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Indennità di espropriazione: la motivazione apparente

Un proprietario contesta l’indennità di espropriazione per un terreno pertinenziale a un’attività commerciale. La Corte d’Appello riduce la stima del perito del 25% citando la perdita del nesso di pertinenzialità. La Corte di Cassazione annulla la decisione, ritenendo la giustificazione una ‘motivazione apparente’ perché illogica, contraddittoria e priva di un criterio di stima comprensibile, violando il diritto a una decisione trasparente.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di espropriazione: quando la motivazione del giudice è solo apparente?

Il calcolo della corretta indennità di espropriazione è una questione cruciale che bilancia l’interesse pubblico con il diritto di proprietà privata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda un principio fondamentale: la decisione del giudice che si discosta dalla perizia tecnica deve essere supportata da una motivazione reale, logica e comprensibile, non solo apparente. Vediamo insieme il caso e le importanti conclusioni della Corte.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dall’espropriazione di una porzione di terreno di 170 mq, utilizzata come piazzale a servizio di un’attività commerciale. La società espropriante aveva offerto un’indennità basata su un valore di 10,00 €/mq, ritenendo l’area non edificabile secondo il piano urbanistico, che la classificava come ‘area verde’.

Il proprietario si opponeva, sostenendo che il terreno, essendo funzionalmente collegato all’attività industriale, dovesse essere valutato di più. La Corte d’Appello, dopo aver disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) che stimava il valore a 33,92 €/mq, decideva di ridurre tale stima del 25%. La ragione addotta era che, una volta espropriata e separata dall’immobile principale, l’area perdeva il suo ‘nesso di pertinenzialità’ e, di conseguenza, la sua appetibilità commerciale.

Il proprietario ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando che tale riduzione fosse basata su una motivazione inesistente o, appunto, ‘apparente’.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del proprietario, annullando con rinvio la decisione della Corte d’Appello. Il cuore della pronuncia risiede nella censura della motivazione fornita dai giudici di secondo grado, giudicata perplessa, contraddittoria e, in definitiva, solo apparente. Questo vizio rende la sentenza nulla, in quanto impedisce di comprendere il ragionamento logico seguito per determinare l’indennità.

Le motivazioni: il vizio della motivazione apparente nell’indennità di espropriazione

La Cassazione ha evidenziato una profonda contraddizione nel ragionamento della Corte d’Appello. Da un lato, i giudici di merito hanno ridotto il valore stimato dal CTU a causa della perdita del legame funzionale con l’edificio principale. Dall’altro, non hanno spiegato in base a quale criterio alternativo abbiano determinato il nuovo valore, né perché abbiano applicato una riduzione forfettaria proprio del 25%.

Secondo la Suprema Corte, una motivazione si definisce ‘apparente’ quando:
1. È illogica e contraddittoria: Non permette di ricostruire il percorso logico che ha portato alla decisione.
2. Omette elementi cruciali: Non chiarisce la natura e la destinazione del terreno dopo la separazione dal bene principale.
3. Manca di criteri di stima: Non indica i principi estimativi utilizzati per giustificare la riduzione del valore.

In pratica, la Corte d’Appello ha affermato che il criterio del CTU non era più valido, ma non ne ha proposto uno nuovo e verificabile. Questo ha reso impossibile per le parti e per la stessa Cassazione controllare la logicità e la correttezza della decisione. Il principio fondamentale è che l’indennità di espropriazione deve corrispondere al valore di mercato del bene, tenendo conto delle sue caratteristiche concrete. Anche se un bene perde la sua funzione pertinenziale, deve essere valutato per quello che è, in base alle sue potenzialità d’uso residue, che il giudice ha il dovere di specificare.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio di garanzia fondamentale: il potere del giudice di discostarsi dalle conclusioni di un perito tecnico non è illimitato. Tale potere deve essere esercitato attraverso una motivazione che non sia un mero guscio vuoto, ma un ragionamento trasparente, coerente e ancorato a criteri oggettivi. Una riduzione percentuale arbitraria, senza una spiegazione dettagliata del metodo di calcolo alternativo, costituisce una violazione del diritto delle parti a comprendere e, se del caso, contestare la decisione giudiziaria. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione e fornire una motivazione completa e non apparente per la determinazione della giusta indennità.

Che cos’è una ‘motivazione apparente’ in una sentenza sull’indennità di espropriazione?
È un ragionamento del giudice che, sebbene scritto, risulta talmente contraddittorio, illogico o generico da non far comprendere il percorso logico-giuridico seguito per quantificare l’indennità. Ad esempio, applicare una riduzione percentuale al valore stimato da un perito senza spiegare il criterio alternativo usato è considerato motivazione apparente.

Un giudice può ridurre il valore di un bene espropriato stimato da un consulente tecnico (CTU)?
Sì, il giudice può discostarsi dalla stima del CTU, ma deve fornire una motivazione adeguata, logica e specifica. Non può limitarsi a criticare la perizia senza indicare un criterio di valutazione alternativo e trasparente che giustifichi la sua diversa conclusione.

Come si valuta un terreno che perde la sua funzione di pertinenza a seguito dell’esproprio?
Il terreno deve essere valutato per il suo valore intrinseco e le sue caratteristiche oggettive (naturali, economiche e giuridiche) al momento dell’esproprio. La perdita del nesso di pertinenzialità è un fattore rilevante, ma il giudice deve determinare il valore residuo del bene basandosi su criteri di stima concreti e non su una riduzione forfettaria e immotivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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