Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21621 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21621 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17342/2020 R.G. proposto da Comune di Rovolon , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME (PEC
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso l ‘ordina nza n. 434/2020 della Corte d’Appello di Venezia, depositata il 9.2.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Rovolon ricorre contro l ‘ordina nza con cui la Corte d’Appello di Venezia ha determinato l’indennità dovuta al proprietario di una porzione di terreno acquisita con decreto sanante del 9.5.2016, dopo averla utilizzata per la realizzazione di un’opera pubblica ( riqualificazione di INDIRIZZO).
Si tratta di un ‘ area dell’estensione complessiva di m.q. 134, composta di due mappali, fra i quali si trova un’area di proprietà demaniale costituita da uno scolo tombinato. La Corte territoriale ha determinato l’indennità nella misura di € 82.289,00 sulla base della stima della complessiva differenza di valore della proprietà privata prima e dopo l’espropriazione parziale.
Il ricorso per cassazione è articolato in tre motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, si sono difesi con controricorso.
Entrambe le parti hanno inoltre depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione dell’art. 33 d.P.R. 8.6.2001, n. 327».
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nel considerare le due aree espropriate come parte integrante di un «bene unitario» con i beni residui, non essendo esse fisicamente in contatto tra di loro (in quanto separate dallo scolo tombinato di proprietà demaniale) e non avendo le due aree e i
beni rimasti in proprietà del privato la medesima destinazione d’uso urbanistica .
1.1. Il motivo è inammissibile.
La valutazione circa l’esistenza di un ‘ unitaria destinazione economica del complesso immobiliare di cui è stata espropriata una porzione attiene all’accertamento del fatto, che, in quanto tale, è riservato al giudice del merito.
Ciò vale, in particolare, per quanto riguarda la conformazione fisica dei beni, dovendosi peraltro osservare che il tema della mancanza di continuità fisica tra aree espropriate e beni rimasti in proprietà del privato è mal posto dal ricorrente. Infatti, nella prospettazione del Comune di Rovolon, l’a rea demaniale, corrispondente allo scolo tombinato , separa l’una dall’altra le due porzioni di terreno espropriate, mentre non è in discussione la continuità fisica tra una di queste due porzioni e la residua proprietà (attualmente) dei controricorrenti. Pertanto, anche a volere considerare necessaria -per l’applicazione dell’art. 33 d.P.R. n. 327 del 2001 la continuità fisica tra area espropriata e beni rimasti nella proprietà del soggetto privato, si deve comunque constatare che tale elemento della fattispecie non viene messo in discussione dal ricorrente, sia pure con riferimento a una sola delle due aree espropriate.
Quanto poi alla diversa destinazione urbanistica degli immobili coinvolti nella vicenda espropriativa (le due aree espropriate e i beni rimasti in proprietà privata), essa di per sé non contraddice l’accertamento, in fatto, del giudice del merito che si trattasse di un complesso comunque caratterizzato da una destinazione economica unitaria.
Anche il secondo motivo di ricorso denuncia, «sotto un ulteriore profilo», la «violazione e falsa applicazione dell’art. 33 d.P.R. 8.6.2001, n. 327».
Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe determinato l’indennizzo dando rilievo all’attività commerciale esercitata dall’espropriato e non alle «caratteristiche astratte del fondo».
2.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata . Il giudice del merito, sulla scorta dell’esito della disposta c.t.u., ha ritenuto che «la drastica riduzione dell’estensione dello scoperto abbia effettivamente compresso le facoltà del ricorrente di fruire del bene come area di manovra, parcheggio ed esposizione dei mezzi, con conseguente riduzione del valore economico dell’edificio». Dunque l’indennizzo è stato determinato avendo riguardo ai valori differenziali degli immobili e non al pregiudizio subito da una determinata attività commerciale. Del resto, in tal senso la Corte territoriale ha anche aggiunto un’esplicita precisazione: «Con tale considerazione, diversamente da quanto sostenuto dal Comune, non viene dato rilievo, nella stima al pregiudizio subito dall’attività in concreto ivi svolta (vendita e riparazione di macchine agricole), in quanto la medesima considerazione sarebbe valida in presenza di un qualsiasi utilizzo del bene coerente con la sua destinazione d’uso ».
Pertanto, escluso l’errore di impostazione ipotizzato dal ricorrente, per il resto il dissenso sulla determinazione dell’indennizzo contenuta nell’ordinanza impugnata si riduce,
anche sotto questo profilo, a una censura sull’apprezzamento del fatto, inammissibile in sede di legittimità.
Il terzo motivo censura -sempre con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -«violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 5, della legge della Regione Veneto n. 1 del 1982».
Il Comune di Rovolon allega che il fabbricato rimasto in proprietà del signor COGNOME era stato ampliato nel 1984, ai sensi e per le finalità di cui alla L.R. n. 1/1982, che consentiva ‘ l’ampliamento di fabbricati adibiti ad attività di produzione artigianale e industriale, nonché ad attività commerciali, anche ricadenti … in zone non destinate dagli strumenti urbanistici a insediamenti produttivi o commerciali ‘» . Rileva, quindi, che, ai sensi dell’art. 3 , comma 5, di quella legge regionale, il « rilascio della concessione è soggetto ad un preventivo atto di sottomissione con il Comune, registrato e trascritto, con il quale il proprietario, in caso di esproprio, rinuncia a qualsiasi indennizzo per le nuove opere realizzate ».
3.1. Il motivo è inammissibile per una diversa ragione rispetto ai due motivi precedenti.
Il Comune ha prodotto, a dimostrazione di quanto allegato, una «apposita convenzione» stipulata l’8.9.1984, conforme alla previsione della legge regionale, dando peraltro espressamente atto che «Detta convenzione è stata rinvenuta dal Comune soltanto successivamente al deposito dell’ordinanza impugnata e viene quindi depositata con il presente ricorso».
I controricorrenti hanno quindi prontamente eccepito l’inammissibilità, in questa sede, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., sia
dell’allegazione del fatto, sia della produzione del documento non sottoposti all’esame del giudice del merito .
E’ noto, infatti -al di là della considerazione che nel giudizio di cassazione non è consentito il deposito di nuovi documenti se non nei casi previsti dall’art. 372 c.p.c. che secondo il consueto indirizzo seguito da questa Corte che «non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito» (Cass.. 25319/2017), in quanto il giudizio di cassazione «ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte» (Cass. 4787/2012).
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità , liquidate in € 6.200 per compensi, oltre alle spese generali al 15% , ad € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima