Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20100 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20100 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 32066/2021 proposto da:
NOME COGNOME; NOME COGNOME; NOME COGNOME, elettivamente domiciliati presso l’AVV_NOTAIO , dalla quale sono rappresentati e difesi, per procura speciale in atti;
-ricorrenti –
-contro-
COMUNE DI TRENTO, in persona del sindaco p.t., elett.te domic. presso l’Avvocatura generale dello Stato che lo rappres. e difende;
-controricorrente-
avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Trento, n. 169/21, pubblicata in data 15.07.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 11.04.2024 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza del 15.7. 2011 la Corte d’appello di Trento, nel procedimento promosso da NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, nei confronti del Comune di Trento, nel contraddittorio con la Provincia autonoma di Trento- rimasta contumace- determinava nella somma di euro 40.805,00- di cui euro 1.535,00 per indennizzi- in luogo di quella liquidata dalla Provincia, la somma dovuta a titolo di indennità d’espropriazione di due particelle di terreno, in comproprietà fra gli attori.
Con sentenza n. 9410 del 2017 la Cassazione, in parziale accoglimento del ricorso del Comune di Trento, ritenuta erronea l’interpretazione degli artt. 11, c.2, 12, 14 LP n. 6/93, in relazione al disposto del comma 3 dell’art. 14, cassava c on rinvio la decisione della Corte territoriale, statuendo, quale principio di diritto, che il giudice di merito, nella determinazione dell’indennità d’esproprio, per un verso non poteva prescindere da nessuno dei criteri indicati dalla l.p., e dal suddetto art. 14, c. 3, e per un altro verso non può sostituirli con altri, pur se ritenuti più favorevoli all’espropriato, dovendo pertanto tenere in considerazione il grado d’inserimento dei terreni espropriati e della relativa integrazione con i vari elementi urbanistici, abitativi, ambientali ed economici, che ne costituiscono il tessuto stratificato nel tempo, assumendo in particolare l’indice della destinazione urbanistica dei terreni circostanti, nell’accezione di aree che stanno intorno a quella da valutare, intese queste come ambito spaziale non strettamente confinante, ma d’immediata vicinanza nel quale, secondo gli accertamenti di cui alla sentenza, rientrano proprio l’anello stradale e le altre aree, per la gran parte destinate a servizi che circondano immediatamente quelle espropriate.
Gli attori hanno riassunto il processo. Si è costituito il Comune di Trento, la Provincia è rimasta contumace.
Con sentenza del 15 .7.21, la Corte d’appello ha det erminato l’indennità d’espropriazione a favore dei comproprietari , nella somma complessiva di euro 20.587,00 condannando gli opponenti alla restituzione al Comune di Trento della somma di euro 20.218,00 oltre interessi.
Al riguardo, la Corte d’appe llo osservava che: nel corso del procedimento la l.p. in tema d’espropriazione era stata riformata, anche a seguito della pronuncia d’illegittimità costituzionale in ordine ai criteri estimativi da applicare per la determinazione dell’indennità delle aree edificabili, con il nuovo art. 14 che stabiliva che l’indennità dovesse essere rapportata al valore venale dei terreni alla data d’avvio del procedimento; in luogo del precedente criterio della media tra valore venale e valore agricolo, il nuovo art. 154 l.p. ha previsto che il nuovo criterio dovesse essere applicato retroattivamente, anche ai procedimenti in corso, se più favorevole all’espropriato, compresi i casi di ricorsi pendenti innanzi all’autorità giudiziaria alla data d’entrata in vigore della riforma; il c.t.u. in primo grado aveva sottolineato che il 3° c. dell’art. 14, privilegia in ogni caso la stima del valore dell’immobile espropriato in base alle caratteristiche delle aree, anche di natura urbanistica, procedendo ad enucleare i criteri di cui all’art. 14 e a farne applicazione, seguendo il principio di diritto stabilito dalla Cassazione, attraverso un’analitica disamina di tutti gli elementi disponibili per la determinazione di un valore di mercato aderente ai dati di realtà; il c.t .u. aveva rilevato che la destinazione dell’area era stata impressa dalla costruzione dell’autostrada del RAGIONE_SOCIALE, del casello e della viabilità d’ingresso e di uscita – che risalgono agli anni sessantaprecedenti al primo piano regolatore di Trento, con la conseguenza che l’area in questione, se rivalutata, aveva però perso per sempre la
possibilità di divenire in futuro area residenziale di tipo B o C, se non altro per il disturbo provocato dal traffico, dal rumore e dall’inquinamento ; nel caso di specie, ogni ipotesi di costruzione restava preclusa anche dal fatto che le aree espropriate si trovavano all’interno delle fasce di rispetto stradali; il c.t.u. ha quindi effettuato la stima in base alle suddette caratteristiche, muovendo dall’esame del valore dei terreni immediatamente circostanti, all’esito di quattro sistemi di accertamento: a) valore attuale netto; b) capitalizzazione dei canoni d’affitto di terreni adiacenti, anch’essi destinati a parcheggio; c) valori desunti da atti di compravendita sul libero mercato di aree limitrofe; d) raffronto con le quotazioni dei terreni circostanti, come stabilito dall’art. 14, c.3, L.P. 6/93, limitando il campo d’indagine comparativa alla prima cintura stradale secondo i principi fissati dalla Cassazione; pertanto, i valori espressi dai suddetti sistemi si collocavano tra le somme di euro 151,75 al mq e euro 193,00 al mq, e il criterio del valore medio assunto dal c.t.u., che portava alla somma di euro 173,00 al mq, da ritenere congrua per una destinazione a deposito-parcheggio, stima compresa tra le quotazioni di mercato dei terreni agricoli inedificabili- che rappresentano la soglia inferiore- e quelle dei terreni edificabili, che rappresentavano il limite superiore; alle critiche del c.t.p. di parte attrice aveva persuasivamente replicato il c.t.u. ; l’indicazione di circoscrivere l’esame al primo anello viario derivava direttamente dalla sentenza della Cassazione che aveva rinviato alla C orte d’appello per il riesame dei criteri di stima, in ragione della necessaria omogeneità dei dati sui quali la stima medesima doveva essere fondata.
Avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, ricorrono in cassazione con tre motivi, illustrati da memoria. Il Comune di Trento resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 12 e 14 LP n. 6/93 e dell’art. 3 del regolamento di attuazione, approvato con decreto del Presidente della Provincia 26.10.09, anche in relazione agli artt. 42 Cost., 1 del primo protocollo addizionale 1 CEDU, nonché violazione e falsa applicazione dei principi di diritto di cui al giudicato della sentenza della cassazione n. 9410 /17, per non aver la Corte d’appello liquidato l’indennità d’espropriazione secondo il valore effettivo del bene espropriato.
Al riguardo, i ricorrenti deducono che: la sentenza impugnata era fondata sull’erronea interpretazione degli artt. 14 l.p. e 3 , c.2, reg. attuazione, relativa ad un ordine gerarchico dei criteri ivi previsti, ritenendo che le caratteristiche dei terreni sarebbero prevalenti rispetto agli elementi citati successivamente nel testo della norma, cioè il loro inserimento urbanistico e la destinazione urbanistica dei terreni circostanti, in contrasto con quanto stabilito dalla sentenza n. 9409/17 della Cassazione; il c.t.u. non aveva tenuto conto del valore strategico dell’area espropriata, posta a ridosso del centro storico di Trento; l’utilizzo dei citati quattro criteri, per la stima in questione, ha viziato il procedimento, incrinandone l’attendibilità del risultato finale, pervenendo a valori molto differenti tra loro, con un’arbitraria media finale; in particolare, il c.t.u. aveva fatto riferimento al valore di aree confinanti con quelle oggetto di esproprio, anche avente destinazione urbanistica a servizi, come F1 e f4, senza fornire la fonte di tali dati.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 12 e 14 LP n. 6/93 e dell’art. 3 del regolamento di attuazione, approvato con decreto del Presidente della Provincia 26.10.09, anche in relazione agli artt. 42 Cost., 1 del primo protocollo addizionale 1 CEDU, nonché violazione e falsa applicazione dei principi di diritto di cui al giudicato della sentenza
della cassazione n. 9410/17, nonché omessa motivazione su fatto decisivo, per aver la Corte territoriale erroneamente stimato il valore dei beni espropriati, recependo le conclusioni del c.t.u. in ordine alla mancata valutazione adeguata di una compravendita di un terreno limitrofo a quello oggetto d’esproprio all’interno dell’anello viario, e con destinazione analoga a quello dello stesso terreno, per parcheggio, utilizzando invece come parametro il valore di un terreno incolto attribuito in altro atto di compravendita (anteriore alla sentenza Corte Cost. n. 187/14).
I ricorrenti lamentano altresì che il c.t.u.: abbia applicato gli indici di rivalutazione istat ai valori di compravendita immobiliare, sulla scorta della locazione alla data dell’esproprio, in quanto i canoni locatizi presi in considerazione erano stati già aggiornati annualmente in base agli indici istat; abbia erroneamente interpretato la sentenza della Cassazione del 2017 intesa come tale da imporre la valutazione delle solo aree ricompreso nel suddetto anello viario e strettamente limitrofe al terreno in questione, prevedendo che possano essere considerati anche terreni limitrofi; non aveva giustificato il valore di mercato dei terreni inedificabili, pari a euro 50,00 mq; aveva erroneamente ridotto del 40% il criterio della capitalizzazione delle rend ite, a titolo d’imposte e quote d’ammortamento, perché il saggio lordo doveva essere logicamente correlato alla rendita lorda (era stato invece utilizzato il saggio netto).
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 12 e 14 LP n. 6/93 e dell’art. 3 del regolamento di attuazione, approvato con decreto del Presidente della Provincia 26.10.09, anche in relazione agli artt. 42 Cost., 1 del primo protocollo addizionale 1 CEDU, nonché violazione e falsa applicazione dei principi di diritto di cui al giudicato della sentenza della cassazione n. 9410/17, nonché omessa motivazione su fatto
decisivo, per aver la Corte d’appello disatteso i rilievi critici del c.t.p., in quanto il valore dei beni espropriati avrebbe dovuto essere incrementato dall’1% al 3%, tenendo conto delle caratteristiche pianeggianti ed urbanizzate dei terreni ablati.
Preliminarmente, va respinta l’ istanza di rimessione in pubblica udienza. In tema di giudizio di cassazione, l’art. 375 c.p.c., nel testo novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, delinea un rapporto di regolaeccezione, secondo cui i ricorsi sono normalmente destinati ad essere definiti all’esito dell’adunanza camerale nelle forme previste dall’art. 380 bis .1 c.p.c., salvo nei casi di revocazione ex art. 391 quater c.p.c. e di particolare rilevanza della questione di diritto, ipotesi quest’ultima non ricorrente ove la questione sia già stata risolta dalla Corte ovvero qualora il principio di diritto da enunciare sia solo apparentemente nuovo, perché conseguenza della mera estensione di principi già affermati, seppur in relazione a fattispecie concrete diverse rispetto a quelle già vagliate (Cass., S.U. 4331/2024).
Nel caso di specie, la questione di diritto è stata già affrontata da questa Corte nella sentenza rescindente n. 9410/2017, trattandosi di verificare esclusivamente l’applicazione del principio di diritto già affermato.
Detto ciò, i tre motivi di ricorso – che possono essere esamina ti congiuntamente – sono in parte inammissibili, ed in parte infondati. Le doglianze si incentrano in gran parte sulle valutazioni del c.t.u., il cui operato viene sottoposto a critica sotto diversi profili, e marginalmente ed indirettamente si incentrano sulla sentenza che ne ha recepito le risultanze.
Orbene – premesso che certamente non possono essere sottoposte direttamente a questa Corte censure alla c.t.u., costituendo, ovviamente, oggetto del giudizio solo la sentenza impugnata – va
osservato che, per quanto concerne la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo (secondo motivo di ricorso), l’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 134 del 2012, consente, invero, di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice, risolvendosi la critica ad essa nell’esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio (Cass,. 12387/2020; Cass., 8584/2022; Cass., 6322/2023).
Per quanto concerne la dedotta violazione dell’art. 14 l. p. 6/1994, secondo cui deve tenersi conto, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, delle « caratteristiche dei terreni », del « loro inserimento nel tessuto urbanistico », della « destinazione urbanistica dei terreni circostant i», e del principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente- Cass. 9410/2017- le censure si palesano manifestamente infondate.
Secondo i ricorrenti, mentre alla stregua la decisione della Cassazione, si sarebbe dovuto considerare tutti e tre i parametri per determinare l’indennità di esproprio delle aree destinate a servizi e attrezzature di interesse generale, il consulente d’uff icio, alle cui conclusioni ha aderito la Corte del rinvio, aveva proposto quale indennità per l’area interessata dal vincolo a servizi pubblici un dato risultante dalla mediazione tra il valore residenziale delle aree e il valore delle aree agricole.
In altre parole, i ricorrenti si dolgono del fatto che sia stato conferito, per effetto della adozione del metodo della mediazione, un peso eccessivo al secondo e soprattutto al terzo criterio (destinazione dei terreni circostanti) in pregiudizio del primo, ritenuto evidentemente prevalente.
Ora, la critica secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe disatteso i principi affermati dalla sentenza della Cassazione, n. 9410/2007 non è fondata.
Invero, la Corte territoriale ha tenuto conto di tutti e tre i criteri suindicati, avendo accertato, quanto alle caratteristiche del terreno, che si tratta di un terreno che, in base al piano regolatore vigente alla data dell’esproprio (16 novembre 2004) era passato dalla zona F 4 (area destinata a verde di protezione), alla zona F 1 (attrezzature pubbliche, parcheggi pubblici), essendo adibito a parcheggio pubblico. La Corte ha tenuto, poi, conto dell’inserimento nel tessuto urbanistico, avendo rilevato che il suolo «è allocato all’interno dello svincolo autostradale», in un’area utilizzata fin dagli anni ’70 per la sosta dei mezzi di autotrasporto, ed oggi (dal 2004) è adibito a parcheggio pubblico di veicoli leggeri (parcheggio Zuffo).
Quanto alla destinazione urbanistica dei terreni circostanti, la Corte sulla scorta della c.t.u. – ha accertato che i terreni in questione, per un verso, hanno avuto – per effetto della realizzazione dell’autostrada del RAGIONE_SOCIALE – una certa rivalutazione , avendo certamente un plusvalore rispetto ad un terreno agricolo; per altro verso, hanno perduto per sempre la possibilità di edificazione effettiva.
Ed, in effetti, le aree adiacenti erano tutte destinate a parcheggio, a verde di protezione, a fascia di rispetto stradale. Il c.t.u. ha, quindi, proceduto alla determinazione del valore del terreno, sulla base del suo valore attuale netto, della capitalizzazione dei canoni di affitto dei terreni adiacenti, anch’ essi adibiti a parcheggio, e dei valori desumibili dagli unici atti di compravendita di beni omogenei, limitando il raffronto – come stabilito da questa Corte – ai terreni inseriti nella prima cintu ra stradale.
Si tratta di valutazioni di merito, neppure censurate con la deduzione del vizio di carenza assoluta di motivazione, che peraltro la Corte d’appel lo ha dato atto non essere stata «oggetto di contestazione».
Questa affermazione è stata censurata, ma la censura è del tutto generica, rinviando alle critiche mosse dal c.t. di parte, delle quali la Corte ha tenuto ampiamente conto, disattendendole motivatamente, proprio tenendo conto – anche per quanto concerne la individuazione dei terreni circostanti – delle affermazioni di questa Corte.
Quanto alla doglianza relativa alla pretesa erroneità del sistema di valutazione della capitalizzazione del reddito, essa non è aderente alla ratio della sentenza impugnata, che si è limitata a ritenere corretto il tasso di capitalizzazione adottato dal c.t.u., «atteso il basso rischio di impresa connesso», e a ritenere corretta la diminuzione della rendita lorda, derivante dai canoni di locazione, tenuto conto delle imposte, delle spese straordinarie e delle quote di ammortamento. Pertanto, da quanto sopra argomentato non si desume in alcun modo – come deducono i ricorrenti – che la Corte abbia ridotto la rendita lorda, operando la riduzione sul reddito netto, e non lordo.
Parimenti non è aderente alla ratio decidendi , la doglianza relativa alla mancata considerazione del prezzo di vendita, nel 2014, alle RAGIONE_SOCIALE di un terreno, del pari adibito a parcheggio pubblico, stimato euro 280,00 al mq., laddove per l’indennità oggetto del giudizio è stato stabilito il valore di euro 173,00 al mq. Secondo i ricorrenti, invero, i prezzi nel 2004 sarebbero stati molto più alti, avendo il mercato immobiliare avuto – notoriamente – un andamento crescente fino al 2008.
La censura, oltre ad involgere questione di merito, non si confronta con la ratio decidendi , avendo la Corte affermato che tale compravendita è stata considerata, riportati i valori ai prezzi correnti dieci anni prima,
ma che doveva tenersi cont o – in una valutazione comparativa – anche di un altro atto avente ad oggetto un terreno incolto, ubicato nella stessa zona, e che – in ogni caso – il contratto invocato dagli attori aveva ad oggetto «un terreno di stretta pertinenza per la nuova sede della Polizia stradale, indispensabile per l’operatività della stessa, valutabile quasi come un terreno edificabile».
Si trattava, dunque, di un terreno del tutto disomogeneo rispetto a quello degli attori.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna, in solido, i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di euro 2.600,00 di cui 200,00 per esborsi, e al pagamento delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio in data 11 aprile 2024.