Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18678 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18678 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28623/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 411/2020 depositata il 16/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Messina, quale giudice di rinvio dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 17336/2015, che ha annullato la sentenza della Corte d’Appello di Messina n. 83 del 10.2.2010, per quanto ancora rileva, ha rideterminato in € 31.794,01 (somma ottenuta rivalutando la somma di € 21.381,31 alla data della sentenza di primo grado) l’indennità di espropriazione riconosciuta alla RAGIONE_SOCIALE a seguito dell’occupazione illegittima da parte del Comune di Olivieri di un’area estesa mq 4600 sulla quale, in tempi diversi, sono stati realizzati una strada ed un parcheggio. Il giudice di rinvio ha quantificato la somma di € 21.381,3,1 utilizzando, quale valore di riferimento, in primo luogo, il valore venale dell’area di £ 30.000/mq (valore stimato al 1987) adottato dalla sentenza della Corte d’Appello n. 92/2001 per altri terreni insistenti nella stessa area per i quali si era formato il giudicato. E’ stata poi effettuata la riduzione del 40% di cui all’art. 5 bis D.L. n. 333/1993. In particolare, in ordine al metodo di determinazione dell’indennità, la Corte d’Appello ha riportato un ampio passaggio della sentenza non definitiva n. 65/2019 (con cui è stata rigettata l’eccezione di prescrizione) in cui la stessa Corte, pur avendo dato atto che l’art. 5 bis L. 359/92 era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, ha evidenziato che la dichiarazione di incostituzionalità trovava un limite nel giudicato già formatosi sulla regola relativa alla quantificazione del risarcimento, essendo stato accolto dalla Corte
di Cassazione, nella sentenza n. 15949/2005, il ricorso incidentale del Comune di Olivieri relativo alla mancata .
La rivalutazione di tale somma alla data della decisione di primo grado (per un totale di € 31.794,01) è stata poi giustificata dalla Corte d’Appello in relazione al fatto che tale data coincideva con il momento della trasformazione del debito di valore in debito di valuta.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi. Il Comune di Olivieri ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod.proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 bis, comma 7 bis, D.L. n. 333/1992 conv. nella L. n. 359/1992 (comma introdotto dall’art. 1 comma 65 L. n. 662/1996).
Lamenta la ricorrente che la corte di merito ha violato il disposto del comma 7 bis dell’art. 5 bis L. n. 359/1992 per aver erroneamente applicato la riduzione del 40 per cento, nonostante che tale comma la escludesse per le occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità intervenute anteriormente al 30 settembre 1996.
2. Il motivo è fondato.
Va osservato che la sentenza di questa Corte n. 15949/2005 (la prima volta in cui la presente causa è approdata presso la Suprema Corte), nel ricostruire il secondo motivo di appello incidentale con cui il Comune di Oliveri aveva lamentato la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato, la
violazione dell’art. 5 bis L. n 359/1992 e dell’art. 3 comma 65 L. n 662/1996, nonché motivazione insufficiente, così aveva osservato: ‘ Rileva l’appellante incidentale che con la comparsa di costituzione in appello la RAGIONE_SOCIALE aveva aderito al quarto motivo dell’appello proposto dal Comune che aveva lamentato l’omessa applicazione dell’art. 5 bis L. 359/1992, nella quantificazione del danno da risarcire. Consegue che la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare il danno richiesto con riferimento all’articolo su indicato, stante la comune volontà delle parti. Il giudice di merito ha al contrario liquidato il danno, conseguente all’occupazione del terreno adibito a strada, in base al valore venale del terreno stesso senza la decurtazione prevista dal richiamato articolo 5 bis, con ciò violando il disposto dell’art. 112 c.p.c..’.
Tale motivo del ricorso incidentale è stato accolto da questa Corte con la seguente motivazione:’ Fondato è altresì il secondo motivo posto che dagli atti, che si possono consultare con cognizione piena essendo stato dedotto un “error in procedendo”, risulta che effettivamente le parti erano d’accordo in ordine all’applicazione dell’art. 5 bis L. 359/1992, sicché di tale accordo la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto, trattandosi di diritto patrimoniale disponibile, considerato anche che trattandosi di occupazione acquisitiva e non usurpativa l’art. 5 bis legge citata andava comunque applicato, a prescindere dall’accordo delle parti.. Il ricorso incidentale va pertanto accolto; l’impugnata sentenza va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Messina, diversa composizione, per il ricalcolo dell’indennità di occupazione legittima del terreno di mq. 4.600, destinato alla realizzazione della INDIRIZZO, previa valutazione dell’eccezione di prescrizione ‘.
Non vi è dubbio, alla luce di quanto sopra illustrato, che sul metodo di calcolo dell’indennità di espropriazione, con la decurtazione del 40%, si fosse formato il giudicato, avendo questa
Corte, nella sopra citata sentenza del 2005, ritenuto che, con l’adesione da parte della RAGIONE_SOCIALE, con la comparsa di costituzione in appello, al quarto motivo dell’appello proposto dal Comune con cui era stata lamentata l’omessa applicazione dell’art. 5 bis L. 359/1992, le parti avessero raggiunto un accordo in ordine all’applicazione dell’art. 5 bis L. 359/1992, con la decurtazione prevista dallo stesso articolo, ed avendo comunque ritenuto che l’art. 5 bis legge cit. si applicasse nei termini invocati dal Comune, allora ricorrente. Peraltro, va osservato che, al momento in cui è stata emanata la sentenza n. 15949/2005 di questa Corte, era già entrato da tempo in vigore il comma 7 bis dell’art. 5 L. 359/1992 (comma introdotto dall’art. 1 comma 65 L. n. 662/1996) -circostanza di cui la citata Cass. n. 15949/2005 non fa alcuna menzione -con la conseguenza che l’entrata in vigore del comma 7 bis dell’art. 5 bis, in quanto evento precedente alla sentenza di questa Corte Come detto, non ha inciso sulla formazione del giudicato.
Va, tuttavia, osservato che i commi 1 e 2 dell’art. 5 bis commi D.L. 333/1992, conv. nella L. 359/1992 sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza della Consulta n. 348/07 -per la verità, è stato dichiarato illegittimo anche il comma 7 bis dell’art. 5 bis legge cit. dalla sentenza n. 349/07 la quale, nel proprio percorso argomentativo, nell’evidenziare che l’indennità di espropriazione deve essere ‘congrua, seria ed adeguata’ (come precisato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 283/1993) e non può adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza, ha precisato che ‘ l’ulteriore detrazione del 40% è priva di qualsiasi riferimento, non puramente aritmetico, al valore del bene ‘ non superando <<… il controllo di costituzionalità in rapporto al 'ragionevole legame' con il valore venale del bene prescritto dalla giurisprudenza di Strasburgo'.
Ne consegue che la declaratoria di illegittimità dell'art. 5 bis legge cit, con particolare riferimento alla decurtazione del 40%, determina il travolgimento del giudicato di cui alla sentenza n. 15949/2005.
Infatti, questa Corte ha già enunciato il principio di diritto (vedi Cass. n. 26193/2016; conf. n. 30167/2022) secondo cui l'obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla " regula iuris" enunciata dalla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 384 c.p.c. viene meno quando la norma da applicare in aderenza a tale principio sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di " ius superveniens ", ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima successivamente alla pronuncia rescindente, dovendo, in questo caso, farsi applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, del diritto sopravvenuto, che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio. Nel caso esaminato da questa Corte nella citata sentenza n. 26913/2016, l'espropriato aveva contestato la quantificazione dell'indennità di espropriazione operata dalla corte di appello con il criterio del valore agricolo medio (VAM), previsto dagli artt. 16 della l. n. 865 del 1971 e 5-bis, comma 4, della l. n. 359 del 1992 e dichiarato incostituzionale da Corte cost. n. 181 del 2011, ed è stato quindi ritenuto che la stima dell'indennità dovesse essere effettuata utilizzandosi il criterio generale del valore venale pieno, tratto dall'art. 39 della l. n. 2359 del 1865, applicandosi la menzionata pronuncia di illegittimità -esattamente come nel caso di specie – ai rapporti non ancora definitivamente esauriti.
Né ha alcuna rilevanza che la Corte d'Appello di Messina, nella sentenza non definitiva n. 65/2019, nell'argomentare il criterio di calcolo dell'indennità di espropriazione, la cui quantificazione è stata rimessa alla prosecuzione della causa (disposta con separata ordinanza), abbia affermato, con riferimento all'art. 5 bis legge cit. ' Non sconosce questa Corte che la norma indicata nella sentenza
suddetta è stata dichiarata incostituzionale; tuttavia nella specie la dichiarazione di incostituzionalità trova limite nel giudicato, già formatosi sulla regola relativa alla quantificazione del risarcimento' . Su tale affermazione – erronea in diritto per quanto sopra illustrato -non si è formato il giudicato, in primo luogo, perché l'interpretazione della portata del giudicato, sia esso interno o esterno, va effettuata alla stregua di quanto stabilito sia nel dispositivo della sentenza, che nella motivazione che la sorregge (cfr. Cass. 21165/2019, nel caso di specie il dispositivo recita sul punto 'dispone per il prosieguo come da separata ordinanza') e, inoltre, perché la quantificazione dell'indennità di espropriazione è stata materialmente effettuata (secondo un criterio sempre modificabile prima del conferimento della CTU) nella sentenza definitiva qui impugnata.
In conclusione, essendo il giudicato di cui alla sentenza n. 15949/2005 stato travolto dalla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 5 bis DL 333/92, intervenuta con sentenza n. 348/2007, il giudice di rinvio (cui la causa dovrà essere nuovamente rimessa) dovrà provvedere alla quantificazione dell'indennità di espropriazione secondo il valore venale del bene senza alcuna decurtazione.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219 e 1224 c.c. e dell'art. 5 bis L. 359/1992.
Espone la ricorrente che l'obbligazione di risarcimento del danno da fatto illecito costituisce un debito di valore, con la conseguenza che gli importi liquidati alla RAGIONE_SOCIALE devono essere automaticamente rivalutati secondo gli indici Istat fino al momento della decisione definitiva, e non quindi solo fino alla data della sentenza di primo grado.
Il motivo è fondato.
Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 19987/2016 non mass.) quello secondo cui '… il credito scaturente da un fatto illecito ed avente ad oggetto il risarcimento del danno aquiliano costituisce una obbligazione di valore. Tale obbligazione, pur essendo il suo debitore in mora dal giorno dell'illecito (art. 1219, comma 2, n. 1, c.c.), sfugge alle previsioni codicistiche in tema di mora nelle obbligazioni pecuniarie (artt. 1194, 1224, 1282 c.c.).Ciò non vuol dire che la mora nell'adempimento d'una obbligazione di valore sia senza conseguenze. Per effetto della mora debendi, infatti, il creditore di una obbligazione di valore perde la possibilità di investire proficuamente, e ricavarne così un lucro finanziario, la somma dovutagli a titolo di risarcimento. Ne consegue che il giudice chiamato a liquidare una obbligazione di valore quale è quella di risarcire il danno aquiliano, se procede alla aestimatio in moneta relativa all'epoca del sinistro, deve poi compiere due ulteriori operazioni:
(a) rivalutare il credito risarcitorio al momento della liquidazione (ovvero liquidarlo direttamente in moneta attuale); tale operazione serve a ricostituire il patrimonio della vittima nella consistenza che aveva prima del fatto illecito;
(b) tenere conto dell'ulteriore danno da ritardato adempimento, o mora debendi: ed a tal riguardo, secondo i noti principi stabiliti da Sez. Un. 17.2.1995 n. 1712, il giudice di merito può liquidare il relativo pregiudizio applicando un saggio di interesse (non necessariamente quello legale, ma un saggio scelto in via equitativa caso per caso, per tenere conto delle specificità della fattispecie) sul credito devalutato all'epoca del sinistro e poi rivalutato anno per anno, oppure rivalutato in base ad un indice medio tra quello dell'epoca del fatto e quello dell'epoca della liquidazione…'.
La rivalutazione monetaria è quindi un'operazione strettamente connessa alla liquidazione del credito risarcitorio, attuandosi con tale liquidazione la conversione del debitore di valore in debito di valuta.
Nel caso di specie, emerge dalla sentenza impugnata che il giudice di rinvio è stato investito del compito di una (nuova) liquidazione del credito risarcitorio. Di tale circostanza ne ha dato la stessa Corte d'Appello nella parte in cui , a pag. 9 della sentenza impugnata, ha affermato che '… con il rinvio -e la conseguente rimessione al merito della liquidazione del danno relativo alla superficie di mq 4600 – questa Corte è investita interamente della decisione sul punto, in essa compresi anche i termini da utilizzare per il procedimento di rivalutazione, in quanto parte della più complessa operazione di liquidazione, servendo esso ad adeguare il potere d'acquisto della somma che il danneggiato avrebbe dovuto ricevere a reintegrazione nella data in cui subì il pregiudizio -all'epoca in cui effettivamente si produce la trasformazione del debito di valore in debito di valuta….' .
Ne consegue che, erroneamente, la Corte d'appello, nonostante abbia proceduto ad una nuova liquidazione del credito risarcitorio (peraltro utilizzando un valore venale del bene diverso -dimezzato – rispetto a quello del giudice di primo grado) ha provveduto alla rivalutazione di tale credito solo fino alla decisione di primo grado e non, invece, fino al momento in cui ha operato, a sua volta, la liquidazione, essendo stato questo il momento in cui il credito di valore si è trasformato in debito di valuta.
Questa Corte (vedi Cass. n. 8507/2011) ha, inoltre, enunciato il principio di diritto secondo cui è con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, che si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta, con il riconoscimento da tale
data degli interessi corrispettivi: nel caso di specie, la sentenza di primo grado che ha operato la prima liquidazione è stata successivamente riformata, con conseguente inidoneità della stessa a cristallizzare in quel momento la rivalutazione monetaria del credito vantato dalla società ricorrente.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 bis, D.L. n. 333/1992 conv. nella L. n. 359/1992 nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 283/1993.
Lamenta la ricorrente che la Corte d'Appello ha applicato illegittimamente la decurtazione del 40% prevista dall'art. 5 bis, comma 1 L. 359/1992, pur in difetto di una preventiva determinazione dell'indennità da parte dell'ente espropriante. Ad avviso della ricorrente, la Consulta, al fine di escludere la disparità di trattamento tra gli espropriati, ha riconosciuto ai soggetti già colpiti dal procedimento espropriativo di accettare l'indennità, evitando la decurtazione del 40% sull'importo dell'indennità determinata secondo i criteri introdotti dall'art. 5 bis legge cit..
6 . Con il quarto motivo è stato dedotto l'omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. e la violazione degli artt. 116, 132 n. 4 c.p.c. è assorbito per le stesse motivazioni di cui sopra.
Il terzo ed il quarto motivo sono assorbiti per effetto dell'accoglimento del primo motivo.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Messina, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di
Messina, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 30.5.2024