Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14687 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22573/2021 R.G . proposto da:
NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
nonché contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato (P_IVA) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 119/2020 depositata il 25.6.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11.4.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1 . La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 19.1.2012,ha determinato l’indennità dovuta dal Comune di RAGIONE_SOCIALE a NOME, NOME ed NOME COGNOME per l’espropriazione di un terreno di cui erano comproprietarie, ubicato nel territorio comunale (censito in catasto alle particelle n.1989,1990,2024), in € 1.270.418,45 per il fondo ubicato in catasto alla p.f. 2024/1, in € 8.500,00 per il fondo iscritto nelle particelle1989/1 e 3 (NOME.COGNOME) e in € 6.230,00 per il fondo iscritto nelle particelle 1989/9, 1990/3 e 2024/1.
A sostegno della decisione la Corte trentina ha osservato che:
doveva trovare applicazione il nuovo regime introdotto dalla legge provinciale n.1 del 2008, in quanto la controversia non era stata definita alla data della sua entrata in vigore, ma era pendente in sede giurisdizionale per la rideterminazione dell’indennità;
il terreno aveva natura edificatoria, essendo ubicato parte in zona F1 e parte in zona F4, destinate a verde e a servizi, e perciò in zone non rientranti in alcuna delle tipologie qualificate
inedificabili dall’art.11 della legge provinciale n. 6/1993, come modificato dalla nuova legge n.1 del 2008;
si doveva tenere conto del contesto esterno all’anello stradale che circondava il terreno e quindi del suo inserimento nel tessuto urbanistico, comprendente non soltanto i terreni confinanti, e così si perveniva alle stime complessive indicate, considerato anche il deprezzamento delle aree residue.
La sentenza è stata impugnata per cassazione dal Comune di RAGIONE_SOCIALE con tre motivi, di cui i primi due successivamente rinunciati, e ha resistito NOME COGNOME, nel frattempo succeduta alle altre originarie attrici decedute, formulando altresì ricorso incidentale condizionato con un motivo.
Con sentenza n.9969 del 2017 questa Corte ha accolto il terzo motivo del ricorso principale, dichiarando inammissibile il ricorso incidentale, e ha cassato di conseguenza la sentenza impugnata con rinvio alla Corte trentina, anche per la regolazione delle spese.
Con il terzo motivo il Comune di RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto violazione dell’art.14 della legge prov. 6/1993 e dell’art.116 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere disapplicato il criterio di valutazione delle aree espropriate in quanto:
le aree espropriate destinate a servizi ed attrezzature di interesse generale, incluse dalla norma provinciale fra quelle edificatorie ai soli fini dell’indennità di espropriazione, erano state valutate senza tener conto dei criteri posti dall’art.14 della legge, anzitutto perché era stato disapplicato quello dell’inserimento nel tessuto urbanistico, confuso con una sorta di equiparazione alle aree edificabili più prossime dalle quali sostanzialmente era stato tratto il valore venale;
era stato violato anche l’altro parametro della destinazione delle aree circostanti, nel caso costituite da un anello stradale che delimitava interamente i terreni, poiché tale parametro non era stato tenuto in considerazione dal Consulente tecnico d’ufficio
( breviter C.t.u.), che aveva ricercato arbitrariamente le aree edificatorie poste all’esterno dell’anello, in modo da ricomprendere l’intero centro storico del Comune.
4. Secondo la Cassazione:
la legge provinciale trentina n.6 del 1993 è rivolta ad attenuare
le possibili sperequazioni fra proprietari di terreni che la zonizzazione comunale abbia sminuito, assoggettandoli a utilizzazioni pubblicistiche, e quelli di immobili inclusi in zone qualificate edificatorie dai medesimi strumenti urbanistici, che, per effetto di questa scelta in luogo di quella opposta, si trovano ad essere beneficiari di valori e rendite assai più elevati di quelli sacrificati;
la predetta legge ha adottato (all’art.12) un parametro di ricognizione diverso e più favorevole ai proprietari espropriandi, incentrato sulla enumerazione e tipizzazione dei terreni inedificabili, suddivisi in sole quattro categorie, per ciascuna delle quali sono stati enunciati caratteri e presupposti identificativi;
le aree edificabili (fra cui pacificamente rientra quella degli attori) costituiscono una categoria generale e atipica nella quale sono incluse tutte quelle aventi una destinazione urbanistica diversa dalle quattro tipologie di aree espressamente definite inedificabili;
la relativa distinzione vale esclusivamente ai fini dell’indennità di espropriazione ed è ininfluente sulla disciplina legislativa ed amministrativa degli interventi sul territorio;
poiché l’attribuzione di mere possibilità legali di edificazione al solo fine di determinare l’indennità di espropriazione rischiava di non aver alcuna incidenza sul mercato immobiliare, influenzato invece dalle vicende urbanistiche della zona e delle relative aree, l’art.14 della legge provinciale per le aree destinate a servizi e attrezzature di interesse generale, onde sottrarle al valore venale proprio delle aree inedificabili, ha opportunamente dettato gli
elementi aggiuntivi ritenuti più congrui ad elevarne il valore ai fini perequativi, enunciando così tre criteri: « caratteristiche dei terreni », « loro inserimento nel tessuto urbanistico », « destinazione urbanistica dei terreni circostant i»;
di conseguenza il giudice di merito non può prescindere da nessuno di detti criteri per la stima del valore venale dell’immobile corrispondente all’indennità di esproprio e non può neppure sostituirli con altri, pur se ritenuti più favorevoli all’espropriato, quali la ricerca delle (sole) aree edificabili vicine, ovvero delle zone con più elevato indice territoriale di fabbricabilità.
Secondo la Cassazione, nel caso concreto la Corte di merito:
aveva giudicato del tutto irrilevante il primo di essi (caratteristiche dei terreni) che secondo la Consulta è proprio quello che mantiene il legame con il valore di mercato, prescritto dall’art.42 Cost., nonché dalla Convenzione Edu;
aveva stravolto il significato del secondo, destinandolo al recupero di tutti gli insediamenti residenziali ubicati all’esterno e oltre il perimetro delle aree circostanti di cui al terzo parametro; c) aveva perciò giudicato il secondo parametro in conflitto con quello precedente e pur esso disapplicato, onde consentire il riferimento alle aree esterne, dal cui ambito erano state discrezionalmente prescelte quelle a cui equiparare il valore dei terreni COGNOME.
Al contrario, il poteredovere di tener conto dell’inserimento dei terreni nel tessuto urbanistico obbligava i giudici del merito a ricercare non certamente i terreni (qualunque ne fosse la distanza) non compresi nelle zone destinate a servizi, né in positivo quelli considerati più rappresentativi del centro storico, bensì il grado del loro insediamento e della relativa integrazione con i vari elementi urbanistici, abitativi, ambientali ed economici, che ne costituiscono il tessuto stratificato ormai nel tempo e che conseguentemente spazia da un valore massimo corrispondente a un’interazione
completa e attuata con riguardo a tutti gli elementi che lo caratterizzano, a una vasta gamma di condizioni intermedie, fino alla situazione opposta e più sfavorevole all’espropriato in cui l’immobile risulti del tutto avulso dal contesto del tessuto comunale.
Infine, quanto all’ultimo indice, quello relativo alla destinazione urbanistica dei terreni circostanti, seppure la relativa nozione non può esaurirsi in quella di terreno strettamente confinante, il tenore letterale della norma finisce per limitarne l’estensione alle sole aree che stanno intorno a quella da valutare, sicché eventuali e pur consentiti rapporti di continuità, attiguità o contiguità con altre aree, idonei ad influenzare la valutazione di quella espropriata devono necessariamente essere contenuti e arrestarsi nell’ambito spaziale della immediata “vicinanza”.
In esso, secondo gli stessi accertamenti compiuti dalla sentenza, rientravano proprio l’anello stradale (costituito dall’autostrada e dal casello, dalla rotatoria di collegamento alla circonvallazione, nonché da altre strade) e le restanti aree per la gran parte destinate a servizi che circondavano immediatamente quelle espropriate, di cui dunque doveva essere apprezzata l’influenza (positiva o negativa che fosse) nella loro valutazione ai fini indennitari.
5. Il giudizio è stato tempestivamente riassunto da NOME, NOME e NOME COGNOME, rispettivamente coniuge e figli, eredi di NOME COGNOME e si sono costituiti il Comune e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza del 25.6.2020 la Corte trentina ha preliminarmente affermato la correttezza della citazione anche della RAGIONE_SOCIALE, quale soggetto che aveva posto in essere atti della procedura, ai sensi dell’ar.54 del d.p.r. 327 del 2001, già statuita implicitamente e non impugnata; ha però ritenuto inammissibile la domanda rivolta direttamente nei suoi confronti nel giudizio di rinvio; ha quindi respinto l’eccezione di difetto di legittimazione sostanziale del
Comune per avere ricevuto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE le somme versate alle espropriate; ha quindi determinato complessivamente le somme dovute ai sig.ri COGNOME in € 867.571,20 per indennità di esproprio, indennità di occupazione temporanea, risarcimento danni, deprezzamento parte residua; ha condannato i signori COGNOME a restituire al Comune di RAGIONE_SOCIALE la somma di € 417.577,25, oltre interessi; ha compensato integralmente le spese del giudizio; ha condannato i signori COGNOME a restituire al Comune di RAGIONE_SOCIALE la somma di € 80.942,87, oltre interessi , a titolo di rifusione di quanto pagato per spese processuali; ha ripartito fra Comune e i sig.ri COGNOME l’onere della c.t.u.
6. La Corte di appello ha condiviso il parere del proprio consulente e ha conferito rilievo al fatto che il terreno, situato nella zona nordoccidentale di RAGIONE_SOCIALE, fra il Doss RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE Modena –RAGIONE_SOCIALE, destinato all’ampliamento del parcheggio pubblico ex Zuffo, doveva essere qualificato edificabile, ai sensi dell’art.12 della legge prov. 6/1993; ha affermato che occorreva procedersi alla valutazione ai sensi dei tre criteri enunciati dall’art.14 della legge provinciale 6/1993.
La Corte trentina ha quindi affermato: che l’area si trovava all’interno di un importante snodo stradale dal quale era inevitabilmente condizionata; che tale condizionamento risaliva ad oltre trenta anni prima alla realizzazione dell’autostrada e al casello di RAGIONE_SOCIALE centro; che ciò aveva comportato la perdita di ogni appetibilità sotto il profilo residenziale; che tuttavia l’area aveva subito rivalutazione per la possibile destinazione a parcheggio o servizi autostradali; che correttamente il Consulente tecnico d’ufficio (di seguito: C.t.u.) aveva mediato fra quattro sistemi di valutazione concepibili per un terreno di tal genere; che le critiche rivolte dai Consulenti di entrambe le parti non erano condivisibili e andavano rigettate.
Avverso la predetta sentenza del 25.6.2020, non notificata, con atto notificato il 24.7.2021 hanno proposto ricorso per cassazione i signori NOME e NOME COGNOME, anche quali eredi del padre NOME, nel frattempo egli pure deceduto, svolgendo tre motivi.
Hanno proposto separatamente controricorso sia il Comune di RAGIONE_SOCIALE, sia la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha fatto rilevare che era litisconsorte necessario, perciò passivamente legittimata, ma che nessuna domanda era stata proposta nei suoi confronti in primo grado e che non erano quindi ammissibili le domande verso di essa proposte in sede di giudizio di rinvio.
I ricorrenti e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., i ricorrenti denunciano nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art.394 e dell’art.196 cod.proc.civ.
8.1. I ricorrenti evidenziano una questione pregiudiziale attinente al processo e comportante, a loro dire, la necessità del rinnovo istruttorio della consulenza tecnica indispensabile alla corretta formazione del giudizio di merito; lamentano l’omesso esame della questione della dichiarata e voluta disapplicazione del quesito concordato posto al C.t.u. con ordinanza collegiale del 17.1.2019 sul vincolo di applicazione « contestuale, coniugata e congiunta », dei tre criteri dell’art.14, comma 3, legge prov. 6/1993 con l’introduzione di un ordine gerarchico fra i tre criteri; deducono violazione dell’art.65 del piano regolatore generale di RAGIONE_SOCIALE; si
dolgono della violazione dei principi enunciati dalla sentenza 9969/2017 della Cassazione, pag. 13 e punto 6.
I ricorrenti lamentano ancora la violazione dell’art.111 Cost. e dei principi del giusto processo per la mancata convocazione in presenza delle parti e del C.t.u.
Deducono infine omesso esame di fatto decisivo per il giudizio discusso fra le parti ex art.360, n.5 cod.proc.civ. sull’intervenuto riconoscimento del vizio processuale e sostanziale, ammesso dalla stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
8.2. Le censure così rappresentate si sovrappongono in modo poco ordinato e non è così agevole individuarle e scinderle, per esaminarle una per una.
La prima lamentela dei ricorrenti è rivolta alla decisione del C.t.u. di non attenersi al quesito conferitogli con ordinanza del 17.1.2019 e alla sua valutazione di aver ritenuto prioritario e prevalente il primo dei criteri indicati dall’art.14, comma 3, della legge prov.6/1993, e richiamati dalla sentenza 9969/2017 di questa Corte.
In disparte il fatto che il C.t.u. ha ampiamente motivato al proposito, la censura è inammissibile perché rivolta alla consulenza, atto endoprocedimentale, e non alla sentenza che l’ha recepita.
D’altro canto, il giudice del merito non è certamente vincolato al quesito peritale che ha disposto e ben può, beninteso nel contraddittorio delle parti (in questo caso pacificamente rispettato con lo scambio degli scritti conclusionali), autorizzare ex post e ratificare la diversa impostazione, fra l’altro motivatamente, adottata dal perito.
Non sussiste quindi alcun vizio processuale per il fatto che il Consulente non si sia attenuto al quesito e che la Corte territoriale ne abbia ratificato l’operato.
8.3. Non può ritenersi neppure violato il principio di diritto coniato dalla sentenza n.9969 del 2017 di questa Corte.
Così non è, visto che questa Corte ha affermato dapprima che il giudice di merito non può prescindere da nessuno dei citati criteri per la stima del valore venale dell’immobile corrispondente all’indennità di esproprio e che non gli è consentito neppure sostituirli con altri; quindi ha chiarito che tale operazione muove dall’effettivo prezzo commerciale del suolo destinato a servizi o ad attrezzature di interesse generale, ma non deve arrestarsi a quello commerciale del terreno secondo il regime inedificabile attribuitogli dallo strumento urbanistico che deve essere corretto e completato, dall’assegnazione di un’edificabilità di fatto ricavata mediante la combinazione degli indici specificamente individuati, dei quali è postulata l’applicazione contestuale, coniugata e congiunta.
La Corte tridentina, tuttavia, aderendo all’opinione del proprio Consulente, ha tenuto conto di tutti e tre i criteri, imposti dalla legge e dal principio di diritto, adattandone l’applicazione alle peculiarità del caso concreto, come era consentito e doveroso.
Il canone dell’applicazione « contestuale, coordinata e congiunta » impone di considerare tutti e tre i criteri e di collegarli e armonizzarli fra loro, per tener conto delle particolarità del caso concreto, ma non esige affatto che a tutti e tre i parametri sia attribuita la stessa incidenza ponderale.
In particolare, la Corte territoriale ha considerato anche il secondo criterio, quello cioè dell’inserimento dei terreni nel tessuto urbanistico, valorizzando l’inclusione del terreno per cui è causa all’interno del più importante snodo stradale, ben descritto alle pagine 8-9 della sentenza impugnata, costituito dal casello «RAGIONE_SOCIALE centro», dalle corsie di accelerazione verso l’RAGIONE_SOCIALE, dal parcheggio ex Zuffo sotto il INDIRIZZO aereo INDIRIZZOVela» della SS INDIRIZZO Gardesana, rotatoria e tangenziale di RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza impugnata, sempre aderendo al pensiero del C.t.u., ha anche considerato il terzo criterio della destinazione urbanistica dei terreni circostanti, ritenendo che ci si dovesse arrestare alla prima cintura viabile, che comprendeva terreni tutti destinati in collegamento e condizionamento alla presenza dell’RAGIONE_SOCIALE (pag.9), e rifiutando di considerare quale parametro di commisurazione i terreni più distanti e verso il centro a destinazione residenziale.
8.4. I ricorrenti lamentano la violazione dell’art.65 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del piano regolatore generale (P.R.G.) di RAGIONE_SOCIALE, che consente 19 destinazioni funzionali ricedenti e disciplinati nella zona F1, tutte ammissibili e diverse da quella sola (parcheggio pubblico) considerata dal C.t.u.
Il comma 2 del citato art.65 consentirebbe infatti, previa conforme deliberazione del consiglio comunale, l’utilizzo dell’area per una diversa destinazione rispetto al parcheggio, senza necessità di variante urbanistica.
Di siffatto argomento non vi è traccia nella sentenza impugnata, che pur riporta e affronta alle pagine 10 e 11 i rilievi critici mossi dal c onsulente di parte COGNOME all’elaborato peritale, sicché i ricorrenti avevano l’onere di dimostrare in modo puntuale e specifico l’espletamento del contraddittorio al riguardo.
Infatti qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Sez. 2, n. 20694
del 9.8.2018; Sez. 6 – 1, n. 15430 del 13.6.2018); inoltre qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Sez. 1, n. 23675 del 18.10.2013).
Il ricorso sul punto si limita ad affermare, del tutto genericamente, che tali osservazioni erano state svolte nella perizia stragiudiziale 26.6.2017 predisposta dagli eredi COGNOME e nelle osservazioni formulate dal AVV_NOTAIO.t.p. AVV_NOTAIO allegate sub 5 alla consulenza tecnica, ma non le trascrive, né le sintetizza adeguatamente; per altro verso i documenti in questione (perizia stragiudiziale, osservazioni alla c.t.u.) non sono stati allegati ex art.369 n.4 e localizzati in atti ex art. 366 n.6 cod.proc.civ.
Infine la sentenza impugnata ha dato rilievo all’utilizzo del terreno che ha ritenuto l’unico concretamente e non teoricamente praticabile, con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità.
8.5. I ricorrenti si dolgono poi vivacemente della mancata considerazione dei terreni esterni al primo perimetro viario (c.d. «anello»), non esaminati a fini valutativi dal C.t.u. in quanto ritenuti eccessivamente distanti e ininfluenti sotto il profilo estimativo, e sostengono che la Cassazione aveva censurato una interpretazione che andasse a coinvolgere nella stima i valori immobiliari del centro storico in sponda sinistra dell’Adige , mentre loro avevano proposto di considerare i terreni in sponda destra
nella circoscrizione comunale Piedicastello a 200 metri dall’area espropriata.
Così argomentando, i ricorrenti scivolano inevitabilmente in una valutazione di merito, laddove la Corte di appello (pag.11) ha considerato tali terreni troppo distanti e comunque preclusi, quanto al loro esame, dalla decisione rescindente, secondo la quale, stando agli stessi accertamenti compiuti dalla prima sentenza, occorreva riferirsi all’ anello stradale (costituito dall’autostrada e dal casello, dalla rotatoria di collegamento alla circonvallazione, nonché da altre strade) e alle restanti aree per la gran parte destinate a servizi che circondano immediatamente quelle espropriate, di cui dunque doveva essere apprezzata l’influenza (positiva o negativa che fosse) nella loro valutazione ai fini indennitari.
8.6. Non è certamente ravvisabile la violazione, del tutto genericamente dedotta, dell’art.111 Cost. e dei principi del giusto processo per la mancata convocazione in presenza delle parti e del C.t.u. che costituisce oggetto di una scelta discrezionale del giudice del merito.
Rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni
poste a base della motivazione. (Sez. 2, n. 21525 del 20.8.2019, Sez. 6 – L, n. 2103 del 24.1.2019; Sez. 3, n. 22799 del 29.9.2017). Se pur è ammissibile la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, ove si contestino le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado, poiché non viene chiesta l’ammissione di un nuovo mezzo di prova, il giudice così investito, peraltro, se non ha l’obbligo di motivare il diniego, che può essere anche implicito, è tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicché l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Sez. 2, n. 26709 del 24.11.2020). Trattasi, in effetti di una valutazione discrezionale del giudice di merito, nel caso ampiamente motivata, anche con riferimento alle critiche mosse dai consulenti di parte.
8.7. Inammissibile infine appare la doglianza di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio discusso fra le parti ex art.360, n.5 cod.proc.civ. sull’intervenuto riconoscimento del vizio processuale e sostanziale, ammesso dalla stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, sia perché non si tratta di un fatto storico oggettivo, sia perché non si tratta di una circostanza decisiva, riflettente la mera opinione di una parte processuale non vincolante per il giudice, e soprattutto perché la Corte di appello, come sopra ricordato, ha condiviso e ratificato l’operato del C.t.u.
8.8. Per le ragioni sopra esposte il primo motivo, articolato con censure in parte infondate e in parte inammissibili, merita complessivo rigetto.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata ex art.360, comma 1, n.3 e 4, cod.proc.civ., sempre concernente i criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione seguito dalla
sentenza impugnata, i ricorrenti denunciano violazione dell’art.394 cod.proc.civ. e dell’art.14, comma 3, legge prov. 6/1993 e dell’art.65 NTA PRG di Treno e del principio interpretativo della sentenza 9969/2017 della Cassazione con riferimento ai tre parametri normativi indicati quali criteri di applicazione contestuale, coniugata e congiunta, e non gerarchica, già identificati dalla ordinanza collegiale della Corte di rinvio del 17.1.2019 in sede di formulazione del quesito; lamentano quindi che il consulente tecnico e quindi la sentenza impugnata abbiano applicato il primo criterio della redditività intrinseca dell’area espropriata derivante solo dalla destinazione urbanistica a parcheggio, disapplicando gli altri due criteri ritenuti residuali.
L’adozione di questo solo criterio aveva condotto a una valutazione del terreno in € 150,00 al mq, mentre l’adozione congiunta avrebbe condotto ad almeno € 366,00 al mq come da stima del loro C.t.p. AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO o almeno a € 250,00, rivalutato a € 280,00 sulla base della valutazione confessoria di cui al contratto di acquisto fra Comune RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 6.6.2014 della particella adiacente.
9.1. Il motivo riproduce le precedenti doglianze quali vizi sostanziali della decisione, per il caso che si ritenesse superato il vizio procedimentale (pag.31) e incorre nelle precedenti obiezioni.
9.2 . I ricorrenti aggiungono alle pagine 32-34 una serie di considerazioni, del tutto meritali e prive di riferimenti puntuali e specifici alle risultanze istruttorie e al dibattito processuale, circa la valutazione espressa da C.t.u. e Corte di appello in punto non appetibilità dell’area come zona residenziale in conseguenza della costruzione dell’Autobrennero e di tutte le opere viarie e di snodo negli anni ’60.
9.3. Nella parte finale della rubrica i ricorrenti si riferiscono ad un contratto di acquisto fra Comune di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE del 6.6.2014 della particella adiacente, cui attribuiscono rilevanza «confessoria».
Tale argomento non è adeguatamente sviluppato da una successiva argomentazione e della questione non vi è cenno nella sentenza impugnata, senza che i ricorrenti chiariscano quando e come di tale contratto si sia discusso dinanzi ai giudici del merito.
9.4. Infine i ricorrenti non censura no espressamente l’affermazione della Corte territoriale ( pag.10), secondo cui la stima di € 150,00 al mq , frutto dell’incrocio di quattro diversi sistemi di estimo indicati dal C.t.u., « non è nemmeno oggetto di contestazione ».
9.5. Anche il secondo motivo deve essere perciò complessivamente rigettato.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto in via ulteriormente subordinata ex art.360, comma 1, n.3 e 4, cod.proc.civ., sempre in ordine ai criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione seguito dalla sentenza impugnata, i ricorrenti denunciano violazione dell’art.394 cod.proc.civ. e dell’art.14, comma 3, legge prov. 6/1993 e dell’art.65 NTA PRG di Treno e del principio interpretativo della sentenza 9969/2017 della Cassazione.
I ricorrenti inoltre sollecitano la decisione nel merito della causa mediante l’applicazione della media fra i valori desunti e accertati all’interno del c.d. anello viario, mediati fra i 310,00 € al mq riconosciuti all’area e la valutazione di capitalizzazione data all’area F1 in € 150,00 al mq, parei a € 230,00 al mq.
10.1. Il motivo non ha autonoma consistenza critica e si risolve nella richiesta di decisione nel merito da parte di questa Corte ai sensi dell’art.384, comma 2, cod.proc.civ.
10.2. Il motivo quindi subisce la sorte dei due precedenti, non senza rilevare che non è dato comprendere laddove la sentenza impugnata riconoscerebbe il valore di € 310,00 al mq alla zona H2, interna al c.d. anello e tantomeno a che cosa i ricorrenti intendano fare riferimento a pag.35 del loro ricorso.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.1, cod.proc.civ., i ricorrenti denunciano difetto di giurisdizione sulla pronuncia di condanna alle restituzioni, trattandosi di azione dichiarativa e non di condanna.
11.1. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello non avrebbe potuto condannarli a restituire le somme ricevute in eccedenza, per la natura meramente di accertamento della cognizione devoluta alla Corte di appello; a loro parere, non avrebbe potuto essere disposta alcuna restituzione e si sarebbe dovuto procedere alternativamente mediante esecuzione spontanea da parte dell’Amministrazione o giudizio di ottemperanza ai sensi dell’art.112 c.p.amm., onde evitare la violazione del principio di separazione dei poteri
11.2. Il motivo è inammissibile, per difetto di chiarezza e pertinenza dell’argomentazione, laddove i ricorrenti evocano il principio di separazione dei poteri, l’autonomia del potere esecutivo e financo la giurisdizione amministrativa, visto che, a prescindere da ogni altra considerazione, in questo caso si discute di somme dovute dai privati all’Amministrazione a titolo di indebito, e non viceversa.
11.3. La tesi dei ricorrenti è comunque manifestamente infondata se interpretata nel senso di negare alla Corte di appello il potere di condannare una delle parti processuali alla restituzione delle somme percepite in eccedenza rispetto all’effettivo dovuto, che appartiene ex art.336 cod.proc.civ. a qualunque giudice ordinario fornito di giurisdizione sul punto.
Le pretese di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado, a seguito di riforma in appello di tale sentenza, possono trovare ingresso, per ragioni di economia processuale, nella stessa fase di gravame, ancorché manchi nel codice di rito una espressa disciplina di tale situazione, ma non si riconducono allo schema della condictio indebiti , collegandosi, invece, ad esigenze di restaurazione della situazione patrimoniale
preesistente alla sentenza riformata, con conseguente sussistenza dell’obbligazione accessoria per interessi, decorrenti dalla data della percezione delle somme da restituire, e salva la dimostrazione rinvenibile anche in dati presuntivi, correlati alla qualità del creditore ed ai prevedibili impieghi del denaro da parte del medesimo) – della sussistenza di pregiudizi ulteriori non coperti dall’adempimento di tale obbligazione di interessi. (Sez. 3, n. 11999 del 3.12.1993: Sez. 3, n. 12905 del 13.7.2004 ).
Per altro verso, in attuazione dello stesso principio e in adattamento alle caratteristiche del giudizio di legittimità, l’art.389 cod.proc.civ. espressamente prevede che le domande di restituzione o di riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione si propongono al giudice di rinvio e, in caso di cassazione senza rinvio, al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.
12 . Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano violazione dell’art.100 cod.proc.civ. per omessa pronuncia sulla carenza di interesse alla restituzione dell’intero importo liquidato dalla sentenza 21/2012 rimborsato al Comune di RAGIONE_SOCIALE in base a legge speciale.
12.1 Il motivo è manifestamente infondato.
Non vi è stata affatto omessa di pronuncia e la Corte di appello ha disatteso l’eccezione alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata.
12.2. Ciò del resto è avvenuto del tutto correttamente, perché il fatto che in base ai rapporti interni la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE abbia rimborsato al Comune le somme da questo versate ai proprietari espropriati, attiene esclusivamente ad un rapporto pubblicistico e interno a cui i ricorrenti sono del tutto estranei, che non elide l’interesse del Comune a recuperare le somme versate in eccedenza.
Il quinto motivo è infondato non essendovi omessa pronuncia sulla eccezione di difetto di interesse del Comune, rimborsato dalla
RAGIONE_SOCIALE, alla restituzione dell’importo maggiore liquidato dalla sentenza di appello cassata, avendo la Corte d’appello disatteso l’eccezione, trattandosi di rapporti interni tra gli enti, che non escludono l’interesse alla ripetizione in capo al Comune.
Le circostanze nuove e il documento prodotto con la memoria sono evidentemente inammissibili ai sensi dell’art.372 cod.proc.civ. che non consente l’introduzione nel giudizio di legittimità di nuovi elementi se non per comprovare l’ammissibilità del ricorso.
Per i motivi esposti occorre rigettare il ricorso e condannare i ricorrenti al pagamento delle spese in favore delle parti controricorrenti, liquidate come in dispositivo e opportunamente differenziate in relazione alla attività processuale effettivamente svolta.
La condanna va estesa anche a favore della RAGIONE_SOCIALE, per effetto del principio di causazione, essendo stata la sua evocazione in giudizio resa necessaria dalle pretese infondate degli odierni ricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate a favore del Comune RAGIONE_SOCIALE nella somma di € 5.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito come per legge, e a favore della RAGIONE_SOCIALE nella somma di € 7.000,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione