Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31362 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31362 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23018/2020 r.g. proposto da:
Società di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difes i dall’Avv. NOME COGNOME giuste procure speciali in calce al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrenti –
RAGIONE_SOCIALE quale RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale rilasciata ex art. 83 c.p.c. congiunta all’originale del presente atto , il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni presso l’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato
– controricorrente –
E
Comune di Segrate, Città Metropolitana di Milano, COGNOME Fondo Comune di Investimento Immobiliare di tipo chiuso
-intimati- avverso la ordinanza della Corte di appello di Milano depositata in data 3/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con delibera n. 221 del 21/12/2001 il CIPE approvava il primo programma del nuovo collegamento autostradale, qualificato opera strategica, per la realizzazione del ‘Collegamento autostradale Brescia, Bergamo Milano’ (‘BreBeMi’).
Il progetto preliminare di COGNOME veniva approvato con delibera del CIPE n. 93 del 29/7/2005, divenuta efficace il 18/10/2006.
Nell’anno 2005, dunque, l’area da espropriare consisteva in metri quadri 988 edificabili e di metri quadrati 6912 all’interno della fascia di rispetto, e ciò fino al 2017.
Per effetto dell’art. 1, comma 979, della legge n. 296 del 2006, le funzioni ed i poteri di soggetto concedente e aggiudicatore attribuiti ad RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE, per la realizzazione dell’autostrada, venivano trasferiti a RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE. A seguito di procedura ex art. 37bis della legge 109 del 94 e giusta convenzione unica di concessione in data 1/8/2007, CAL affidava alla società di progetto RAGIONE_SOCIALE la concessione per la progettazione, realizzazione e gestione del ‘collegamento autostradale Brescia, Bergamo Milano’.
RAGIONE_SOCIALE conferiva COGNOME la delega per le attività espropriative ex art. 6, comma 8, del d.P.R. n. 327 2001.
Il CIPE in data 26/6/2009 approvava anche il progetto definitivo, con conseguente dichiarazione di pubblica utilità, con efficacia a decorrere dal 21/7/2009, con riferimento ai terreni di cui al foglio 38, mappali 152 e 153, al foglio 42, mappale n. 50, al foglio n. 43, mappali 14,227,238 240, per mq complessivi 7900.
A seguito di decreto di occupazione di urgenza si procedeva all’immissione in possesso del 6/12/2011.
Il termine di efficacia del progetto veniva prorogato dal CIPE con delibera n. 18 dell’1/5/2016 sino al 21/7/2018.
Il percorso della nuova autostrada includeva, tra l’altro, l’ampliamento a due corsie per senso di marcia con carreggiate separate della S.P. ‘INDIRIZZO‘, il cui percorso interessava gli immobili, siti nel comune di Segrate, di cui era proprietario il fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso denominato RAGIONE_SOCIALE, gestito da RAGIONE_SOCIALE
Con convenzione del 16/10/2009 Brebemi affidava al consorzio RAGIONE_SOCIALE, quale contraente generale, tutte le attività di progettazione esecutiva e costruzione del collegamento autostradale.
Con delibera n. 32 del 13/7/2017 veniva adottato il piano di governo del territorio e, successivamente, il decreto di esproprio del 4/7/2018.
A seguito del piano di governo del territorio del 13/7/2017 il terreno espropriato consisteva in metri quadrati 3555 in area edificabile, e metri quadrati 4545 in fascia di rispetto.
La terna dei tecnici nominati ai sensi dell’art. 21 del d.P.R. n. 327 del 2001 determinava maggioranza indennità in euro 1.461.500,00 quanto all’area espropriata, oltre ad euro 537.913,19 per indennità di occupazione di urgenza, mentre il tecnico di minoranza esprimeva un valore di euro 173.800,00.
L’autorità espropriante – società di progetto RAGIONE_SOCIALE, quale concessionaria di CAL – presentava ricorso per opposizione alla stima contestando «principalmente che possa essere riconosciuta la natura edificabile delle opere espropriate, in dipendenza dei vincoli di natura conformativa che già gravavano sulle aree al momento di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio». In particolare, espropriante deduceva che «le aree espropriate ricadono nella fascia di rispetto stradale, e che tanto basta a qualificarle come non edificabili».
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la conferma della stima effettuata dalla terna tecnica, rilevando «che le aree di rispetto stradale sono da qualificarsi comunque come edificabili», in quanto, pur non potendo essere occupate da edifici, comunque «generano diritti edificatori e possono essere utilizzate per le infrastrutture necessarie agli edifici rientranti nel comparto edificatorio».
La Corte d’appello di Milano evidenziava la sussistenza di due questioni da affrontare:1) l’individuazione del momento in cui doveva essere valutato il valore dei terreni oggetto di esproprio, «e
cioè se il momento dell’apposizione del vincolo, oppure quello dell’intervenuto decreto di esproprio»; 2) la determinazione del valore dei terreni oggetto di esproprio, «in particolare quanto al valore della parte edificabile, e di quella relativa la fascia di rispetto (da considerarsi agricola, oppure a standard)».
5.1. Con riguardo alla prima questione la Corte territoriale rilevava che doveva farsi riferimento, per individuare il valore dei terreni, alla destinazione urbanistica degli stessi al momento della emanazione del decreto di esproprio.
Per giungere a tale conclusione, tuttavia, la Corte d’appello rimarcava che «i PRG mutati nell’arco degli anni trascorsi dall’apposizione del vincolo (cioè dal 29/7/2005, quando è stato approvato il progetto preliminare del nuovo collegamento autostradale da parte del CIPE) all’emissione del decreto di esproprio (4/7/2018)».
Pertanto, l’indennità di esproprio doveva essere valutata «in relazione alla situazione attuale alla data del decreto di esproprio, e quindi per mq 3355,00 in area edificabile, e per mq 4545,00 in area di rispetto».
5.2. Con riguardo, poi, alla valutazione del valore dell’area, per ciò che concerneva l’area edificabile, il CTU aveva utilizzato il valore di trasformazione, assegnando all’area edificabile di mq 3355,00 il valore di euro 627.653,40, pari ad euro 187,08 m².
Con riferimento, invece, all’area ricompresa nella fascia di rispetto, il CTU aveva effettuato una valutazione non al valore agricolo, come proposto da parte dell’espropriante Brebemi, ma in base al valore di aree ‘a standard’.
Ed infatti, le zone ricadenti in fasce di rispetto, pur essendo gravate da un vincolo di inedificabilità assoluta, potevano però «essere utilizzate per realizzazione di quelle opere complementari
alle nuove costruzioni quali parcheggi, chioschi, stazioni di servizio, aree a verde, in altre parole ‘gli standard’ previsti dalla legge».
Si era, dunque, applicata una riduzione percentuale rispetto al valore della edificabile, reputata congrua nella misura del 35% rispetto al valore dell’area edificabile.
Pertanto, il valore dell’area ricompresa nella fascia di rispetto al momento dell’emanazione del decreto di esproprio era di euro 121,60 m², per un valore complessivo di euro 552.672,00.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione la società di RAGIONE_SOCIALE e il consorzio RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE).
Sono rimasti intimati il Comune di Milano, Città Metropolitana di Milano e COGNOME Fondo Comune di Investimento Immobiliare di tipo chiuso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono «omessa motivazione circa un fatto storico decisivo per il giudizio violazione dell’ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: violazione dell’art. 165 e 166 del d.lgs. n. 163 del 2006 violazione dell’art. 31, 32 e 37 del d.lgs. n. 327 del 2001».
In particolare, l’autorità espropriante ha adottato due decreti di occupazione di urgenza e due decreti di esproprio dell’area e, in ognuno di essi, «si dava contezza del fatto che il procedimento ablativo traeva origine da due delibere del CIPE».
La prima delibera del CIPE reca la data del 29/7/2005 e ha ad oggetto l’approvazione del progetto preliminare del collegamento autostradale Brescia-Milano A 35.
La seconda delibera reca la data del 26/6/2009, con efficacia dal 21/7/2009, e ha ad oggetto l’approvazione del progetto definitivo della stessa opera pubblica.
Il CTU nominato dalla Corte d’appello ha riconosciuto che sino al 2017, quindi dopo che il CIPE aveva approvato il progetto preliminare del 2005 e il progetto definitivo del 2009, i terreni, ai sensi del Piano di Governo del Territorio (PGT) all’epoca vigente, erano perlopiù inedificabili e ricadevano pressoché integralmente in fascia di rispetto stradale.
I terreni espropriati ricadenti in area edificabile portavano di mq 988, mentre i terreni espropriati ricadenti in fascia di rispetto stradale Sultano di metri quadri 6912.
Tuttavia, come riconosciuto dallo stesso CTU, risultava che «prima dell’emanazione del decreto di esproprio del 4/7/2018 è stato introdotto il Piano di governo del territorio (PGT) approvato con delibera C.C. n. 32 del 13/7/2017».
Tale PGT ha modificato la destinazione urbanistica dei mq 7900 di area espropriata.
Nella nuova versione, successiva al Piano di governo del territorio del 2017, anteriore al decreto di esproprio del 4/7/2018, i terreni espropriati ricadenti in aree edificabile risultavano di mq 3355,00, mentre i terreni espropriati ricadenti in fascia di rispetto stradale risultavano di mq 4545,00.
La Corte d’appello ha, peraltro, dato atto dell’approvazione da parte del CIPE del progetto preliminare del nuovo collegamento autostradale in data 29/7/2005 – «i PGT sono mutati nell’arco degli anni trascorsi dall’apposizione del vincolo (cioè dal 29/7/2005, quando è stato approvato il progetto preliminare del nuovo collegamento autostradale da parte del CIPE) all’emissione del decreto di esproprio» -.
La Corte territoriale, però, ha errato nella affermazione per cui «la determinazione dell’indennità di espropriazione deve avvenire sulla base delle possibilità legali di edificazione al momento del decreto espropriativo e non della contrapposizione tra vincoli espropriativi o conformativi», considerando, ai fini dell’indennità di esproprio, mq 3355,00 in area edificabile, e mq 4545,00 in area di rispetto stradale.
In sostanza, la Corte d’appello non ha tenuto conto che tra il progetto preliminare CIPE del 2005, che ha posto un vincolo preordinato all’esproprio, ed il nuovo PGT locale del 2017, è stato, nelle more approvato, nel 2009, sempre dal CIPE, «il progetto definitivo dell’opera autostradale (delibera CIPE n. 42/2009, divenuta efficace il 21 luglio 2009 in seguito alla registrazione da parte della Corte dei conti)», come emergeva nei decreti di esproprio «e come riconosciuto dallo stesso CTU».
Pertanto, occorreva fare riferimento, ai fini della individuazione della destinazione urbanistica, non al PGT locale del 2017, «bensì esclusivamente al progetto preliminare ed al progetto definitivo approvato dal CIPE nel 2009».
L’art. 166 del d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che l’approvazione del progetto definitivo, adottato con il voto favorevole della maggioranza dei componenti il CIPE, «sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere per gli insediamenti produttivi strategici», mentre gli enti locali «provvedono all’adeguamento definitivo degli elaborati urbanistici di competenza».
Per tale ragione, il progetto definitivo di un’opera pubblica si innesta ope legis negli strumenti urbanistici, imponendo agli enti locali l’onere di adeguamento recepimento.
Allo stesso modo, l’art. 165 del d.lgs. n. 163 del 2006, che reca la disciplina del progetto preliminare, stabilisce che l’approvazione di tale progetto determina «l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti e adottati».
Trattasi di norme imperative che non possono mai essere derogate dagli enti locali.
Per tale ragione, «la destinazione urbanistica applicabile alla fattispecie da quella descritta dal CTU nelle ultime 4 righe del paragrafo denominato ‘situazione dei terreni ante-esproprio’».
Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – violazione dell’art. 165 e 166 del d.lgs. n. 163/2006 – violazione dell’art. 32 e 40 del d.P.R. n. 327 del 2001 – dell’art. 41-septies della legge n. 1150/1942 e dell’art. 16 del codice della strada».
La Corte d’appello ha ritenuto, condividendo le risultanze della CTU, che l’area ricompresa nella fascia di rispetto, dovrà essere valutata, non in base alla natura agricola, ma secondo il c.d. valore di aree «a standard».
Ciò in quanto tali zone, pur essendo gravate da un vincolo di inedificabilità assoluta, «possono essere utilizzate per la realizzazione di quelle opere complementari alle nuove costruzioni quali parcheggi, chioschi, stazioni di servizio, area verde, in altre parole ‘gli standard’ previsti dalla legge, come espressamente indicato anche nel PRG vigente al momento dell’apposizione del vincolo, all’art. 34».
La Corte territoriale, peraltro, ha applicato una riduzione percentuale rispetto al valore dell’area edificabile, nella misura del 35% «rispetto al valore dell’area edificabile», giungendo ad
individuare il valore di euro 121,60 m², per un valore complessivo di euro 552.672,00.
Per i ricorrenti «la Corte d’appello non ha tenuto in debita considerazione che il valore economico individuato dal CTU non era rapportato ad un’area ricadente in fascia di rispetto, bensì ad area edificabile».
Per i CTU, dunque il valore comparabile era emerso «dalla perizia di stima del 2017 che determina un valore pari ad Euro/mq 126,50 per un intervento residenziale, terziario, commerciale standard privati e pubblici».
Si tratta di un «valore unitario che comprende al suo interno la media di tutti i valori delle citate facoltà edilizie».
Per il CTU, dunque, attraverso tale metodo di calcolo «si determina valore complessivo dell’area in oggetto trasformata, pari ad euro 38.817.790», sicché «tale importo, diviso la superficie territoriale in esame pari a mq 306.860, determina un prezzo unitario dell’area pari ad euro/mq 126,50».
Tale criterio sarebbe «manifestamente errato», in quanto è applicabile alle aree edificabili «mentre l’area di cui trattasi è una fascia di rispetto, quindi, è ontologicamente in edificabile».
Il CTP del ricorrente, invece, aveva chiesto di «valutare tali aree col valore agricolo di mercato dal momento che le stesse antecedentemente all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio erano già destinate ad ampliamenti di viabilità e perciò in edificabili».
L’inclusione del terreno creato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo come non edificabile.
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., primo
comma, numeri 3 e 5, c.p.c. – violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: violazione dell’art. 165 166 del d.lgs. n. 163/2006 – violazione dell’art. 31, 32 e 37 del d.lgs. n. 327 del 2001».
Il ricorrente evidenzia «la situazione di riflesso sulle aree precedentemente occupate in via di urgenza», sicché, per le medesime ragioni, già esposte, «deve essere riformata anche la parte di statuizione avente ad oggetto il calcolo dell’indennità di occupazione».
Indennità di occupazione è stata quantificata dalla Corte d’appello nella somma di euro 654.846,00. Tale calcolo fa riferimento all’ipotesi B del prospetto del CTU, ove indennità di occupazione di urgenza viene calcolata «in base all’assetto urbanistico rapportato al nuovo PGT del 2017 e quindi sull’errato presupposto che non tiene conto dei 2 progetti e delle variazioni ope legis allo strumento urbanistico locale dai medesimi apportati, e che, quindi, ingiustamente attribuisce a parte resistente 3355 m² di area edificabile invece di mq 988».
I motivi primo e terzo, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati nei termini di cui motivazione.
4.1. Anzitutto, si reputa non fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente, per asserita novità della questione giuridica trattata dal primo motivo di ricorso per cassazione.
In realtà, dalla sentenza della Corte d’appello di Milano emerge il richiamo espresso alla delibera del CIPE del 29/7/2005 con cui è stato approvato il progetto preliminare per la realizzazione del nuovo collegamento autostradale (cfr. pagina 3 della motivazione «la questione relativa al momento in cui debba essere valutata la
destinazione urbanistica dei beni oggetto di esproprio è nel caso di specie rilevante, in quanto i PRG sono mutati nell’arco degli anni trascorsi dall’apposizione del vincolo (cioè dal 29/7/2005, quando è stato approvato il progetto preliminare del nuovo collegamento autostradale da parte del CIPE) all’emissione del decreto di esproprio».
La circostanza, dunque, che il progetto preliminare relativo al nuovo collegamento autostradale costituisse un’opera strategica, con conseguente applicazione della speciale normativa dedicata a tali infrastrutture, proprio al fine di consentirne una celere attuazione, risultava chiara negli atti del giudizio ed è stata sottoposta d’esame della Corte territoriale.
Quanto al merito, i fatti di causa possono essere sinteticamente riportati.
Con delibera del CIPE n. 221 del 21/12/2001 è stato approvato il primo programma di opere strategiche.
Con successiva delibera del 29/7/2005 il CIPE ha approvato il progetto preliminare del nuovo collegamento autostradale.
Con delibera del 26/6/2009, efficace dal 21/7/2009, il CIPE ha approvato anche il progetto definitivo dell’opera pubblica, con conseguente dichiarazione di pubblica utilità.
Fino a questo momento, dunque, le aree interessate dall’espropriazione, per la superficie complessiva di mq 7900, dovevano essere distinte in aree edificabili, per metri quadri 988, ed aree inserite in fascia di rispetto stradale per metri quadri 6912.
Tutto muta con l’adozione da parte del Comune del piano di governo del territorio, con la delibera n. 32 del 13/7/2017, cui ha fatto seguito il decreto di esproprio del 4/7/2018.
A seguito del mutamento di destinazione urbanistica, in ragione dell’adozione del nuovo piano di governo del territorio, l’area
edificabile è stata aumentata mq 3555, mentre l’area inserita nella fascia di rispetto è stata diminuita mq 4545,00.
La questione attiene dunque alla possibilità da parte degli enti locali di derogare, con l’adozione del piano di governo del territorio, alla destinazione urbanistica impressa dal CIPE attraverso l’approvazione del primo programma di opere strategiche del 21/12/2001, del progetto preliminare del nuovo collegamento autostradale del 29/7/2005 e del progetto definitivo dell’opera pubblica.
6. La Corte d’appello, pur muovendo dalla esatta considerazione che la destinazione urbanistica debba essere valutata al momento dell’adozione del decreto di esproprio, ha però ritenuto erroneamente che gli enti locali potessero modificare la destinazione urbanistica impressa con delibere del CIPE, di approvazione del progetto preliminare e di quello definitivo.
6.1. L’art. 165 (Progetto preliminare. Procedura di valutazione di impatto ambientale e localizzazione) del d.lgs. 12/4/2006, n. 163, prevede al comma 7, nella versione in vigore all’epoca dei fatti, che «l’approvazione determina, ove necessario ai sensi delle vigenti norme, l’accertamento della compatibilità ambientale dell’opera e perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa Stato-regione sulla sua localizzazione, comportando l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti e adottati; gli immobili su cui è localizzata l’opera sono assoggettati al vincolo preordinato all’esproprio ai sensi dell’art. 10 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327; il vincolo si intende apposto anche in mancanza di espressa menzione; gli enti locali provvedono alle occorrenti misure di salvaguardia delle aree impegnate e delle relative eventuali fasce
di rispetto e non possono rilasciare, in assenza della attestazione di compatibilità tecnica né altri titoli abilitativi nell’ambito del corridoio individuato con l’approvazione del progetto ai fini urbanistici e delle aree comunque impegnate dal progetto stesso. A tale scopo, l’approvazione del progetto preliminare è resa pubblica mediante pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della regione (o nella Gazzetta Ufficiale) ed è comunicata agli enti locali interessati a cura del soggetto aggiudicatore».
Il comma 5 dell’art. 165 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede, poi, che «il progetto preliminare non è sottoposto a conferenza di servizi. Il progetto preliminare, istruito secondo le previsioni del presente articolo, è approvato dal CIPE». Si precisa, in tale disposizione, che «il CIPE decide a maggioranza, con il consenso, ai fini della Intesa sulla localizzazione, dei presidenti delle regioni e province autonome interessate, che si pronunciano, sentiti comuni nel cui territorio si realizza l’opera. La pronuncia deve intervenire nei termini di cui al comma che precede, anche nel caso in cui i comuni interessati non si siano tempestivamente espressi».
È evidente, dunque, che già la semplice approvazione del progetto preliminare dell’infrastruttura strategica da parte del CIPE comporta una deroga legale alla disciplina urbanistica degli enti locali, tanto è vero che tale approvazione impone «l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti adottati», con la previsione di obblighi di salvaguardia in capo agli enti locali, che non possono rilasciare, in assenza della attestazione di compatibilità tecnica da parte del soggetto aggiudicatore, permessi di costruire nell’ambito del corridoio individuato con l’approvazione del progetto.
Del resto, nell’ambito del procedimento istruttorio vengono «sentiti i comuni nel cui territorio si realizza l’opera».
6.1.1. La peculiare disciplina delle infrastrutture strategiche trova conferma anche nella modifica all’art. 165 del d.lgs. n. 163 del 2006, operante a decorrere dal 13/7/2011, quindi non applicabile nella fattispecie in esame.
Si prevede, infatti, al comma 7bis dell’art. 165 sopra richiamato che «per le infrastrutture il vincolo preordinato all’esproprio ha durata di 7 anni, decorrenti dalla data in cui diventa efficace la delibera del CIPE che approva il progetto preliminare dell’opera. Entro tale termine, può essere approvato il progetto definitivo che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. In caso di mancata approvazione del progetto definitivo nel predetto termine, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
7. Va poi richiamato l’art. 166 (Progetto definitivo. Pubblica utilità dell’opera), comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, nella versione ratione temporis applicabile, ove si prevede che «il progetto definitivo delle infrastrutture è integrato da una relazione del progettista attestante la rispondenza al progetto preliminare e alle eventuali prescrizioni dettate in sede di approvazione dello stesso con particolare riferimento alla compatibilità ambientale e alla localizzazione dell’opera».
Si stabilisce al comma 5 dell’art. 166 richiamato che «l’approvazione del progetto definitivo, adottata con il voto favorevole della maggioranza dei componenti il CIPE, sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione parere comunque denominate consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l’esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato. In caso di dissenso della regione o provincia
autonoma, si provvede con le modalità di cui all’art. 165, comma 6. Gli enti locali provvedono all’adeguamento definitivo degli elaborati urbanistici di competenza ed hanno facoltà di chiedere al soggetto aggiudicatore o al concessionario o contraente generale di porre a disposizione di elaborati a tali fini necessari».
Si conferma, dunque, la prevalenza della destinazione urbanistica impressa con l’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE, rispetto a quella individuata dagli strumenti urbanistici generali, tanto che gli enti locali «provvedono all’adeguamento definitivo degli elaborati urbanistici di competenza», mentre l’approvazione del progetto definitivo «sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione parere».
8. In dottrina si è chiarito che il d.lgs. n. 163 del 2006 definisce il quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione di infrastrutture di insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale sostituendo il d.lgs. n. 190 del 2002, di attuazione della legge obiettivo n. 443 del 2001.
Pertanto, la realizzazione e l’esercizio di tutte le opere attività previste nel progetto definitivo sono consentiti una volta che lo stesso ottenga l’approvazione del CIPE, espressa maggioranza dei suoi componenti, che sostituisce ogni altra autorizzazione o parere in qualunque modo denominati.
Del resto, l’approvazione dei progetti delle infrastrutture strategiche avviene d’intesa tra lo Stato e le regioni nell’ambito del CIPE, allargato ai presidenti delle regioni e province autonome interessate (art. 161 del d.lgs. n. 163 del 2006).
È stata, peraltro, dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale delle norme relative all’approvazione dei progetti, in quanto non prevedono la partecipazione nella forma dell’intesa anche degli enti locali direttamente interessati dalla
costruzione dell’infrastruttura e che, pur stabilendo l’acquisizione di pareri obbligatori e parzialmente vincolanti resi da regioni e province autonome, consentono tuttavia che, in sede di approvazione del progetto preliminare, si possa prescindere da qualsiasi parere degli enti locali (Corte cost., n. 82 del 2005).
Tra l’altro, l’art. 165, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede anche una procedura tipica per il superamento del dissenso delle amministrazioni interessate a seconda che il progetto abbia carattere interregionale o regionale.
Deve, dunque, concludersi nel senso che l’approvazione del progetto comporta automatica variante agli strumenti urbanistici vigenti, proprio in quanto è approvato d’intesa con gli enti territoriali competenti (in tal senso Cass., sez. 5, 24/11/2020, n. 26653, in motivazione).
Pertanto, nella valutazione della effettiva destinazione urbanistica delle aree oggetto di espropriazione per la realizzazione dell’opera pubblica strategica, costituita dal collegamento autostradale in oggetto, la Corte d’appello ha omesso di tenere conto dei provvedimenti del CIPE relativi all’approvazione del progetto preliminare del 29/7/2005 e del progetto definitivo del 26/6/2009, che non potevano in alcun modo essere derogati dal piano di governo del territorio di cui alla delibera n. 32 del 13/7/2017.
Risulta non condivisibile, allora, il passaggio della motivazione della Corte territoriale, ove si afferma che «è peraltro vero che in molti casi, sottoposti all’attenzione delle corti, si può porre il problema della natura edificabile o meno dell’area , in relazione a precedenti apposizioni di vincoli, che hanno modificato la destinazione del bene, a far data dal un determinato atto di pianificazione territoriale antecedente al decreto di esproprio. Peraltro, tale problematica resta sullo sfondo nel caso di specie, dato
che è pacifico, come espresso in modo costante dalla suprema Corte , che la determinazione dell’indennità di espropriazione deve avvenire sulla base delle possibilità legali indicazione al momento del decreto espropriativo e non della contrapposizione tra vincoli espropriativi o conformativi».
Proprio in quest’ultima affermazione si annida l’errore della Corte territoriale, che non tiene conto, appunto, della specificità delle deliberazioni del CIPE nell’approvazione di opere relative ad infrastrutture strategiche.
Pertanto, la Corte d’appello, in sede di rinvio, dovrà tenere conto della superficie di mq 988 in zona edificabile e di mq 6912 in fascia di rispetto stradale.
Non è fondato, invece, il secondo motivo, che va circoscritto alla zona mq 6912 in fascia di rispetto stradale.
10.1. Deve muoversi dalla considerazione che l’inclusione del terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo come non edificabile ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, trattandosi di una limitazione legale della proprietà avente carattere generale, in quanto concernente, sotto il profilo soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati beni che si trovino nella medesima situazione e, sotto il profilo oggettivo, beni immobili individuati a priori per categoria, in ragione della loro posizione o localizzazione rispetto un’opera pubblica stradale o ferroviaria, non rilevando, in senso contrario, che il terreno sia collocato all’interno di un piano di insediamento industriale o di un piano di edilizia economica e popolare (Cass., sez. 1, 25/1/2022, n. 2127; Cass., sez. 1, 6/6/2018, n. 1472).
Si è chiarito che tale disciplina non può essere derogata neppure dagli strumenti generale di pianificazione del territorio, i quali, essendo provvedimenti amministrativi, sono assoggettati al rispetto
delle norme di legge che impongono limitazioni legali di carattere assoluto. Ne consegue che al giudice, in sede di valutazione dell’indennità di occupazione o di esproprio, non è consentito prescinderne, dovendo egli limitarsi a prendere atto del regime direttamente stabilito dal legislatore (Cass., sez. 1, 25/1/2022, n. 2127; Cass., sez. 1, 17/12/2012, n. 23210; Cass., sez. 1, 21/12/2015, n. 25668).
Pertanto, deve sottolinearsi che il vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di rispetto stradale o autostradale, non deriva dalla pianificazione e dalla programmazione urbanistica, ma è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi che rendono il suolo adesso soggetto legalmente in edificabile, trattandosi di vincolo dettato per favorire la circolazione e offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze o in queste abitano ed operano, sicché tale vincolo non ha né un contenuto puramente espropriativo, né può qualificarsi come preordinato all’espropriazione, dovendo pertanto tenersi conto di esso nella determinazione dell’indennità di esproprio, non essendo l’area in questione suscettibili di edificazione in nessun caso, dato che vige il divieto assoluto di costruire su di essa (Cass., sez. 1, 25/1/2022, n. 2127).
11. Tuttavia, pure in ipotesi di inedificabilità assoluta, deve verificarsi se sul terreno in contestazione possa comunque individuarsi un uso intermedio, diverso da quello meramente agricolo.
Ed infatti si è evidenziato che «non può però negarsi alcun rilievo alla specifica connotazione del terreno su cui opera il vincolo derivante dall’esistenza della fascia di rispetto, qualora si tratti di terreni non edificabili che, tuttavia, non sono coltivati» (Cass., sez. 1, 25/1/2022, n. 2127, in motivazione).
12. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, a sezioni unite, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata, esprimibile dal proprietario dell’area (Cass, Sez.U., 19/3/2020 , n. 7454).
Tuttavia, si è chiarito (Cass., Sez.U., n. 7454 del 2020) che, in tema di determinazione dell’indennità di occupazione legittima di terreni agricoli, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (VAM), la stima deve essere effettuata in base al criterio del valore venale pieno, con la possibilità di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, sia suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, tale da attribuire allo stesso una valutazione di mercato che rispecchi possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (Fattispecie relativa all’occupazione di un’area destinata ad attrezzature sportive, campi da gioco ed attrezzature varie).
Nella specie, la Corte territoriale, del tutto correttamente, ha condiviso le risultanze della CTU sulla possibilità di utilizzo del terreno assoggettato a fascia di rispetto stradale, per uno sfruttamento diverso da quello agricolo, trattandosi di aree ‘a standard’.
Ed infatti, per la Corte d’appello «per quanto riguarda l’area ricompresa nella fascia di rispetto, il CTU ha effettuato una valutazione della stessa non al valore agricolo, come proposto da parte impugnante COGNOME nel ricorso introduttivo, ma effettuandone la valutazione secondo il cd valore di aree ‘a standard’».
In virtù della valutazione ‘a standard’, quindi, «le zone ricadenti in fasce di rispetto, pur essendo gravate da un vincolo di inedificabilità assoluta, possono essere utilizzate per la realizzazione di quelle opere complementari alle nuove costruzioni quali parcheggi, chioschi, stazioni di servizio, aree a verde, in altre parole ‘gli standard’ previsti dalla legge».
Con valutazione pienamente meritale, poi, il giudice di 2º grado condiviso anche la valutazione del CTU che ha applicato, per la stima delle aree a standard, sottoposte a fascia di rispetto stradale, «una riduzione percentuale rispetto al valore dell’area edificabile, che ha ritenuto congruo valutare, secondo le linee più accreditate in materia di estimo, ed effettuate le debite comparazioni con i terreni limitrofi, nella misura del 35% rispetto al valore dell’area edificabile».
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in ordine motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi primo e terzo di ricorso; rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata, in ordine motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 novembre 2024
Il Presidente NOME COGNOME