Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2492 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2492 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4866/2018 R.G. proposto da:
NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3138/2017 depositata il 04/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha adito la Corte d’appello di Napoli opponendosi alla indennità stabilita nel decreto di esproprio, di un terreno di sua proprietà, disposto dal Sindaco del Comune di San Martino in favore del RAGIONE_SOCIALE e notificato il 4 novembre 2009, deducendo che l’indennità non corrispondeva al valore venale dell’area, facente parte di un’azienda agricola specializzata, che era stata smembrata e distrutta dall’opera pubblica.
La Corte d’appello ha accolto la domanda dell’attrice, condannato il RAGIONE_SOCIALE -sul rilievo che il Comune non sia tenuto a versare l’indennità di esproprio -al pagamento della indennità, determinata tenendo conto delle conclusioni di una consulenza tecnica d’ufficio e anche del danno dovuto dalla perdita di un pozzo, comportante deprezzamento della proprietà residua, ma respingendo la richiesta di parte attrice di ottenere un cifra sufficiente a ricostruire il pozzo ex novo .
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME, affidandosi a cinque motivi. Si è costituito con controricorso il Consorzio. La ricorrente ha depositato memoria. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 14 di dicembre 2023.
RITENUTO CHE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 39,40, 43 della legge n. 2359 del 1865. La parte ricorrente preliminarmente rileva che, come affermato dalla Corte di merito, la controversia è esclusa dall’ambito di operatività temporale del D.P.R. n. 327 del 2001 perché la dichiarazione di pubblica utilità è
stata emessa in epoca antecedente al 30 giugno 2003. Rileva che la Corte ha determinato dapprima l’indennità di esproprio quindi l’indennità per la perdita di valore delle porzioni residue di terreno e infine l’indennità di occupazione legittima; deduce che questo procedimento è erroneo perché non tiene conto che l’attrice aveva diritto all’indennità per l’esproprio del pozzo sorgivo inteso quale manufatto, mentre la Corte ha ritenuto che l’indennizzo per la distruzione del pozzo fosse già compreso nella somma riconosciuta per la riduzione di valore dei terreni residui così erroneamente applicando l’art. 40 della legge n. 2359 del 1865 mentre la regola applicabile sarebbe quella del successivo art. 43. Secondo la parte l’indennità da riconoscere per la perdita del manufatto dovrebbe determinarsi sulla base del costo di costruzione a nuovo come quantificato dal consulente di parte.
2. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. e la nullità della sentenza per carenza di motivazione, o motivazione apparente perplessa o incomprensibile. La ricorrente, sempre con riferimento al pozzo, censura l’affermazione della Corte, la quale ha rilevato che mai potrebbe corrispondersi il prezzo del manufatto al nuovo che andrebbe invece rapportato alle condizioni all’epoca dell’immissione in possesso. Si tratta -secondo la ricorrente -di un argomento in contraddizione con la conclusione che si proponeva di consolidare, cioè la negazione dell’indennità per la perdita del pozzo perché assorbita nelle indennità per il deprezzamento, in quanto introduce l’opposto concetto che l’indennizzo per la perdita del pozzo non debba più ritenersi compreso nell’indennità per la perdita di valore delle porzioni residue, ma debba invece riconoscersi in via autonoma e ciò rende del tutto incomprensibili le ragioni giustificative della statuizione sul punto.
3. -I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.
In primo luogo si osserva che è infondata la difesa della parte controricorrente, nella parte in cui rileva che sarebbe applicabile alla fattispecie la normativa del D.P.R. n. 327 del 2001, in quanto il Consorzio ha dato notizia della procedura espropriativa con nota del 24 luglio 2003; la contestazione è erronea perché l’art. 57 del testo unico esplicitamente fa riferimento alla data della dichiarazione di pubblica utilità.
Tuttavia, il riferimento operato dalla ricorrente agli artt. 40 e 43 della legge n. 2359 del 1865 è inconferente in quanto, mentre l’art. 40 disciplina il caso di occupazione parziale, disponendo che in tale ipotesi l’indennità consisterà nella differenza tra il giusto prezzo che avrebbe avuto l’immobile avanti l’occupazione, ed il giusto prezzo che potrà avere la residua parte di esso dopo l’occupazione, l’art. 43 riguarda le costruzioni le piantagioni e le migliorie, che risultino eseguite -sul suolo espropriato e non sul suolo residuo -al solo fine di conseguire indennità maggiori. Nel caso di specie invece si discute di un pozzo che pacificamente insiste(va) su una delle due porzioni non espropriate della particella 77, e che a conclusione dei lavori non è più presente. Correttamente, pertanto, la Corte ha considerato questa circostanza come concorrente a determinare il deprezzamento del fondo residuo, poiché la parte allega che prima dell’espropriazione era in possesso di un terreno avente una certa estensione, utilizzabile a fini produttivi e dopo l’espropriazione le è residuata una porzione di terreno di minore estensione (divisa in due) e nella quale non è più presente il pozzo, per ragioni che neppure il consulente è riuscito ad accertare compiutamente; in una siffatta ipotesi, considerando che il pozzo insiste(va) nella porzione non espropriata, deve valutarsi il deprezzamento del danno residuo e
non riconoscersi il risarcimento per equivalente, poiché il pozzo non è un manufatto espropriato.
La Corte ha quindi rilevato che la somma di euro 25.630,83 fosse sufficiente a coprire questo deprezzamento osservando che il valore non può corrispondersi secondo i nuovi prezzi e inoltre che il valore indicato dall’attrice per il manufatto è spropositato, sia in assoluto ,sia in relazione al valore complessivo del fondo dell’attrice e alla conseguente utilità ricavabile.
Ritenuto conforme a legge il criterio adottato (deprezzamento del fondo residuo), il resto attiene a valutazioni di merito di cui in questa sede non può sollecitarsi la revisione.
-Con il terzo motivo del ricorso si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente deduce che la Corte ha omesso di valutare una circostanza di fatto ritualmente dedotta dall’attrice nei rilievi del proprio consulente di parte, e cioè che i valori derivati dall’applicazione del ‘listino RAGIONE_SOCIALE‘ costituiscono un metodo di stima che porta solo a indicazioni di larga massima e che non può intendersi sostitutivo della stima ma solo di ausilio della stessa. Lamenta che il CTU abbia determinato l’indennità di esproprio sulla base di una media aritmetica in cui ha assegnato del tutto illogicamente al valore desunto dal ‘listino RAGIONE_SOCIALE‘ (pubblicazione di listini di valori immobiliari) pari dignità e valenza ai fini della stima rispetto ai valori emergenti dagli atti di trasferimento prodotti dall’attrice.
-Con il quarto motivo si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. la violazione degli articoli 132 C.P .C. e 118 disp. att. e la nullità della sentenza per carenza di motivazione o motivazione apparente, perplessa o incomprensibile.
Si tratta della stessa questione di cui al motivo terzo, proposta sotto il profilo della nullità per inesistenza della
motivazione; con la censura si lamenta che la pronuncia pone a base della determinazione la media aritmetica semplice delle tabelle nonostante l’attrice avesse evidenziato l’inattendibilità del dato desunto dal listino RAGIONE_SOCIALE; quindi la stima risulta illogicamente derivata da un lato da dati certamente attendibili risultanti dai contratti di beni analoghi, dall’altro da dati che non hanno riscontro con i valori praticati in loco.
6. -Con il quinto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 40 della legge 2359 del 1865 nonché dell’art. 20 della legge 865 del 1971. La parte deduce che assegnando al valore desunto dal ‘listino RAGIONE_SOCIALE‘ pari dignità e rilevanza dei valori risultanti dagli atti pubblici di compravendita la pronuncia ha violato le norme indicate in epigrafe.
7. -I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono inammissibili.
La Corte di merito ha osservato che la stima del consulente in prima battuta era stata formulata esclusivamente secondo il listino dei valori immobiliari dei terreni agricoli edito da RAGIONE_SOCIALE, dichiarando il consulente di non avere reperito atti di compravendita per terreni analoghi in zona; tuttavia, a seguito delle osservazioni del consulente di parte attrice, il quale aveva prodotto alcuni atti di compravendita dei suoli agricoli in zona, il consulente d’ufficio ha modificato le proprie conclusioni, mediando il valore unitario prima indicato con quelli desumibili da questi atti di compravendita. Questo valore è stato recepito alla Corte d’appello, in quanto ritenuto metodologicamente corretto, avendo il consulente utilizzato il procedimento estimativo sintetico comparativo e utilizzando diverse fonti, ossia i dati tratti da una pubblicazione specializzata (RAGIONE_SOCIALE) e quelli ricavati da atti di compravendita dei suoli agricoli in zona, tenendo conto anche del
danno dovuto alla perdita del pozzo che costituisce deprezzamento delle proprietà residue. La Corte ha esposto chiaramente e con congruenza logica il ragionamento sulla base del quale ha ritenuto recepibili i valori di stima della consulenza e non ha assegnato un valore apoditticamente decisivo ai listini utilizzati dal consulente, ma un valore consultivo, trattandosi di pubblicazione specializzata, selezionata dall’esperto sulla base delle sue cognizioni tecniche, valori che sono stati comparati con i valori desumibili da atti di compravendita per terreni analoghi.
Le censure pertanto, per un verso non colgono adeguatamente la ragione decisoria esposta dalla Corte d’appello, per altro verso non evidenziano fatti asseritamente decisivi il cui esame sia stato omesso, quanto piuttosto una argomentazione difensiva in ordine al metodo di stima; esse tendono pertanto a sollecitare la revisione del giudizio di merito operato dalla Corte d’appello e in quanto tali sono inammissibili
Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento , e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/12/2023 nella camera di consiglio