Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8677 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 8677 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 445-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. 445/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 21/02/2024
CC
avverso la sentenza n. 2363/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/06/2017 R.G.N. 2384/2014; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
con sentenza del 19.6.2017 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, rigettava la domanda di NOME COGNOME avente ad oggetto l’indennità di esclusività prevista dall’art. 42 c.c.n.l. relativo al personale del la dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa del SRAGIONE_SOCIALE, ferma nel resto la pronuncia gravata;
la Corte territoriale osservava che il contratto di collaborazione professionale del COGNOME, medico neurochirurgo presso l’Ospedale Santo Spirito dal 27.11.2006 al 31.12.2010, si era concretamente esplicato con modalità proprie del rapporto di lavoro subordinato del dirigente medico di livello I di struttura ospedaliera complessa, nel cui alveo andava dunque collocato;
aggiungeva che dalla discontinuità delle fatture emesse dal COGNOME per prestazioni eseguite a favore dell’Azienda «dovesse desumersi che il medico aveva prestato attività professionale anche a favore di altri soggetti», circostanza (questa) su cui il ricorrente, peraltro, non aveva eccepito alcunché né in primo grado né in sede di gravame;
quanto dedotto dall’RAGIONE_SOCIALE in ordine al mancato rispetto del vincolo di esclusività – inserito anche nel contratto di collaborazione
professionale, all’articolo 5 -doveva ritenersi provato, sicché l’emolumento in questione, previsto dall’art. 42 c.c.n.l. , cit., e che trovava ratio e giustificazione in una forma di compensazione per il divieto di svolgimento di attività libero-professionale da parte del medico, non spettava;
avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di due motivi illustrati da memoria , cui si oppone l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso assistito da memoria.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 42 c.c.n.l. dirigenza sanitaria e dell’art. 2697 cod. civ., per avere la Corte capitolina, pur ravvisando lo status economico e normativo di dirigente medico di I livello-lavoratore subordinato, negato il riconoscimento dell’indennità di esclusività; il giudice d’appello aveva operato, secondo il COGNOME, un’illegittimità inversione dell’onere probatorio, laddove sosteneva (a pag. 7, punto 8, della sentenza impugnata) che, a fronte della dedotta discontinuità nella numerazione delle fatturazioni del medico, fosse comprovato che in tutto il quadriennio non fosse stato rispettato, da parte sua, il vincolo di esclusività;
il motivo non può trovare accoglimento perché attraverso la deduzione solo formale del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. nella sostanza sollecita un riesame del merito, precluso al giudice di legittimità;
invero, l a Corte territoriale, nell’ inquadrare il rapporto nello schema tipico della subordinazione al di là del nomen iuris di collaborazione professionale adoperato dalle parti , ha precisato che l’Azienda aveva dedotto, e il medico nulla replicato nei due gradi di merito, che «dalla discontinuità delle fatture emesse dal COGNOME a favore dell’ Azienda
dovesse desumersi la prestazione della propria attività professionale anche a favore di altri soggetti»; la Corte distrettuale ha poi aggiunto che dall’esame delle fatture si evinceva che la numerazione non era affatto in regolare successione, sicché «quanto eccepito dall’RAGIONE_SOCIALE oveva ritenersi provato»; escluso che il COGNOME avesse rispettato il vincolo di esclusività, non aveva titolo giustificativo la pretesa di pagamento del detto emolumento;
2.1 orbene, l’iter argomentativo della pronuncia si sottrae alle censure del ricorrente;
questo perché l ‘indennità di esclusività è un emolumento che la contrattazione collettiva, in attuazione del disposto di cui all’art. 15 -quater comma 5 d.lgs. n. 502/1992, riconosce ai dirigenti medici in ragione del fatto di non poter lavorare all’esterno e a compenso del concentrarsi dell’impegno professionale sul solo ente di appartenenza (Cass. n. 10992 del 2023). L’Azienda ha eccepito -e non v’era ragione di richiedere, come incongruamente opina il ricorrente, la formulazione di una domanda riconvenzionale per paralizzarne la pretesa -l’inadempimento all’obbligo di esclusività, inadempimento che è stato ritenuto comprovato dal giudice di secondo grado con motivazione logica ed esauriente perché suffragata da elementi documentali il cui esame, che è prerogativa del giudice del merito, non può essere inammissibilmente richiesto in questa sede al giudice di legittimità;
2.2 inammissibile è, poi, anche la denunciata violazione dell’art. 2697 cod. civ. poiché il giudice di appello non ha fondato la decisione sulla regola residuale dell’onere della prova, ma ha, al contrario, ritenuto comprovato che il medico avesse prestato la sua attività professionale anche a favore di altri soggetti (‘sicché quanto eccepito
dalla RAGIONE_SOCIALE deve ritenersi provato’) , sicché diviene irrilevante stabilire a chi dovesse o meno essere addossato l’onere di provare la circostanza di fatto.
La violazione dell’art. 2697 cod. civ. può assumere rilievo ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. solo qualora il giudice del merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione della controversia sul principio actore non probante reus absolvitur ed abbia errato nella qualificazione del fatto, ritenendolo costitutivo della pretesa mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato impeditivo. In tale evenienza, infatti, l’errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere le consegu enze pregiudizievoli dell’incertezza probatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo lo schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto. Diverso è il caso che si verifica allorquando il giudice, valutate le risultanze istruttorie, ritenga provata o non provata una determinata circostanza di fatto rilevante ai fini di causa perché in detta ipotesi la doglianza sulla valutazione espressa, in quanto estranea all’interpretazione della norma, va ricondotta al vizio di cui all’art. 36 0 n. 5 cod. proc. civ. e, quindi, può essere apprezzata solo nei limiti fissati dalla disposizione, nel testo applicabile ratione temporis e come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa Corte che, a partire da Cass. S.U. n. 8053/2014, ha escluso ogni rilevanza dell’omesso esame di documenti o di risultanze probatorie ove il ‘fatto storico’ sia stato comunque apprezzato e valutato dal giudice del merito.
Con il secondo motivo si deduce, in via subordinata, la nullità della sentenza ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ. , per avere omesso la Corte territoriale di rilevare l’esistenza del giudicato interno formatosi in ordine alla quantificazione dell’indennità di esclusività riconosciuta al
COGNOME dal Tribunale; l’RAGIONE_SOCIALE, nell’atto d’appello, aveva sottoposto a critica l’an ma non anche il quantum dell’indennità di esclusività liquidata dal Tribunale in €. 10.345,81, sicché il giudice di secondo grado, negata la spettanza dell’emolumento in parola, non poteva detrarre dal totale (€. 69.624,57) la somma di €. 37.929,12, «pari alla somma dei singoli importi indicati per detta voce nel prospetto a pag. 5 della consulenza di parte del COGNOME»;
3.1 il motivo è inammissibile per carenza di interesse;
il ricorrente, nelle sue memorie illustrative, rinuncia espressamente al secondo motivo di ricorso, dando atto di aver richiesto, ed ottenuto dalla Corte distrettuale, la revocazione parziale, per errore di fatto ex art. 395 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., della sentenza impugnata, nella parte in cui essa aveva decurtato dalle differenze retributive l’indennità di esclusiva , quantificandola però in €. 37.929,12 anziché in €. 10.345,81 . Nella specie, la sentenza resa in sede di revocazione, e recante n. 2080/2020, è divenuta (come precisa il ricorrente) definitiva, rendendo così inutile la disamina del secondo motivo di ricorso che, seppur sotto diversa angolazione, afferiva invero allo stesso tema esaminato nel ricorso per revocazione.
Conclusivamente, il ricorso va dichiarato nel suo complesso inammissibile, con conseguente addebito delle spese di legittimità (liquidate in dispositivo) al ricorrente, parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024.