Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3450 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 3450  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10862/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a Giugliano in Campania (Na) C.F. CODICE_FISCALE , COGNOME NOME nata a Giugliano in Campania (Na) il DATA_NASCITA C.F. CODICE_FISCALE; COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a Mugnano di Napoli (Na) C.F. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Napoli C.F. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME nato a Napoli il DATA_NASCITA 7 C.F. CODICE_FISCALE, nella qualità di erede del de cuius COGNOME NOME , nato il DATA_NASCITA a Giugliano in Campania (Na) e deceduto in data 28.06.2018, COGNOME NOME nato a Napoli il DATA_NASCITA C.F. CODICE_FISCALE, nella qualità di erede del de cuius COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Giugliano in Campania (Na) e deceduto in data 28.06.2018, COGNOME NOME nata a Napoli il DATA_NASCITA
CODICE_FISCALE, nella qualità di erede del de cuius COGNOME NOME , nato  il  DATA_NASCITA  a  Giugliano  in  Campania  (Na)  e deceduto in data 28.06.2018, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME  (CODICE_FISCALE),  COGNOME  NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
 avverso  la  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  NAPOLI  n.  2966/2017 depositata il 27/06/2017.
Udita la relazione svolta nelle camere di consiglio del 14/12/2023 e del  25/1/2024  previa  riconvocazione  dal  Consigliere  COGNOME  NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Nell’anno 2008 gli odierni ricorrenti (e il loro dante causa) hanno convenuto in giudizio il RAGIONE_SOCIALE, esponendo di essere proprietari di un terreno, sottoposto a occupazione finalizzata all’esproprio sin dal 25 agosto 1988 e che era intervenuta l’irreversibile trasformazione del fondo; chiedevano quindi il risarcimento del danno che tenesse conto del valore di mercato individuato in un precedente giudizio, avente ad oggetto la indennità di occupazione. Il convenuto eccepiva che la procedura si era conclusa con decreto di esproprio del 29 settembre 2003 con la conseguenza che il giudizio poteva avere a oggetto esclusivamente l’indennità di esproprio.
Il Tribunale di Napoli ha ritenuto improponibile la domanda di riconoscimento dell’indennità di occupazione, che aveva formato oggetto di precedente sentenza di Corte d’appello n. 2963/2003 e che riguardava l’occupazione fino al 30 settembre 2003, dato che in data 29 settembre 2003 era intervenuto il decreto di esproprio; il Tribunale ha determinato la indennità di esproprio, posto che gli attori avevano proposto alternativamente la domanda di risarcimento e quella di riconoscimento delle indennità di esproprio, in base alla indennità virtuale stabilita nella predetta sentenza 2963/2003, pari ad euro 58.767,00.
I proprietari hanno proposto appello, osservando che il decreto di esproprio non era mai stato comunicato e che comunque era radicalmente nullo perché non preceduto dal deposito dell’indennità, e rilevando che in ogni caso l’indennità di esproprio era stata erroneamente fissata. Ha proposto appello incidentale il RAGIONE_SOCIALE. La Corte d’appello di Napoli ha respinto l’appello principale proposto dai proprietari del terreno e ha accolto quello incidentale, ordinando il deposito presso la Ragioneria della differenza tra l’importo di euro 58.767,00 e quello già depositato, oltre interessi.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i proprietari  affidandosi a  cinque  motivi.  Si è costituito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
Con atto depositato in data 1 dicembre 2023 il  RAGIONE_SOCIALE ha reso noto  il  decesso  del  difensore  dei  ricorrenti,  AVV_NOTAIO, chiedendo  un  rinvio  della  causa  a  nuovo  ruolo  per  consentire  ai ricorrenti di nominare nuovo difensore. In data 7 dicembre 2023 si è costituito  per  i  ricorrenti  e    per  gli  eredi  di  NOME  COGNOME, deceduto il 28.06.2018,  l’AVV_NOTAIO.
La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata  del  14  dicembre  2023.  La  camera  di  consiglio  è  stata riconvocata in data 25 gennaio 2024.
RITENUTO CHE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.  la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c.
I ricorrenti deducono che la sentenza sarebbe affetta da un errore di fatto in relazione al capo della sentenza di appello che aveva ritenuto l’inammissibilità dell’eccezione di nullità del decreto di esproprio. Deducono che il decreto di esproprio di cui sostengono la nullità radicale, in quanto non comunicato e non preceduto dal deposito della indennità, esiste e continua a svolgere la sua funzione ma anche quando si dovesse pervenire alla dichiarazione di radicale nullità o inapplicabilità del decreto non per questo cambierebbe la natura del pagamento che nel frattempo i proprietari hanno ricevuto; né tale evento potrebbe pregiudicare le sorti del presente giudizio che ha ad oggetto le indennità di esproprio e relativi interessi.
2. -Il motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, atteso che il giudice di merito ha considerato inammissibile la questione della invalidità del decreto di esproprio perché costituisce questione nuova in appello, ragione decisoria non impugnata dai ricorrenti. La restante parte della motivazione, peraltro resa ad abunantiam , evidenzia comunque una grave contraddizione nella prospettazione perché i ricorrenti hanno richiesto il riconoscimento dell’indennità di espropriazione, il che presuppone la validità del decreto di esproprio, e non più il risarcimento del danno. La stessa insanabile contraddizione si evidenzia anche nella odierna censura: anche a voler prescindere dal rilievo che l’errore di cui tratta l’art. 395 n. 4) c.p.c. dovrebbe farsi valere -ove ne sussistessero i presupposti -in sede di giudizio di revocazione e non con ricorso per cassazione, la dedotta insanabile nullità del decreto di
espropriazione  non  si  concilia  con  la  richiesta  di  liquazione  della indennità  di  esproprio  né  con  la  tesi  che  il  decreto,  pur  nullo, continuerebbe a  produrre i suoi effetti.
3. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 20 della legge n. 865 del 1971 nonché dell’art. 9 del D.lgs. n. 354 del 1999, in relazione al capo della sentenza di appello che aveva riconosciuto gli interessi sulla indennità di esproprio soltanto a decorrere dalla data di emissione del decreto di esproprio, sul presupposto -ritenuto erroneo dai ricorrenti -che tale decreto segnava la perdita del diritto di proprietà e l’insorgenza del diritto alla indennità di esproprio, laddove invece – sempre secondo i ricorrenti – detto decreto doveva ritenersi nullo. La parte deduce che oggetto specifico del motivo sono gli interessi sull’indennità di esproprio non pagata che la Corte d’appello fa decorrere dal decreto di esproprio. Secondo la parte ricorrente, questa statuizione è erronea, data la radicale nullità del decreto di esproprio, emesso con un colpevole ritardo di anni, ma in ogni caso perché risulta travolto dalla sentenza n. 24/2009 della Corte Costituzionale.
4. -Il motivo è inammissibile.
La censura sconta gli stessi profili di inammissibilità di quella precedente ed inoltre invoca senza nesso di pertinenza una sentenza della Corte Costituzionale che riguarda l’efficacia degli accordi di espropriazione; nella fattispecie la Corte d’appello ha rilevato che mai il Tribunale ha parlato di un accordo in ordine alla determinazione dell’indennità di esproprio, quanto piuttosto del fatto che concordemente le parti affermano che l’indennità virtuale di esproprio era stata determinata in una certa cifra, in altro giudizio.
Di  contro  la  Consulta,  nella  sentenza  citata  dalla  parte,    ha dichiarato incostituzionale l’art. 3, comma 3, d.l. 28 dicembre 2006 n. 300, conv., con modificazioni, in l. 26 febbraio 2007 n. 17,  norma
che prevedeva che i verbali di concordamento dell’indennità di espropriazione e di rinuncia a qualunque pretesa connessa alla procedura di esproprio, relativi alla realizzazione degli interventi di cui al titolo VIII della legge 14 maggio 1981, n. 219, conservassero la loro efficacia indipendentemente dall’emanazione del decreto di espropriazione. Nella citata sentenza la Consulta ha ritenuto irragionevole l’intervento legislativo posto che i proprietari degli immobili assoggettati al procedimento espropriativo furono indotti a concordare l’indennità, peraltro cumulativamente determinata, da una valutazione di convenienza riferita a quel momento specifico della procedura. Pertanto i principi enunciati nella predetta sentenza non travolgono alcun atto della procedura espropriativa di cui si tratta e non sono neppure indirettamente applicabili alla fattispecie poiché l’indennità di cui si discute non ha base negoziale e non vi sono accordi della cui efficacia si debba delibare.
5. -Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione  dell’art.  12  della  legge  865/1971 in  relazione  al  capo della sentenza che  ha accordato gli interessi sulle somme liquidate a titolo di indennità di esproprio soltanto dalla data di emissione del relativo  decreto,  anziché  dalla  data  della  perdita  della  disponibilità del bene, coincidente con quella della presa di possesso.
I ricorrenti deducono che il comma 6 di questa norma dispone che a decorrere dalla scadenza di cui ai commi precedenti sono dovuti gli interessi in misura a quella pari al tasso di sconto; nei commi precedenti si parla del termine di 30 giorni entro il quale l ‘espropriando ha diritto di convenire la cessione volontaria dell’immobile sottoposto a espropriazione; si tratta di termini non perentori ma che non possono essere prorogati sino all’infinito. Lamentano che la sentenza impugnata non ha applicato la norma di legge di cui sopra che impone il pagamento degli interessi sopra l’indennità di esproprio trattandosi di occupazione permanente
preordinata all’espropriazione  e che il diritto all’indennità non può che sorgere nello stesso istante nel quale il proprietario espropriando perde la disponibilità dell’immobile senza dover attendere la sua irreversibile trasformazione.
6. -Il motivo è inammissibile.
Il diritto all’indennità di esproprio non può che sorgere nel momento in cui si perde la proprietà, il che nel caso di procedura espropriativa andata a buon fine si identifica con il momento in cui viene emesso il decreto di esproprio; l’irreversibile trasformazione del fondo rileva ad altro fine e cioè quando, non essendovi un decreto di esproprio -secondo i precedenti arresti giurisprudenziali oggi superati -si riteneva che per effetto di essa avvenisse l’acquisizione del bene alla mano pubblica. La questione è qui irrilevante perché è intervenuto un decreto di espropriazione ed è da questo momento che il precedente titolare del diritto dominicale perde la proprietà del bene ed ha quindi diritto ad un indennizzo a tale titolo; la perdita del possesso, bene giuridico diverso dalla proprietà, è invece indennizzata separatamente.
L’art. 12 della legge n. 865 del 1971 è invocato in difetto di pertinenza alla fattispecie, poiché riguarda la corresponsione degli interessi -qualora si raggiunga un accordo o la accettazione della indennità determinata in via provvisoria -sulla cifra concordata o accettata; in questo caso, come sopra si è detto, non si parla di un accordo tra le parti bensì semplicemente del fatto che entrambe riferiscono concordatamente i contenuti di una consulenza svolta in altro giudizio.
-Con  il  quarto    motivo  del  ricorso  si  lamenta  la  violazione  e indebita  applicazione  dell’art.  20  della  legge    n.  865  del  1971 nonché  dell’art.1224  del  codice  civile in  relazione  al  capo  della sentenza che aveva  respinto la richiesta di liquidazione degli interessi  sulla  indennità  di  esproprio  a  decorrere  dalla  data  della
presa di possesso, ritenendo che il pregiudizio subito dal privato per il protrarsi del periodo di occupazione sino all’emissione del decreto di esproprio fosse compensato dalla corresponsione della relativa indennità di occupazione, laddove invece – ad avviso dei ricorrenti sin dal momento della perdita della disponibilità materiale del bene per effetto della presa di possesso sarebbe sorto il (distinto) diritto di credito avente ad oggetto la liquidazione della indennità di esproprio, a sua volta produttivo di interessi. I ricorrenti osservano che l’indennità di occupazione compensa il godimento perduto, mentre l’indennità di esproprio è data per la perdita del diritto della proprietà e comporta il pagamento degli interessi come qualsiasi altro credito; a fronte di ciò la sentenza impugnata intenderebbe compensare le due perdite e cioè la disponibilità del fondo e perdita della proprietà.
8. -Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha distinto e separato gli interessi che decorrono sulla indennità di occupazione -che peraltro è stata oggetto di un diverso giudizio -e gli interessi che invece devono decorrere sulle indennità di esproprio; gli interessi sull’indennità di esproprio, come correttamente afferma la Corte d’appello, decorrono dal momento in cui il soggetto perde il diritto di proprietà e quindi matura il credito alla relativa indennità; ove il decreto di esproprio sia emesso in ritardo non vi è perdita di proprietà e quindi non matura il diritto alla relativa indennità.
9. -Con il quinto motivo del ricorso   si lamenta la violazione e falsa applicazione  della  legge    n.  244  del  2007  (finanziaria  del  2008).  I ricorrenti deducono che ha errato la Corte d’appello a ritenere non applicabile la finanziaria del 2008 e che  l’accoglimento del motivo non potrebbe mai condurre alla modifica della sentenza impugnata. Il  procedimento  espropriativo  che  ha  riguardato  la  proprietà  dei
ricorrenti si trova nelle stesse identiche condizioni esposte al comma 90  dell’articolo  2  della  legge  finanziaria  del  2008  che  si  applica  a tutti i procedimenti espropriativi in corso  poiché la determinazione dell’indennità di espropriazione non è stata condivisa né accettata e tra  i  procedimenti  espropriativi  in  corso  vi  è  anche  quello  dei ricorrenti poiché non è ancora divenuto irrevocabile.
10. Il motivo è infondato.
Anche      questa  censura  non  coglie  adeguatamente    le  ragioni decisorie  e  non  si  confronta  con  esse.  La  Corte  d’appello  ha confermato  che  l’indennità  di  esproprio  è  pari  a  e  58.767,00,  così come ritenuto dal giudice di primo grado  per la sussistenza di un giudicato esterno  sul quantum .
Quanto al resto, la Corte ha chiarito che la norma invocata trova applicazione solo alle procedure soggette al testo unico sugli espropri e che la fattispecie è regolata dalla legge 219/1981, come peraltro già affermato dalle sezioni unite di questa Corte. Queste, infatti, hanno specificato che a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del criterio di indennizzo di cui all’art. 5 -bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modifiche, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 ed all’art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, da parte della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, lo “jus superveniens” costituito dall’art. 2, comma 89, lett. a) della legge 24 dicembre 2007, n. 244 si applica retroattivamente per i soli procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi in corso, come confermato dalla norma intertemporale di cui all’art. 2, comma 90, legge n. 244 cit. che stabilisce un criterio che ha superato il vaglio di costituzionalità (Cass. s.u. n. 5265 del 28/02/2008; Cass n. 20177 del 18/08/2017).
Sul punto la Corte di merito ha anche correttamente evidenziato che è stata ritenuta manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 della legge 14 maggio 1981, n. 219, sollevata per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo della CEDU, nella parte in cui prevede un criterio liquidatorio speciale non dissimile (per il profilo dello scostamento dal valore integrale del bene) da quello adottato, in via generale, dalle disposizioni dell’art. 5 -bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modifiche, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 e dell’art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte cost. n. 348 del 2007 per contrasto con l’art. 1 Primo Protocollo CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, costituente parametro integrativo dell’art. 117 Cost., quanto all’ivi prescritto necessario (ragionevole) allineamento dell’indennizzo al valore pieno di mercato del bene espropriato. Ciò perché, secondo la stessa sentenza, obiettivi legittimi di utilità pubblica come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo, il che si verifica con la legge 14 maggio 1981, n. 219, avente natura speciale, temporanea ed eccezionale, in quanto volta a porre rimedio alle conseguenze degli eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981, e non assume rilevanza il fatto che l’art. 37, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come sostituito dall’art. 2, comma 89, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, preveda, in via generale, per le espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico -sociale, una riduzione (del 25%) più contenuta di quella consentita dalla legge del 1981, sia in ragione della specialità, temporaneità ed eccezionalità della legge stessa, sia perché comunque, in linea di principio, l’avanzamento, nel prosieguo della legislazione, del livello di garanzia di un valore costituzionale non comporta l’illegittimità della normativa precedente attestata su un
livello inferiore di tutela. (Cass. sez. sez. un. n. 5265 del 28/02/2008; conf. Cass. 12213/2012)
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono  la soccombenza  e  si liquidano  come  da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna  i ricorrenti in solido al pagamento,  in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili    oltre  alle  spese  forfettarie  nella  misura  del  15  per cento  ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente  principale dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  del  14/12/2023,