Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4160 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4160 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31123/2020 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore ex art. 16sexies del d.l. n. 179 del 2012 conv. con modif. dalla legge n. 221 del 2012
-ricorrente-
contro
Università degli Studi di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 281/2020 depositata il 03/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Catania ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME dipendente dell’Università degli studi di Catania, così
confermando la sentenza di primo grado, che, sulla base del computo effettuato dal consulente tecnico d’ufficio, aveva accolto l’opposizione a precetto proposta dalla medesima Università, ed aveva accertato che l’Ateneo nulla doveva alla dipendente per effetto del pregresso giudizio inter partes , che aveva riconosciuto il diritto all’indennità di equiparazione di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 197 9 senza tuttavia quantificare la pretesa.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando cinque motivi, cui resiste l’Università degli studi di Catania con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 51 CCNL 9 agosto 2000 e dell’art. 31 d.P.R. n. 761 del 1979, ex art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ. , per avere la Corte d’appello condiviso l’operato del consulente tecnico nominato in primo grado, che aveva computato, ai fini perequativi, anche l’indennità di ateneo , in asserita difformità dalle richiamate disposizioni normative, secondo cui dovrebbe essere computato esclusivamente il trattamento economico complessivo, composto da stipendio tabellare, indennità integrativa speciale, retribuzione individuale di anzianità e retribuzione di posizione minima.
1.1. La censura, prima ancora che infondata, è inammissibile perché non si confronta con il decisum della sentenza impugnata che non ha respinto il relativo motivo di appello bensì lo ha dichiarato inammissibile, per avere il Tribunale preso in considerazione l’indennità di ateneo così come richiesto dall’appellante, in conformità all’art. 51 del CCNL. Difetta, pertanto, la specifica denuncia dell’ error in procedendo nel quale la Corte distrettuale sarebbe incorsa.
In ogni caso, il motivo si rivela anche infondato, in quanto l’art. 51, comma 4, del CCNL stabilisce che: «Fino alla definizione della tabella di cui al comma 2, al predetto personale di cui al comma 1, in servizio alla data di stipula del presente CCNL, continuano ad essere corrisposte le
indennità di cui all’art. 31 del DPR n. 761/79 con riferimento alle collocazioni professionali in essere e alle corrispondenze in essere con le figure del personale del servizio sanitario nazionale e con riferimento al trattamento economico previsto dai contratti collettivi nazionali nel tempo vigenti nel comparto sanità. Ugualmente fino alla definizione della stessa tabella di cui al comma 2, l’incremento dell’indennità di ateneo – rispetto ai corrispondenti valori stabiliti dal CCNL 5.9.1996 prevista dall’art. 65 non viene considerata ai fini del trattamento economico di cui al citato articolo 31 del D.P.R. n. 761/79, salvo eventuale riassorbimento.». Pertanto, come risulta dalla sentenza impugnata, sulla base dei chiarimenti resi dal consulente tecnico, gli incrementi di tale indennità decorrenti dal dicembre 1999 sono stati esclusi dalla base di calcolo del trattamento economico complessivo da tenere in considerazione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 , come stabilito dalla richiamata disposizione contrattuale.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 45, commi 1 e 2, CCNL 1° settembre 1995 e CCNL 27 giugno 1996, ex art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello condiviso l’operato del consulente tecnico nominato in primo grado, che, ai fini perequativi, aveva incluso anche l’indennità di qualificazione professionale di cui all’art. 45 citato senza computare le equivalenti indennità professionali corrisposte al dipendente di pari livello del servizio sanitario nazionale. A sostegno del motivo si richiamano le note esplicative del consulente tecnico di parte, secondo cui, a seguito di idonea comparazione, risultava un credito della ricorrente pari a euro 7.630,94.
2.1. La censura, nei termini formulati, è inammissibile, atteso che già la Corte d’appello -ritenuta corretta l’inclusione nel computo perequativo della indennità di qualificazione professionale, quale elemento fisso e ricorrente della retribuzione, confluita nel trattamento economico iniziale secondo il CCNL del 1999 – ha reputato generiche le indicazioni delle altre indennità asseritamente da computare, osservando che il
consulente tecnico di parte aveva effettuato la comparazione includendo indennità legate alle particolari modalità di svolgimento delle mansioni e non al trattamento economico complessivo. A fronte di tali puntuali rilievi, la ricorrente continua a non specificare di quali diverse indennità rivendichi la comparazione, richiamando genericamente le conclusioni del consulente di parte, senza confutare sul punto la motivazione addotta dalla Corte territoriale.
Peraltro, si evidenzia che la censura rinvia per relazione alla consulenza tecnica di parte, senza produrla né indicare in quale sede processuale il documento risulti prodotto né riassumerne il contenuto essenziale quanto agli istituti contrattuali che sarebbero stati erroneamente applicati dal consulente di ufficio, in difetto, pertanto, dei requisiti di specificazione e localizzazione di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
Con il terzo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., ex art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ. , sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe adottato i conteggi della RIA operati dal consulente d’ufficio siccome non contestati dalla dipendente, che, al contrario aveva tempestivamente contraddetto sul punto anche tramite le osservazioni alla CTU svolte dal proprio consulente di parte.
3.1. Anche tale censura si rivela inammissibile, in quanto la ricorrente si limita ad assumere di aver contestato i conteggi, senza specificare e localizzare l’atto in cui avrebbe svolto tale rilievo, in violazione, pertanto, dei requisiti previsti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. Peraltro, la sentenza precisa che la contestazione non era specifica e non era stata svolta tempestivamente nella memoria di costituzione, bensì unicamente richiamando le valutazioni del consulente tecnico di parte, svolte successivamente alla bozza di CTU, senza neppure indicare la diversa cifra che si assumeva dovuta. Anche in tale caso, pertanto, la censura non vale a inficiare la motivazione addotta dalla Corte territoriale, risultando, sotto questo ulteriore profilo, inammissibile.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., ex art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ. , in quanto la Corte d’appello avrebbe erroneamente dato seguito al computo effettuato dal CTU in ordine ad elementi variabili della retribuzione quali ‘straordinari e ferie non godute, ecc.’.
4.1. La censura è inammissibile in quanto la Corte d’appello ha ritenuto il rilievo generico, a fronte del fatto che il CTU aveva già precisato in primo grado di aver raffrontato a fini perequativi dati omogenei, costituiti esclusivamente dalle voci retributive fisse del trattamento economico fondamentale disciplinato dai rispettivi CCNL di comparto, con esclusione di ulteriori voci retributive rispetto alle voci fisse del trattamento economico fondamentale. La ricorrente si è, dunque, limitata a riproporre le censure già svolte in primo grado, senza individuare né denunciare l’ error in procedendo nel quale la Corte distrettuale sarebbe incorsa.
5 . Con il quinto motivo si denuncia l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello respinto il gravame senza pronunciarsi sulla richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio , di carattere decisivo.
5.1. Anche l’ultima censura non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità. Infatti, il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d ‘ ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. ‘ doppia conforme ‘ di cui all ‘ art. 348ter , comma 5, cod. proc. civ., ratione temporis vigente (Cass. Sez. L, 25/08/2023, n. 25281). Il principio così espresso è pienamente applicabile al caso di specie, in cui il motivo si incentra sulla richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. , formulato in relazione a decisione di appello che ha confermato le valutazioni già rese
dal primo giudice, con conseguente inammissibilità della censura così formulata.
5.2. Sotto altro profilo, si osserva che la richiesta di rinnovo della consulenza tecnica deve intendersi implicitamente respinta, in quanto incompatibile con la decisione assunta (fra molte, Cass. Sez. 6-1, 13/01/2020, n. 326, che ha sottolineato come la consulenza tecnica d ‘ ufficio sia mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell ‘ ausiliario e potendo la motivazione dell ‘ eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato. In senso conforme, Cass. Sez. L, 04/07/2024 n. 18299).
In effetti, la Corte d’appello, respingendo tutti i rilievi critici mossi alla consulenza d’ufficio , ha implicitamente rigettato la richiesta di rinnovazione della stessa, con assorbimento di ogni altra questione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00, al rimborso delle spese generali al 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 gennaio 2025.