Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21862 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21862 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 31640/2020
promosso da
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME, rappresentati e difesi d all’ avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
ricorrenti e controricorrenti in via incidentale
contro
Comune di Brindisi , in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso d all’ avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso il dott. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza n. 423/2020 della Corte d’ appello di Lecce, pubblicata il 12/05/2020, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME conveniva in giudizio il Comune di Brindisi davanti alla Corte di appello di Lecce, per la determinazione dell’indennità di espropriazione a lui spettante, a seguito del decreto di esproprio del 09/05/2005, relativo al terreno di 63.083 mq già ricadente in un’area oggetto di lottizzazione e poi inclusa parte in zona F2 e parte in zona F4 del PRG, adottato con delibera del 10/01/1980 ed approvato dalla Giunta Regionale il 28/12/1988. Instaurato il giudizio, con successivo atto, il COGNOME, affermando che la destinazione impressa con lo strumento urbanistico fosse un vincolo preordinato all’esproprio, reiterato con delibera a dottata nel 1999 e approvata nel 2003, chiedeva anche il pagamento dell’indennizzo commisurato al mancato uso del bene.
Per quanto ancora d’interesse la Corte d’appello, con sentenza n. 430/2010, affermava che, per effetto del PRG adottato nel 1999 ed approvato nel 2003, alla data dell’adozione del decreto di esproprio , vi era un vincolo di carattere conformativo sui terreni ricompresi nella zona F2 e un vincolo di carattere espropriativo sui terreni ricompresi nella zona F4 , determinando l’indennità di espropriazione in complessivi € 2.997.193 ,80, rigettando la domanda volta ad ottenere il ristoro in ragione della reiterazione del vincolo.
Il Comune proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Si difendevano con controricorso gli eredi di NOME COGNOME
La Corte di cassazione con sentenza n. 12818/2016 (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12818 del 21/06/2016), accoglieva il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, cassando con rinvio la decisione impugnata.
Con tali motivi di doglianza si deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 37, 39, 40 d.P.R. n. 327 del 2001, nonché vizio di motivazione in riferimento alle statuizioni sulla natura dei vincoli apposti sui terreni e sulla determinazione dell’indennità di esproprio, lamentando il Comune che la Corte d ‘appello avesse ritenuto l’area edificatoria, senza considerare che la sua destinazione
urbanistica a zona F la escludeva, e che, in particolare, l’inclusione delle aree in zona F2 ed F4 (con destinazione, rispettivamente, ad attrezzature di quartiere e parchi urbani e rispetto assoluto) aveva costituito espressione del potere di zonizzazione, ed aveva impresso ai beni vincoli aventi natura conformativa, che in entrambi i casi comportavano, appunto, la natura non edificatoria, sicché la determinazione dell’indennità di espropriazione doveva esser calcolata in base ai valori agricoli medi.
Questa Corte, su tali censure, ha statuito, in particolare, come segue: « … In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; sez.un. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/20 13; 2605/2010; 21095 e 16537/2009) e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass. n. 11503 del 2014; 665/2010; 400/2010; 21396/2009; 21095/2009; 17995/2009). 3.5. Né vale in contrario la circostanza, evidenziata dalla Corte territoriale in riferimento ai suoli aventi destinazione F2, secondo cui la natura edificatoria deriverebbe dal fatto che gli interventi previsti in sede di pianificazione territoriale avrebbero potuto esser realizzati anche da privati, tenuto conto che, opinando in tal modo la
privatizzabilità dell’intervento finirebbe per diventare l’unico requisito necessario e sufficiente a conferire il carattere di edificabilità al terreno che resta, invece, oggettivamente inserito in una zona non edificatoria (rientrante nell’ambito di quelle che il D.M. 2 aprile 1968, art. 2, include, appunto, fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”) … D’altra parte, la destinazione di aree ad edilizia scolastica (tenuta presente in concreto, cfr. pag 33 primo periodo) configura un tipico vincolo conformativo, che determina il carattere di non edificabilità delle relative aree in quanto l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (Cass. n. 15616 del 2007; 12862 del 2010; n. 8231 del 2012; n. 14347 del 2012; n. 5247 del2016). 3.7. In relazione all’area inclusa in zona F4, è, inoltre, erronea la ravvisata sussistenza di un vincolo espropriativo, di cui non tener conto a fini indennitari, sul rilievo che le possibilità di iniziative del privato, in astratto consentite “sono di fatto insussistenti avuto riguardo alla irrisorietà degli indici” (pag. 29 prima parte della sentenza). La Corte territoriale, infatti, oltre ad equivocare nuovamente sul principio enunciato da Corte Cost. n. 179/1999, ha in concreto fatto discendere la natura espropriativa del vincolo dal fatto che con esso sia stato imposto un vincolo d’inedificabilità, senza considerare che invece tale requisito risulta privo di ruolo discriminante nella summa divisio tra vincoli conformativi ed espropriativi. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. funditus Cass. n. 3620 del 20 16) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato n. 1669 del 2015; n. 2118 del 2012), Consiglio di Stato (Cons. Stato n. 1669 del 2015; n. 2118 del 2012), fuoriescono da questa dicotomia e comunque non appartengono sicuramente alla seconda categoria tutti quei vincoli che non si risolvono nemmeno in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione dei previsti interventi anche
ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, e quindi senza necessità di previa espropriazione del bene (cfr. Corte Co st. n. 179 del 1999). In particolare, se le scelte di politica programmatoria ritengono opportuno che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnata da strumenti di convenzionamento – viene meno la stessa necessità di una futura (ma incerta) espropriazione onde realizzarli, con conseguente cessazione del pericolo di sostanziale ablazione dei suoli medesimi, per la permanenza del vincolo oltre limiti ragionevoli: ferma rimanendo, anche in tal caso, la destinazione pubblicistica della zona e quindi la natura inedificabile di tutte le aree in essa comprese (Cass. n. 3620 del 2016 cit. e giurisprudenza ivi richiamata).»
Sulla scorta di tali argomenti, la Corte ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo assorbite le altre questioni dedotte, con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, al fine di determinare l’indennità, tenendo conto delle obiettive caratteristiche dell’area in relazione alle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria, che siano autorizzate dalla destinazione urbanistica delle aree stesse.
Riassunto il giudizio dagli eredi di NOME COGNOME e costituitosi il Comune, venivano acquisiti documenti e disposta una nuova CTU, all’esito della quale la Corte d’appello , con sentenza n. 423/2020, determinava in € 1.335.903,50 la somma dovuta dal Comune ai privati.
La Corte di merito ha ritenuto di far proprie le conclusioni del CTU che, individuate le parti di terreno comprese in zona F2 e le parti di terreno comprese in zona F4, riteneva di non poter seguire il criterio di stima sintetico-comparativo, per mancanza di validi e idonei elementi di confronto, e, optando per il criterio analitico-ricostruttivo, ha ritenuto di dover prendere in esame la situazione concreta con riferimento cioè
agli effettivi interventi realizzati, che sono stati oggetto di rilievi dimensionali nel corso dei sopralluoghi.
Ai fini della determinazione del valore dell’area, il CTU ha individuato il valore per metro quadro del suolo occupato dalle varie tipologie di interventi realizzati, esaminando i valori OMI per il primo semestre 2006, con riferimento al quartiere INDIRIZZO, confinante con il INDIRIZZO (abitazioni civili, locali commerciali e uffici) e, considerati i maggiori costi richiesti per la realizzazione dei fabbricati elevati al solo piano terra, ha indicato il valore di € 6.672.692,50 . Considerato, poi, che il valore del suolo era mediamente pari al 1525%, lo stesso CTU ha determinato il valore dei terreni considerando il 20% dell’importo sopra indicato, corrispondente ad € 1.33 4.538,50. A tale importo il CTU ha aggiunto il valore del terreno relitto, non suscettibile di autonoma destinazione, il cui valore, quale terreno agricolo, ha determinato in € 1.365,99.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi di NOME COGNOME affidato a tre motivi di ricorso, e il Comune si è difeso con controricorso.
Lo stesso Comune ha successivamente notificato ricorso contro la stessa sentenza, affidato a tre motivi di impugnazione, seguito dal controricorso degli eredi di NOME COGNOME
Il ricorso per cassazione del Comune, proposto successivamente a quello dei privati, è stato d’ufficio riunito al primo, in applicazione dell’art. 335 c.p.c.
Il Comune e le altre parti hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Statuizioni preliminari
Occorre preliminarmente precisare che avverso la stessa sentenza sono stati proposti due distinti ricorsi per cassazione, riuniti d’ufficio ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Il ricorso del Comune, notificato e depositato successivamente a quello dei proprietari dei terreni espropriati, ma comunque entro il termine previsto dall’art 370 c.p.c., deve essere considerato ricorso incidentale.
Come più volte precisato da questa Corte, infatti, nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 dello stesso codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale – e conseguente riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. qualora risulti proposto entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale, posto che in tale ipotesi, in assenza di una espressa indicazione di essenzialità dell’osservanza delle forme del ricorso incidentale, si ravvisa l’idoneità del secondo ricorso a raggiungere lo scopo (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 33809 del 19/12/2019; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 25054 del 07/11/2013).
I motivi di ricorso principale
Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 40 d.P.R. n. 327 del 2001, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello fatto ricorso al criterio di stima analitico-ricostruttivo, pur in presenza di validi elementi di comparazione, che rendevano dovuta l ‘applicazione del criterio sintetico-comparativo.
Con il secondo motivo di ricorso principale è dedotto il difetto assoluto di motivazione, prevista da ll’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost., con conseguente nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in ordine alla statuizione sulla inutilizzabilità degli elementi di comparazione offerti dagli attori in
riassunzione, atteso che la sentenza, ad opinione dei ricorrenti, appiattendosi sulle valutazioni del CTU: – ha omesso di menzionare il piano di commercio approvato dal CC di Brindisi con delibera 06/08/2013 n. 66, pur prodotto dagli attori in riassunzione; – non ha esternato il criterio logico che ha condotto al convincimento della inutilizzabilità degli ulteriori elementi di comparazione offerti dagli attori in riassunzione, atteso che sul punto le valutazioni del CTU erano affidate a formule stereotipate.
Con il terzo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 40 d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 384, comma 2, c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello, nell’applicare il criterio analitico-ricostruttivo, fatto erroneo riferimento al valore delle opere in concreto realizzate dal Comune di Brindisi, anche in relazione ad un altro parco, rimasto privo di edificazioni, e non a quello (maggiore) delle opere ulteriori realizzabili in applicazione della normativa di piano urbanistico, così disattendendo in sede di rinvio la sentenza della Corte di cassazione.
I motivi di ricorso incidentale
Con il primo motivo di ricorso incidentale è dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 62, comma 2, 68, comma 1, 72 comma 1, d.l. n. 69 del 2013, conv. con modif. in l. n. 98 del 2013, della delibera di Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura in data 25 gennaio 2017- prot. n. 1318 del 26/01/2017, degli artt. 29, commi 1 e 2, d.lgs. n. 150 del 2011 e 54, comma 1, d.P.R. n. 327 del 2001, degli artt. 158 e 161 c.p.c. nonché dell’art. 114 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 3, c.p.c.
Il ricorrente ha prospettato la nullità della sentenza impugnata, per il vizio di costituzione della Sezione Promiscua della Corte d ‘a ppello di Lecce che ha deciso la sentenza impugnata, avendovi partecipato il Giudice ausiliario dott. NOME COGNOME peraltro con funzione di
estensore, nonostante, ai sensi dell ‘ art. 62, comma 2, d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n. 98 del 2013, il Giudice ausiliario non potesse fare parte del collegio giudicante, quando la Corte d’appello decide in unico grado, come nella specie, in cui si controverte in tema di opposizione alla stima e determinazione dell’indennità di esproprio.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale è dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c. nonché de ll’art. 17, comma 1, l.r. Puglia, dell’art. 11 l. n. 1150 del 1942, delle norme tecniche di attuazione (NTA) del Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune di Brindisi, integrate e specificate, per i terreni oggetto di esproprio, dalle NTA del Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il Paesaggio della Regione Puglia dell’ anno 2000 (PUTT). In particolare, per i suoli destinati ad F2 (divisi in comparti): art. 2.02, punto 1.1; art. 3.08, punto 4.1; art. 3.09, punto 4.1. Oltre alle tavole 6-20 e 6 del PRG adeguato al PUTT, nonché gli artt. 93 e 96 r.d. n. 523/1904, in relazione all’art. 360, ocmma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.
Il Comune ha rilevato che questa Corte di cassazione ha annullato la prima sentenza, perché il Giudice a quo aveva erroneamente considerato che il terreno ablato avesse natura edificatoria e possibilità legali di edificazione, quando invece esso, tipizzato F2 ed F4 non aveva possibilità legali di edificazione, in quanto conformato e vincolato a una destinazione esclusivamente pubblicistica, aggiungendo che all’annullamento è seguito il rinvio alla Corte territoriale, perché venisse determinata l’indennità d i esproprio, tenendo conto delle obiettive caratteristiche dell’area in relazione alle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria, che siano autorizzate dalla destinazione urbanistica delle aree stesse.
Ad opinione della parte, dunque, la Corte di merito ha volato il principio di diritto e comunque si è attenuta a quanto statuito nella decisone del giudice di legittimità, poiché ha determinato tale indennità
ritenendo esistenti le possibilità di utilizzazione intermedia, quando invece esse erano escluse dalla destinazione urbanistica dei suoli, rinveniente dalle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Regolatore Generale del Comune di Brindisi (PRG) integrate e specificate, per i suoli oggetto di esproprio, dalle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il Paesaggio della Regione Puglia per l’ anno 2000 (PUTT)
Co il terzo motivo di ricorso incidentale è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, comma 1, n. 4 per motivazione inesistente e/o apparente e/o apodittica in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c.
Il Comune ha affermato che la Corte d’appello non ha minimamente affrontato il dibattito sorto tra i CCTTPP del Comune e il CTU sull’utilizzo da parte di questi dei valori OMI immobiliari per determinare la stima della indennità.
L’esame dei motivi di ricorso principale
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Questa Corte è oramai da tempo consolidata nel ritenere che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, la determinazione del valore del fondo è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito che sceglie se utilizzare il metodo analitico-ricostruttivo, teso ad accertare il valore di trasferimento del fondo o il metodo sinteticocomparativo, volto invece a desumere dall’analisi del mercato il valore commerciale attraverso il riferimento alle aree omogenee. Ne consegue che il giudice, ove venga utilizzato il criterio sintetico-comparativo, dovrà tenere conto delle condizioni apprezzate dal mercato immobiliare che, in base alla destinazione urbanistica della zona in cui l’immobile è compreso, possano incidere sulla sua edificabilità di fatto ed indurre alla determinazione del suo effettivo valore venale, mentre, ove venga prescelto il metodo analitico-ricostruttivo, diretto ad accertare il valore di trasformazione del suolo edificabile, dovrà considerare anzitutto la
densità volumetrica esprimibile in base agli indici di fabbricabilità della zona omogenea in cui è incluso, al netto degli spazi assegnabili a standards, nonché delle spese di urbanizzazione relative alle opere che, poste in essere dall’amministrazione, assicurano l’immediata utilizzazione edificatoria dell’area (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7288 del 22/03/2013).
In altre parole, la determinazione del valore del fondo può avvenire sia con metodi analitico-ricostruttivi, tesi ad accertare il valore di trasferimento del fondo, sia con metodi sintetico-comparativi, volti invece a desumere dall’analisi del mercato il valore commerciale del fondo , con la conseguenza che l’adozione di uno di tali metodi rende superflua l’analisi degli elementi su cui si fonda l’altro (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12771 del 31/05/2007).
Non è, comunque, possibile stabilire tra i due criteri di stima un rapporto di regola ad eccezione, restando rimessa al giudice di merito la scelta del metodo di stima che ritiene più idoneo (Cass, Sez. 6-1, Ordinanza n. 6243 del 31/03/2016; v. già Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3034 del 15/02/2005), con la conseguenza che, ove il giudice che accolga le conclusioni del consulente tecnico, secondo il metodo analitico, non è neppure tenuto a motivare la mancata adozione del metodo sintetico (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1161 del 19/01/2007; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9312 del 20/04/2006).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha espressamente affermato di voler fare proprie le conclusioni del CTU, che ha ritenuto di effettuare la stima utilizzando il criterio analitico, spiegando, peraltro, anche le ragioni di tale scelta (p. 5 della sentenza impugnata).
5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Dalla lettura della sentenza impugnata di evince chiaramente che la Corte di appello ha esaminato le produzioni dei ricorrenti, ove si legge quanto segue: «Ha premesso il CTU, anche su questo punto rispondendo alla specifica osservazione del CT di parte attorea, di non
avere potuto adottare, nella ricerca del valore di mercato, il criterio sintetico-comparativo per la mancanza di validi ed idonei elementi di confronto in quanto riferiti, quelli re periti, ‘a terreni i cui aspetti di rappresentatività non consentono il paragone con quello oggetto di stima, presentando diversità sostanziali con riferimento alla morfologia, all’ubicazione, alla salubrità, alla conformazione orografica, alla idrogeologica ed all ‘ accessibilità” (v. relazione peritale – pag. 72), come emerso dall’esame dei singoli atti di compravendita posti a confronto ai fini della stima (v. relazione peritale pagg. 72-77), il che consente, tra l’altro, di ritenere assorbita l’eccezione formulata dal Comune in ordine alla irritualità del deposito degli atti di compravendita, ivi incluso il “Piano urbano del Commercio”, non considerato perché alla data di approvazione (06/08/2013), il parco Di Giulio era stato già completato.»
La C orte d’appello ha fatto propri gli argomenti del CTU che hanno giustificato la mancata considerazione degli atti di compravendita relativi a zone limitrofe, ai fino dell’applicazione del metodo sintetico -comparativo, a cui ha preferito quello analitico-ricostruttivo, e ha anche spiegato le ragioni della ritenuta irrilevanza del Piano urbano di Commercio.
Gli argomenti sono chiari e idonei a rappresentare l’iter logico giuridico seguito.
D’altronde, l a censura si risolve nella critica a tali argomenti, semplicemente non condivisi, cui la parte ha contrapposto i propri.
Il riferimento ad altri elementi di giudizio non considerati è talmente generico e vago che, solo per questo, deve ritenersi tale da determinare la doglianza inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
6. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di cassazione, nella sentenza che ha cassato la prima decisione della Corte di appello aveva prescritto «di determinare
l’indennità, tenendo conto delle obiettive caratteristiche dell’area in relazione alle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria, che siano autorizzate dalla destinazione urbanistica delle aree stesse».
La valutazione è stata svolta non sulla base delle possibilità consentite di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria, ma sulla base della volumetria costruita per iniziativa del Comune, laddove ha evidenziato che «Ai fini della stima analitica, il CTU ha considerato la volumetria del ‘costruito” che risulta inferiore a quella realizzabile con una moltiplicazione, attraverso la semplice applicazione dei parametri urbanistici, per i seguenti motivi: 1) impossibilità di realizzare i fabbricati in zona scoscesa, dovendosi attribuire, il valore di un suolo, “in base alle possibilità di concreta utilizzazione, in congruenza economica adeguata all’investimento”; 2-3) necessità di rispettare i limiti stabiliti dalle NTA con riferimento alle distanze dei fabbricali dai confini e con riferimento alle distanze tra fabbricati; 4) accertata razionalità distributiva con cui sono stati realizzati gli interventi rilevati in sito, in un rapporto equilibrato tra fabbricati e spazi scoperti sufficientemente idoneo a soddisfare le esigenze collettive; 5) verifica dell’ubicazione degli interventi realizzati; 6) lunghi tempi necessari per un eventuale ampliamento dell’intervento, nell’ambito di un’utilizzazione sostenibile ….; 7) pianificazione urbanistica per la realizzazione del ‘parco Di Giulio’ non finalizzata all’impiego integrale dell’indice di fruibilità e degli ulteriori indici previsti dalle NTA, essendo stata attribuita elevata rilevanza alle tematiche di ‘sostenibilità’ e di ‘tutela dell’ambiente’; 8) presenza, nell’ambito cittadino, di un altro parco urbano a ridosso dell’abitato urbano nelle immediate vicinanze del quartiere INDIRIZZO, il “parco del Cillarese”, a sua volta molto esteso (circa 90 ettari) e comunque “ancor oggi privo di fabbricati di qualsiasi genere (salvo i servizi igienici) a far data dall’epoca dell’inaugurazione’ ‘
per la mancanza di risorse e disponibilità economiche per realizzare gli interventi previsti dalle norme urbanistiche.»
Sebbene il CTU abbia tenuto conto delle possibilità intermedie, tale criterio è rimasto ad un’astratta asserzione, avendo poi seguito il CTU il criterio del ‘ costruito ‘ , di cui ha determinato il valore, decurtando i costi di realizzazione, per arrivare alla stima del suolo, pari al 20% (p. 6 della sentenza impugnata).
Ma tale criterio non era quello indicato nella pronuncia della Corte, che, invece, ha stabilito chiaramente che la Corte di merito avrebbe dovuto «determinare l’indennità, tenendo conto delle obiettive caratteristiche dell’area in relazione alle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria, che siano autorizzate dalla destinazione urbanistica delle aree stesse».
L’esame dei motivi di ricorso incidentale
7. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.
Occorre tenere presente che la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale illustrata nel motivo con sentenza n. 41/2021, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 d.l. n. 60 del 2013, conv. con modif. in l. n. 98 del 2013, nella parte in cui non hanno previsto la loro applicazione fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, nei tempi stabiliti dall’art. 32 d.lgs. n. 116 del 2017 (Corte cost., Sentenza n. 41 del 17/03/2021).
A fondamento della decisione, la menzionata Corte ha affermato che l’articolo 106 Cost. – secondo cui è possibile la nomina di magistrati onorari ‘per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli’ – permette solo eccezionalmente e temporaneamente che, in via di supplenza, i giudici onorari possano svolgere funzioni collegiali di primo grado. Quindi, nei Tribunali e non già nelle Corti (d’appello o di cassazione). Pertanto, l’istituzione dei giudici onorari ausiliari, destinati, in base alla legge, a svolgere stabilmente e soltanto funzioni collegiali presso le Corti
d’appello, nelle controversie civili, deve ritenersi in aperto contrasto con l’articolo 106 Cost.
Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale delle norme indicate, la Corte costituzionale ha, però, ritenuto necessario lasciare al legislatore un sufficiente lasso di tempo che assicuri la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale. È stato così indicato il termine previsto dall’articolo 32, primo periodo, d.lgs. n. 116 del 2017, di riforma generale della magistratura onoraria, ossia quello del 31 ottobre 2025. Fino ad allora, la ‘ temporanea tollerabilità costituzional e’ dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le Corti d’appello dell’apporto di questi giudici onorari per la riduzione dell’arretrato nelle cause civili.
Com’è noto, l’art. 62, comma 2, d.l. cit., precisa che: «Le disposizioni del presente capo non si applicano ai procedimenti trattati dalla Corte di appello in unico grado, fatta eccezione per quelli di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89.»
La sentenza in questa sede impugnata è stata assunta nel giudizio di rinvio a seguito della decisione del giudice di legittimità, successiva alla pronuncia di annullamento adottata da questa Corte di cassazione nei confronti di una sentenza pronunciata in unico grado dalla Corte d’appello.
La censura è stata formulata senza tenere conto di tale circostanza, e cioè che la pronuncia impugnata è stata adottata all’esito di un giudizio di cassazione, che ha portato all’annullamento della statuizione per prima assunta.
Si tratta di un giudizio rescissorio, che segue quello operato dalla Corte di cassazione, avviato per il compimento degli accertamenti in fatto che il giudice di legittimità non può compiere, conseguenti all’annullamento della pronuncia di merito già assun ta, e impugnata per cassazione, tant’è che, ove tali accertamenti in fatto non siano
necessari, la Corte di legittimità può cassare la decisione impugnata e decidere direttamente nel merito la vertenza, senza alcun rinvio.
Sebbene l’art. 394 c.p.c. stabilisca, in via generale, che nel procedimento di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al Giudice al quale la Corte ha rinviato la causa, tuttavia, la stessa disposizione reca norme peculiari, specificando in particolare che le parti, le quali conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata, non possono prendere conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata, salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza della cassazione.
Tali speciali caratteristiche hanno portato gli interpreti a definire il giudizio di rinvio come un giudizio chiuso (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 29879 del 27/10/2023).
La statuizione del giudice di legittimità delimita, infatti, l’oggetto del giudizio in questione e, in caso di violazione di legge, indica anche il principio di diritto da applicare alla fattispecie.
Nel giudizio di rinvio, dunque, viene meno la ratio che presiede al divieto di assegnazione del giudice ausiliario al procedimento di unico grado, e cioè la mancanza di una sentenza già adottata prima che la Corte di appello decida sulla vertenza, poiché tale giudizio costituisce la fase rescissoria del giudizio di impugnazione per cassazione, che presuppone, anzi, l’adozione di una precedente statuizione a definizione di un precedente giudizio di merito.
A nulla rileva il richiamo operato dal ricorrente alla circolare del CSM sulla predisposizione delle tabelle relative al triennio interessato dalla pronuncia impugnata, la cui valenza, ai fini interpretativi è neutra, tenuto conto che l’art. 193 di detta C ircolare non fa espresso riferimento ai limiti all’applicazione dei Giudici ausiliari nei giudizi della Corte d’appello, quando è adita ai sensi dell’art. 392 c.p.c.
Il secondo motivo di ricorso incidentale è fondato sia pure nei limiti di seguito evidenziati.
Come già evidenziato, questa Corte ha cassato la prima sentenza della Corte d’appello , con riferimento ad alcuni motivi, ritenendo assorbite le altre questioni dedotte, con rinvio per un nuovo esame, al fine di determinare l’indennità, tenendo conto delle obiettive caratteristiche dell’area in relazione alle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria, che siano autorizzate dalla destinazione urbanistica delle aree stesse.
La Corte d’appello, nella sentenza impugnata, ha ritenuto sussistente la possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria con riguardo ai terreni in questione, compresi in due zone diverse (F2 e F4), che il Comune ha ritenuto inesistente in base agli strumenti di pianificazione e alle norme tecniche di attuazione, ma che il Giudice di appello non ha neppure verificato, poiché ha effettuato una valutazione in base al ‘costruito’, senza accertare se effettivamente la pianificazione urbanistica vigente all’epoca dell’esproprio consentisse al privato (e non al l’ Amministrazione) la possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti).
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso incidentale, che comporta la cassazione della decisione per una nuova valutazione, rende superfluo l’esame del terzo motivo, che deve ritenersi assorbito.
Statuizioni finali
In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo di ricorso principale, respinto il primo e dichiarato inammissibile il secondo. Deve essere accolto il secondo motivo di ricorso incidentale, respinto il primo e assorbito il terzo. La sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, per la determinazione dell’ indennità di esproprio , tenendo conto delle obiettive caratteristiche dell’area in
relazione alle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria da parte del privato, che siano autorizzate dalla destinazione urbanistica delle aree stesse. La Corte d’appello è chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il terzo motivo di ricorso principale, respinto il primo e inammissibile il secondo;
accoglie il secondo motivo di ricorso incidentale, respinto il primo e assorbito il secondo;
cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, chiamata a statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile