificazione della delibera giuntale n. 7535/1992, di individuazione e classificazione delle strutture e dei servizi regionali, in termini di mero atto ricognitivo, «non comportante alcun esercizio di discrezionalità».
La Corte territoriale è giunta a questa conclusione tramite una eccessiva valorizzazione di un dato letterale contenuto nell’art. 3 della l.r. n. 1 del 1992 («dovrà provvedere con atto ricognitivo la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE»), senza il dovuto apprezzamento del dato normativo sostanziale -contenuto nella medesima disposizione -secondo cui la RAGIONE_SOCIALE doveva adottare quell’atto «previa valutazione di apposita commissione», composta con la partecipazione di «2 rappresentanti delle OOSS aziendali maggiormente rappresentativi» e di «2 dirigenti regionali designati dalla RAGIONE_SOCIALE».
È del tutto evidente che una simile procedura di preventiva consultazione sindacale presuppone la piena consapevolezza del legislatore RAGIONE_SOCIALE , al di là dell’improprio riferimento a un «atto ricognitivo», che si trattava di decisioni tutt’altro che obbligate, ma anzi caratterizzate da ampia discrezionalità amministrativa.
La decisione della Corte territoriale di disapplicare la delibera di RAGIONE_SOCIALE, assegnando al dirigente un diverso
coefficiente, è stata dunque errata -non già perché la disapplicazione di un atto amministrativo illegittimo richieda una specifica domanda di parte -bensì perché tale disapplicazione è stata motivata negando l’esercizio di un potere discrezionale della pubblica amministrazione, invece che -come sarebbe stato necessario -accertando il travalicamento, da parte della pubblica amministrazione, dei limiti posti dalla legge alla sua discrezionalità operativa.
5.2. Ma, indipendentemente da tali considerazioni che già giustificano l’accoglimento del ricorso , si deve anche rilevare d’ufficio che in nessun caso il dirigente avrebbe potuto vantare il diritto ad una maggiore indennità di funzione invocando l’applicazione di una legge RAGIONE_SOCIALE che, all’epoca del conferimento dell’incarico dirigenzial e (11.6.2001), era già stata abrogata dalla l.r. 7 del 1997, recante «Norme in materia di organizzazione dell ‘ Amministrazione RAGIONE_SOCIALE», che, come precisa l’art. 1, «regola l ‘ attività della Regione Puglia secondo i principi di cui al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni e integrazioni» (oggi d.lgs. n. 165 del 2001).
L’art. 20 di tale legge, rubricato «Trattamento economico della dirigenza», dispone testualmente: «1. La retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi per l ‘ area dirigenziale del comparto. Il trattamento economico accessorio, correlato alla tipologia degli incarichi previsti dall ‘ art. 19, è determinato con apposito provvedimento di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. 2. Le posizioni dirigenziali sono graduate, anche ai fini della retribuzione prevista dal contratto RAGIONE_SOCIALE della dirigenza, in funzione dei seguenti parametri di riferimento: ( omissis )».
In coerenza con l’introduzione del nuovo sistema della contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, anche dirigenziali, e con il meccanismo della disapplicazione delle norme previgenti ora trasfuso, a livello RAGIONE_SOCIALE, negli artt. 69 e 71 del d.lgs. n. 165 del 2001, il comma 5 del medesimo art. 20 dispone che «Dalla data di adozione dei provvedimenti di conferimento degli incarichi cessano di essere corrisposte le indennità di funzione previste dall ‘ art. 2 della legge RAGIONE_SOCIALE 8 gennaio 1992, n. 1»; e il comma 6 aggiunge: «A decorrere dalla data di cui al comma 5 è abrogato l ‘ art. 2 della legge RAGIONE_SOCIALE 8 gennaio 1992, n. 1».
Ne consegue che il compenso per l’incarico dirigenziale conferito l’11.6.2001 avrebbe dovuto essere remunerato secondo le nuove disposizioni, legali e contrattuali, e che solo a queste ultime avrebbe dovuto fare riferimento la pretesa del lavoratore di ottenere il pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli già erogati dalla datrice di lavoro.
In considerazione dei motivi di accoglimento del ricorso, cassata la sentenza della Corte d’Appello, la causa non necessita di ulteriori accertamenti di fatto e può quindi essere decisa nel merito (art. 384, comma 2, c.p.c.) con il definitivo integrale rigetto dell’originaria domanda.
Il diverso esito dei due gradi di merito e la decisione finale basata anche sulla valorizzazione di un profilo ulteriore rispetto a quelli evidenziati nelle difese della ricorrente costituiscono gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la compensazione delle spese legali dell’intero processo .
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio , non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda ; compensa le spese del l’intero processo . Così deciso in Roma, il 19.6.2024.