Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23448 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23448 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24833/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro COMUNE DI MODENA, in persona del Sindaco
-intimato- avverso l’ORDINANZA della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA n. 2548/2023 depositata il 12/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto, ex artt. 54 D.P.R. 327/2001 e 29 del D.lgs. 150/2011, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e del Comune di Modena, opposizione alla stima definitiva dell’indennità di espropriazione, determinata da collegio peritale ex art. 21 D.P.R. 327/2001.
Si tratta, nella specie, della realizzazione di due ‘triplette’ di pozzi in località Cognento (Modena) su terreni di proprietà della società agricola per opere di adeguamento centrale e perforazione di nuovi pozzi a servizio del campo acquifero di Modena, località Cognento.
La Corte d’appello, richiamando le conclusioni della consulenza, ha rilevato che ci si trova di fronte ad un esproprio parziale, in quanto sono state espropriate due particelle (383, 385) per realizzare i pozzi e per accedervi è stata costituita una servitù di passaggio; di conseguenza ha ritenuto applicabile l’art. 33 del D.P.R. 327/ 2001, tenendo conto del deprezzamento della proprietà residua. Ha quindi liquidato la indennità in 99.460,69 euro, di cui 73.303,50 euro (15.359,50 euro + 57.944,00 euro) per ‘indennità di esproprio, comprensiva del danno alla residua proprietà; 23.032,30 euro per indennità di asservimento; 3.088,89 euro per indennità di occupazione temporanea.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la società proprietaria, affidandosi a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso e memoria. Il Comune non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c. n. 3, per l’omesso riconoscimento della incostituzionalità dell’applicazione del VAM (valore agricolo medio), e la conseguente errata determinazione del coefficiente da applicare. La parte lamenta che il consulente abbia utilizzato nella sua relazione un parametro da tempo dichiarato incostituzionale, il VAM, di fatto frustrando le sue pretese, essendosi vista deprezzare il valore del proprio bene, con conseguente riduzione dell’importo di cui alle indennità poi riconosciute in sentenza.
2. -Il motivo è inammissibile
In primo luogo, si osserva che il consulente non ha applicato sic et simpliciter il criterio del VAM, né la Corte lo ha recepito. Piuttosto, si è utilizzato il VAM come uno dei parametri del percorso di stima per giungere al valore venale del bene. Si legge infatti a pag. 10 della ordinanza che il consulente « ha provveduto a stimare l’indennità in base al criterio del valore venale in ragione delle specifiche caratteristiche del bene, utilizzando il metodo del confronto di mercato, consistente nella ricerca del valore commerciale di beni simili a quello oggetto di stima, quale risultante dalla libera contrattazione », ed ancora che « sulla scorta dei dati comparabili reperiti presso l’Agenzia delle Entrate di Modena e riferiti all’epoca del Decreto di Esproprio, il CTU ha, dunque, calcolato l’indennità di esproprio delle suddette particelle operando la media tra i valori ricavati dai due comparabili reperiti (pari a 9,00 €/mq e 5,95 €/mq) e il valore medio della coltura più redditizia della Regione Agraria n. 6 della Provincia di Modena – vigneto irriguo – pari a 5,84 €/mq, pervenendo così al valore unitario medio di 6,93 €/mq, arrotondato a 6,95 €/mq.)» Sotto questo profilo quindi la censura non si con-
fronta con la ragione decisoria. Inoltre, la Corte ha espressamente rilevato che la valutazione non ha formato oggetto di specifiche contestazioni, e la parte nell’esporre la censura non contesta questo punto e non specifica di avere sottoposto rilievi, per questa ragione, alla consulenza.
3. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la omessa specificazione e/o non sufficiente esplicazione del procedimento logico/giuridico sotteso alla decisione, ex art. 360 c.p.c. n. 5. La parte chiede alla Corte di cassazione di verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse, legate alle risultanze delle consulenze tecniche espletate, alla probabilità delle conseguenze e la errata applicazione della norma entro cui è sussunta la fattispecie. Secondo la parte, nella valutazione dei dati scaturenti dalle consulenze disposte e nel successivo giudizio di diritto è mancato il necessario approfondimento degli elementi che hanno portato la Corte d’Appello a discostarsi dalle risultanze cui sono pervenuti i consulenti d’ufficio.
4. Il motivo è inammissibile
La censura ex art 360 n. 5 c.p.c. è ammissibile solo in quanto sia volta a contestare l’omesso esame di un fatto decisivo, inteso come fatto storico naturalistico e come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr. Cass. n. 28390/2023; Cass. n. 27505/2023). La censura non può rilevare la difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando, solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (cfr. Cass., SU, n.
8053 del 2014). Né può censurarsi ex art 360 n. 5 c.p.c. la implausibilità del percorso motivazionale. In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 03/03/2022; Cass. n. 18886 del 04/07/2023). Nella specie, a fronte di un’articolata ed esaustiva motivazione da parte della Corte d’appello, che ha reso note le ragioni per le quali ha recepito le conclusioni del consulente e i parametri sulla base dei quali ha liquidato l’indennità, la parte non individua quali fatti intesi in senso naturalistico la Corte non avrebbe esaminato e non si confronta con la ragione decisoria.
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore della parte costituita.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per spese non do-
cumentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.